Ho ascoltato in televisione una parte del discorso che papa Francesco ha fatto
nell'udienza di Mercoledì 27 novembre 2013. Ha parlato del significato della
morte per il cristiano, ha cercato di spiegare le motivazioni sulla sofferenza
e sulla morte dei bambini. Sono argomenti che molti hanno affrontato e sui
quali si riflette continuamente, in particolare chi soffre. Del discorso di
papa Francesco sono rimasto colpito e condivido le seguenti affermazioni, anche
se sono convinto che chi non crede nell'amore di Gesù Cristo, perché ateo o
perchè di altra religione ma pratica la misericordia, non deve temere la morte:
Pertanto, una via sicura è recuperare il
senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle
piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo. La solidarietà nel compatire
il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità
quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte.
Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete
d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia
non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle
ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo.
Ha
senso mettere a confronto le affermazione di papa Francesco e di Albert
Einstein sulla morte. Io ci provo, lasciando a voi giudicare quali siano più
rassicuranti!!
Papa
Francesco afferma: Chi pratica la
misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non
dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme
la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con
l’amore di Gesù Cristo. Se viene intesa come la fine di tutto, la morte
spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni
prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Einstein
non sarebbe d'accordo perchè era convinto che: «Io non credo in un Dio personale
e non ho mai negato questo fatto, anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni
chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia
sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui
potuto rivelare.» Sono da discutere le seguenti asserzioni di papa Francesco: Questo
capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli:
la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello
della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa
concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza
come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste
anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere
solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata
della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di
negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura.
Ecco
il pensiero di Einstein sulla morte (egli non era ateo, forse panteista): «Non riesco a concepire un Dio che premi e
castighi le sue creature o che sia dotato di una volontà simile alla nostra. E
neppure riesco né voglio concepire un individuo che sopravviva alla propria
morte fisica; lasciamo ai deboli di spirito, animati dal timore o da un assurdo
egocentrismo, il conforto di simili pensieri. Sono appagato dal mistero
dell'eternità della vita e dal barlume della meravigliosa struttura del mondo
esistente, insieme al tentativo ostinato di comprendere una parte, sia pur minuscola,
della Ragione che si manifesta nella Natura.»
“Chi pratica la misericordia non teme la morte”. (Udienza
di Papa Francesco del 27 novembre 2013)
I circa 50 mila fedeli che erano
presenti, il 27 novembre 2013, in Piazza San Pietro hanno sfidato un freddo
pungente pur di partecipare all’Udienza
Generale di Papa Francesco, ricevendo da lui i complimenti: “ siete coraggiosi
con questo freddo in piazza! Complimenti, tanti!”. Il Santo Padre ha continuato
oggi, e lo farà anche il prossimo mercoledì, le catechesi sul “Credo”, portate
avanti durante l’Anno della Fede, parlando del tema della resurrezione della
carne, soffermandosi in particolare sul «morire in Cristo».
Queste le
parole di papa Francesco: Cari
fratelli e sorelle, buongiorno e complimenti perché siete coraggiosi con questo freddo in
piazza. Tanti complimenti.
Desidero
portare a termine le catechesi sul “Credo”, svolte durante l’Anno della Fede,
che si è concluso domenica scorsa. In questa catechesi e nella prossima vorrei
considerare il tema della risurrezione della carne, cogliendone due aspetti
così come li presenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè il nostro
morire e il nostro risorgere in Gesù Cristo. Oggi mi soffermo sul primo
aspetto, «morire in Cristo».
1. Fra noi
comunemente c’è un modo sbagliato di guardare la morte. La morte ci riguarda
tutti, e ci interroga in modo profondo, specialmente quando ci tocca da vicino,
o quando colpisce i piccoli, gli indifesi in una maniera che ci risulta
“scandalosa”. A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?,
perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte
spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni
prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita
quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la
nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello
della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa
concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza
come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste
anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere
solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata
della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di
negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura.
2. Ma a questa
falsa soluzione si ribella il “cuore” dell’uomo, il desiderio che tutti
noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo dell’eterno. E
allora qual è il senso cristiano della morte? Se guardiamo ai momenti più
dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori,
un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che,
anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la
convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è
stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra
vita non finisce con la morte.
Questa
sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione
di Gesù Cristo. La risurrezione di Gesù non dà soltanto la certezza della vita
oltre la morte, ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di
noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con
speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega:
«Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa
dell’immortalità futura». Una bella preghiera della Chiesa questa! Una persona
tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il
Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato
ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo
abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare
faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci:
contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore, vederlo come
Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo
fino a questo punto: vedere il Signore.
3. In questo orizzonte
si comprende l’invito di Gesù ad essere sempre pronti, vigilanti, sapendo che
la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita, quella con
il Padre celeste. E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla
morte, stando vicino a Gesù. Questa è la sicurezza: io mi preparo alla morte
stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei
Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente
nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa
parabola del giudizio finale, quando dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete
accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e
siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una
via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione
fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro
prossimo. La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è
premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi
pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica
la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non
dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme
la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con
l’amore di Gesù Cristo.
Se
apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli,
allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo,
alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con
il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con i santi.
Benché di famiglia
ebraica, Einstein non credeva negli aspetti strettamente religiosi
dell'ebraismo ma considerava se stesso ebreo da un punto di vista culturale.
Einstein fu socio onorario della Rationalist Press Association sin dal 1934.
Einstein in età adulta rifiutava nel complesso l'idea di un Dio personale
(ritenendola una forma di antropomorfismo) tipica della concezione
ebraico-cristiana, come testimonia una lettera personale nel 1954, dove
scriveva: « Io non credo in un Dio
personale e non ho mai negato questo fatto, anzi, ho sempre espresso le mie
convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la
mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui
potuto rivelare.»(da Wikipedia)
Nessun commento:
Posta un commento