lunedì 4 novembre 2013

Quanti linfonodi ti hanno tolto? 81!!

 
Il tipo di resezione è regolato in base

alla localizzazione della neoplasia
Una compagna di avventura scrive che le hanno tolto in una gastrectomia ben 81 linfonodi, è un record. Molti gastrectomizzati del Forum "Vivere dopo il cancro allo stomaco (si può!)", coordinato da Rosie Rosanna Fiorino, si domandano se il loro intervento di gastrectomia è stato fatto correttamente. Si chiedono se la gastrectomia doveva essere totale o parziale e quanti linfonodi il chirurgo doveva togliere. A me ne hanno tolti 37, alla compagna di avventura 81! Sono questioni molto complesse! Sembra che l'infoadenectomia D2 sia preferibile (32-35 linfonodi tolti).  Per chi desidera approfondire, invito a leggere nel sito del GIRCG (Gruppo Italiano di Ricerca Cancro Gastrico) l'articolo sul Trattamento dell'Advanced gastric cancer (Cancro Gastrico Avanzato). La classificazione dei linfonodi per opera della Japanese Research Society for Gastric Cancer del 1981 è la più precisa ed analitica e fa riferimento al drenaggio linfatico in funzione della sede di origine del tumore nello stomaco, suddiviso in 3 parti: superiore, media ed inferiore. Gli Autori giapponesi hanno classificato l’estensione della linfoadenectomia in D1, D2 e D3 in rapporto alle stazioni linfonodali asportate.

Invito anche a leggere dalle Dalle Linee Guida del Ministero della Salute la parte riguardante l'estensione della dissezione linfonodale, che riporto.
Il problema dell’estensione della linfoadenectomia è stato, ed in parte ancora è, estremamente controverso per una serie di punti.

1. Ambiguità della terminologia

La classificazione dei linfonodi, sede di drenaggio dello stomaco, è eterogenea. La classificazione dei linfonodi per opera della Japanese Research Society for Gastric Cancer del 1981 è la più precisa ed analitica e fa riferimento al drenaggio linfatico in funzione della sede di origine del tumore nello stomaco, suddiviso in 3 parti: superiore, media ed inferiore. Gli Autori giapponesi hanno inoltre classificato l’estensione della linfoadenectomia in D1, D2 e D3 in rapporto alle stazioni linfonodali asportate. Il TNM, invece, faceva riferimento nell’edizione del 1987 alla distanza tra linfonodi e neoplasia principale ed in quella successiva conglobava in un’unica classe i linfonodi regionali, ivi comprendendo quelli della piccola e grande curva, arteria gastrica sinistra, arteria epatica comune, epatoduodenali, splenici e dell’asse celiaco. Erano così compresi linfonodi che, secondo la classificazione giapponese, sono di 2° ed anche di 3° livello. Maggior enfasi si dà già nella edizione TNM del 2002 e soprattutto nell’ultima, del Gennaio 2010, al numero totale di linfonodi metastatici, categorizzato ora in 1-2, 3-6, 7-15, > 15 cioè N1, N2 e N3a e N3b, rispettivamente. La disparità delle classificazioni adottate nonché le modifiche occorse nel TNM hanno reso difficile ogni comparazione dei risultati relativi ai vantaggi della linfoadenectomia. Il problema del confronto tra le diverse casistiche è stato in qualche modo superato partendo dal presupposto che in una linfoadenectomia D1 viene asportato un numero di linfonodi variabile tra 15 e 18, mentre in una dissezione D2 ne vengono asportati mediamente tra 31 e 35 (4-6). Tali dati sono in accordo con precedenti osservazioni anatomiche (7), che hanno definito che il numero medio di linfonodi inclusi in una dissezione tipo D1 è 15, mentre la D2 conterrebbe almeno 27 linfonodi. In conclusione, alcuni Autori (8) tendono a distinguere una linfoadenectomia "standard", che deve comprendere almeno 15 linfonodi ed è quella che secondo il TNM consente una stadiazione adeguata (e che corrisponderebbe numericamente ad una D1), ed una linfoadenectomia "allargata", che comprende almeno 20-25 linfonodi, che meglio consente una diagnosi anche di N3 (secondo il TNM) e che nell’esperienza retrospettiva di molti Autori (giapponesi, italiani e tedeschi) è accompagnata ad una migliore sopravvivenza. Questo tipo di linfoadenectomia, che comprende i linfonodi perigastrici, quelli lungo i grandi vasi e lungo i primi centimetri dell’arteria splenica (la linfoadenectomia dell’ilo splenico e del peduncolo epatico è opzionale), viene anche definita, per evitare confusioni con la classificazione giapponese e l’inevitabile riferimento topografico, linfoadenectomia over-D1 (8).

2. Inconsistenza degli studi randomizzati
In letteratura, vi sono 8 studi randomizzati sull’estensione della linfoadenectomia (6,9-15). Tre studi (9,11,12) non possono esser tenuti in considerazione, perché l’esiguità della casistica preclude l’attendibilità statistica dei risultati. Restano 2 studi europei (6,10), che confrontano D1 e D2 e 3 studi orientali che paragonano D1 verso D3 (13) e D2 verso D2 associata alla dissezione paraortica sinistra (PAND) (14) e D2 verso D4 (15). Gli studi europei hanno dimostrato che non vi è alcun beneficio ad estendere la linfoadenectomia oltre il primo livello e tutti hanno messo in evidenza un aumento della morbidità chirurgica. Tali studi randomizzati, per quanto rappresentino il gold standard della ricerca clinica scientifica, sono penalizzati da: a) ridotta familiarità dei chirurghi occidentali con la linfoadenectomia estesa, che si è tradotta in un eccesso di morbilità post-operatoria, b) accuratezza limitata nel distinguere una D1 da una D2 con problemi di ridotta compliance (pazienti randomizzati per D2 che hanno eseguito una linfoadenectomia più limitata) e problemi di contaminazione (pazienti randomizzati per D1 che hanno subito una linfoadenectomia più estesa). Ne è conseguito che il confronto effettuato non è stato tra D1 e D2, ma sovente tra D1-D1.5 e D1.5-D2 e questo ha indebolito un’eventuale differenza attesa. Va peraltro considerato che un’analisi a 12 anni di uno studio olandese ha dimostrato una sopravvivenza significativamente migliore a vantaggio della linfoadenectomia D2 (23).
Lo studio di Wu et al. (13) ha confrontato D1 e D3: la D1 includeva la dissezione dei linfonodi perigastrici in stretta contiguità del tumore lungo la grande e piccola curva, mentre la D3 includeva i linfonodi lungo i vasi gastrici di sinistra, arteria epatica comune e splenica, i linfonodi del legamento epatoduodenale, dell’area retropancreatica ed intorno alla vena mesenterica superiore. La sopravvivenza a 5 anni era significativamente migliore per il braccio D3 (59.5%) contro il braccio D1 (53.6%), anche se il braccio D1 riceveva un trattamento che molti Autori occidentali giudicherebbero inferiore allo standard. Più interessante è lo studio di Sasako et al. (14), che ha confrontato la classica D2 giapponese con una D2 allargata ai linfonodi paraortici (PAND), partendo dal presupposto che nel carcinoma gastrico avanzato l’incidenza di metastasi microscopiche nella regione paraaortica è dell’ordine del 10-30%. La sopravvivenza a 5 anni era sovrapponibile, 69.2% nella D2 e 70.3% nella D2 più PAND. L’incidenza di N+ paraortici risultò particolarmente elevata nei tumori di grosse dimensioni, con grosse adenopatie e con interessamento dei linfonodi intorno all’arteria gastrica sinistra (N 7) (16).
Nello studio di Yonemura et al. (15), la sopravvivenza a 5 anni nel braccio D2 era 52.6% vs 55% nel braccio D4 (definendo così gli Autori asiatici la dissezione estesa alla stazione para-aortica), una differenza non risultata statisticamente significativa.

3. Contributo di studi non randomizzati pluristituzionali 
a) Wanebo et al. (17) hanno condotto un’indagine retrospettiva per conto dell’American College of Surgeons su 3.804 pazienti sottoposti a gastrectomia curativa D0, D1 o D2: non vi era alcuna differenza nella sopravvivenza a 5 anni, che era compresa tra il 26% e il 35%, valore certamente molto basso in confronto a molte casistiche monoistituzionali.
b) Siewert et al. (18) hanno rianalizzato retrospettivamente 1.182 pazienti in cui era stata eseguita una linfoadenectomia D1 oppure D2-D3, definita in base al numero di linfonodi < o >= 26. Globalmente, un vantaggio nella sopravvivenza a 5 anni è stato ottenuto soltanto con una D2-D3 nello stadio II (T1N2, T2N1, T3N0) (55.2% nei pazienti sottoposti a D2-D3 vs 26.8% in quelli trattati con D1) e nello stadio III A (T2N2, T3N1, T4N0) (38.4% per la D2-D3 vs 25.3% per la D1).

In realtà, il tentativo di confronto tra le due procedure per stadi di malattia incontra una serie di difficoltà metodologiche, tra le quali la più insidiosa è il cosiddetto fenomeno di migrazione di stadio, noto come fenomeno di Will Rogers. L’accuratezza della stadiazione è condizionata dalla estensione della linfoadenectomia: i pazienti stadiati come N- dopo linfoadenectomia limitata hanno più probabilità di avere in realtà qualche metastasi linfonodale non diagnosticata rispetto ai casi classificati N- dopo linfoadenectomia estesa. Pertanto, i pazienti sottoposti a linfoadenectomia limitata sono più facilmente soggetti ad una sotto-stadiazione dell’interessamento linfonodale rispetto a quelli operati con una linfoadenectomia estesa. I successi vantati con linfoadenectomia estesa si possono pertanto spiegare, almeno in teoria, con il fatto che laddove si esegua un confronto stadio per stadio, si paragonano stadi di malattia in realtà diversi: più avanzati, perchè sotto-stadiati, quelli sottoposti a linfoadenectomia limitata rispetto a quelli sottoposti a linfoadenectomia estesa. Questa "migrazione dello stadio" è tuttavia valida soprattutto quando il campionamento linfonodale è < 15-17 linfonodi (18).
c) Analogamente, un’analisi post hoc (19) dello studio clinico controllato olandese ha rilevato che nel sottogruppo di pazienti ad alto rischio di ripresa di malattia, secondo l’indice di Maruyama, la linfoadenectomia D2 presentava vantaggi in termini di sopravvivenza rispetto alla D1.
d) Una revisione della letteratura principalmente giapponese su circa 4.500 casi R0 (20) ha messo in evidenza una sopravvivenza a 5 anni del 22.6% nel gruppo trattato con una D2 e del 28.5% in quelli sottoposti a linfoadenectomia D3. In realtà l’interessamento linfonodale N3 è stato osservato nell’8% dei pazienti con linfoadenectomia D3 e, se si considera che in questi pazienti la sopravvivenza a 5 anni è di circa il 9%, ne consegue che il beneficio di una D3 sistematica è di solo lo 0.7%.
e) Vi sono peraltro parecchie segnalazioni di chirurghi di scuola italiana (Roma, Verona, Torino, L’Aquila, Siena), che riportano un beneficio in termini di sopravvivenza dei pazienti sottoposti a linfoadenectomia D3. I limiti di questi studi, che peraltro sono espressione di un’ottima capacità tecnica di alcune importanti scuole chirurgiche, consistono nel fatto che sono per lo più di fase II e non consentono a priori l’identificazione dei pazienti che beneficiano della procedura allargata. In un recente studio su 615 pazienti (21), è stato dimostrato che il rischio di morte per carcinoma gastrico, studiato con modello di Cox, diminuisce quando il volume di resezione comprende almeno 25 linfonodi. Tale numero di linfonodi è quello che comunemente si reperisce nei Paesi Occidentali, quando si esegue una linfoadenectomia D2 e questa procedura, nelle Istituzioni che la attuano di routine, ha una mortalità chirurgica di circa il 2%, come è stato confermato anche da un recentissimo studio randomizzato italiano (22).

In conclusione, da quanto sopra illustrato, appare che nessuno studio, randomizzato o non, è in grado si supportare in modo incontrovertibile i vantaggi di un tipo di linfoadenectomia rispetto ad un altro.
Una valutazione complessiva dei risultati riportati in letteratura fa ritenere che una linfoadenectomia che asporti almeno 20-25 linfonodi (linfoadenectomia allargata o tipo D2 o, meglio, over D1) vada privilegiata per i seguenti motivi:
-    negli studi randomizzati olandese ed inglese (6,10), la D1 (in realtà D1-1.5) consente una sopravvivenza a 5 anni del 35-45%, che sale al 53% nello studio randomizzato di Wu et al. (13). Tali valori sono comunque pari od inferiori a quelli riportati con una linfoadenectomia D2 nello studio randomizzato di Yonemura et al. (15) e di Sasako et al. (14) (53% e 69%, rispettivamente);
-    alcuni gruppi di pazienti ad alto rischio (stadio II e IIIA) (18) beneficiano particolarmente di una linfoadectomia allargata e l’assenza di una campagna per la diagnosi precoce nei Paesi Occidentali fa sì che, nelle casistiche europee, i pazienti con malattia avanzata siano tuttora la maggioranza. Inoltre, i sottogruppi di pazienti ad alto rischio non possono essere identificati a priori prima dell’intervento chirurgico. Infine, va sottolineato che la linfoadenectomia D2 di principio ha portato un beneficio in termini di sopravvivenza a lungo termine anche nello studio olandese (23);
-    un’analisi del database americano (SEER) (24) ha confermato su 3.814 pazienti T1-3N0-1 che maggiore è il numero di linfonodi esaminati e migliore è la sopravvivenza anche se, soprattutto per i casi con meno di 17 linfonodi, non si esclude un importante effetto di migrazione dello stadio. In accordo con questa valutazione è la dimostrazione che minore è il volume linfonodale residuo alla linfoadenectomia (cosiddetto Maruyama Index < 5), maggiore è la probabilità di sopravvivenza globale e libera da malattia (19);
-    una linfoadenectomia "molto estesa" (tipo D3) non ha dimostrato significativi vantaggi in termini di sopravvivenza né negli studi retrospettivi condotti su un numero elevato di pazienti (20), né nel recente studio randomizzato condotto da Sasako et al. (14).
Una considerazione particolare va riservata al carcinoma sottocardiale. Secondo Siewert (25), la compromissione linfonodale è la seguente: lungo la piccola curva 85%, stazione paracardiale destra 52%, stazione paracardiale sinistra 49%, lungo l’asse celiaco 39%, lungo l’arteria/ilo splenico 33%, lungo la vena renale sinistra 15%, nel peduncolo epatico 10%. Più precisamente, De Manzoni et al. (26) hanno correlato la prevalenza di compromissione di linfonodi para-aortici in funzione del T in pazienti sottoposti ad una linfoadenectomia D4 ed hanno riportato valori del 17%, 20% e 25%, rispettivamente nelle classi pT2, pT3 e pT4. L’ilo splenico risultava compromesso nel 14% dei pT3 e nel 50% dei pT4.Questi dati rendono ragione della prognosi severa per i pazienti con tumori sottocardiali, della scarsa efficacia di una D2+PAND (14) e semmai sollevano il problema della splenectomia di principio nei tumori di questa sede (27).

Splenectomia 
Sulla base di valutazioni retrospettive, si ritiene che la splenectomia aumenti il rischio chirurgico immediato e tardivo e la durata della degenza post-operatoria. Sotto il profilo oncologico, la domanda che ci si pone è se la splenectomia, intesa come procedura che asporta anche i linfonodi dell’arteria splenica e dell’ilo splenico, possa dare un vantaggio nella sopravvivenza dei pazienti. Se vengono considerati i risultati delle analisi multivariate, alcuni Autori non rilevano alcun vantaggio della splenectomia sulla sopravvivenza dei pazienti, mentre per altri la splenectomia si associa ad un consistente aumento della morbidità e mortalità post-operatoria e di ripresa di malattia. Secondo Oh et al. (28), la conservazione della milza negli interventi di gastrectomia totale in pazienti con carcinoma del terzo superiore dello stomaco ha un effetto protettivo nel gruppo di pazienti pN0. A conferma di questi risultati, sono stati recentemente pubblicati i dati di uno studio randomizzato sull’effetto della splenectomia in pazienti con tumore del terzo prossimale dello stomaco (29): su 200 pazienti non è stato osservato alcun effetto positivo della splenectomia sulla sopravvivenza a distanza nel sottogruppo in cui erano presenti metastasi ai linfonodi dell’arteria splenica o dell’ilo splenico.
Tutti i dati pertanto controindicano l’impiego della splenectomia quale procedura standard associata alla gastrectomia totale, mentre si ritiene che essa possa essere considerata solo in presenza di adenopatie dell’arteria e dell’ilo splenico, non asportabili con la conservazione dell’organo.

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