Gli effetti collaterali della chemio sono noti a molti pazienti oncologici. Essi variano da persona a persona, come ci dicono spesso gli oncologi quando ci lamentiamo. Ci sono differenti risposte alle varie terapie chemioterapiche da parte degli
individui a seconda delle loro differenze genetiche. Ora si è capito il motivo, in particolare per le fluoropirimidine. Si tratta di un enzima, il diidropirimidina deidrogenasi, necessario all’organismo per inattivare ed
eliminare i farmaci citotossici appartenenti alla classe delle
fluoropirimidine. L'amica Pinuccia
mi segnala dal Corriere della Sera.it, Sportello Cancro, del 22 novembre 2013, questo interessante articolo di FARMACOGENETICA
dal titolo: Un
test predice se la chemio sarà troppo tossica a cura Vera
Martinella (Fondazione Veronesi). Sottotitolo: Un
prelievo del sangue per analizzare il Dna e individuare i pazienti che
avranno
difficoltà a tollerare i farmaci. Mi
sono permesso di linkare alcuni termini per renderli più compresibili.
Segnala anche un articolo di un anno fa, della stessa autrice, dal
titolo: Pochi i medici attenti ad alleviare i disturbi da chemioterapia.
Perché alcuni malati tollerano più o meno bene la
chemioterapia e altri con lo stesso tipo di tumore e la stessa cura non
riescono a completare il ciclo di trattamenti? La risposta, ancora una volta, è
contenuta nel nostro Dna, come dimostra lo studio presentato a Torino durante
il congresso nazionale della Società Italiana di Farmacologia. E, dopo aver
identificato il meccanismo responsabile della difficoltà a «smaltire» la
tossicità di due fra i chemioterapici più utilizzati, i ricercatori hanno messo
a punto un test in grado di prevedere chi avrà bisogno di dosi ridotte e chi di
una cura completamente differente. PREVENIRE LA TOSSICITA’ È FONDAMENTALE PER EVITARE COMPLICANZE - La ricerca, durata diversi anni, ha raccolto informazioni su oltre 500 pazienti trattati con chemioterapia a base di fluoropirimidine (5-fluorouracile e capecitabina) nei quali si erano verificati diversi tipi di effetti collaterali. «Si tratta di farmaci in uso da molto tempo ampiamente impiegati per curare alcune fra le neoplasie più frequenti, come quelle del colon, della mammella e dell’area testa e collo - spiega Romano Danesi, responsabile dell’Unità di farmacologia clinica all’Azienda ospedaliero universitaria pisana, che ha presentato la ricerca a Torino -, dunque su un numero molto rilevante di persone. Si tratta infatti dei chemioterapici più utilizzati in assoluto. La loro somministrazione può però provocare tossicità gastrointestinali ed ematologiche anche molto gravi (tra cui diarrea, riduzione del numero di globuli bianchi e rischio di infezioni), la cui prevenzione è fondamentale per evitare di incorrere in serie complicanze che possono portare a sospendere le terapie, compromettere seriamente la qualità di vita dei malati o, in casi rari, causarne il decesso». UN SEMPLICE TEST DEL SANGUE - Analizzando i dati relativi a questo gruppo di pazienti, i ricercatori sono riusciti a identificare una causa genetica che espone alcuni malati a tossicità maggiore rispetto ad altri: «Il responsabile – prosegue Danesi – è la carenza della diidropirimidina deidrogenasi, un enzima necessario all’organismo per inattivare ed eliminare i farmaci citotossici appartenenti alla classe delle fluoropirimidine, una volta esercitato il loro effetto terapeutico. In pratica le persone che hanno carenza di questo enzima riescono a «smaltire» con maggiore difficoltà, o non riescono a eliminare del tutto, la tossicità della cura». A questo punto gli studiosi hanno messo a punto un test, effettuato su un piccolo prelievo di sangue del paziente, in grado di evidenziare l’eventuale carenza di diidropirimidina deidrogenasi e, dunque, di indicare i malati per i quali la cura sarà più tossica. «Il test – conclude l’esperto - andrebbe eseguito di routine su tutti i pazienti prima che inizino un ciclo di chemio con 5-fluorouracile o capecitabina, in modo da escludere decisamente alcuni malati da questa cura o da poter adattare al meglio la dose di trattamento sul singolo malato. Ma l’esame può essere eseguito anche sui pazienti che hanno già avuto tossicità allo scopo di identificare la causa di quanto si è manifestato».
FARMACOGENETICA, LA SFIDA DEL FUTURO - Esistono altri test simili in oncologia, creati con lo scopo di prevenire o diagnosticare le cause della tossicità dei medicinali: ad esempio nei pazienti con tumore del colon-retto trattati con irinotecano viene esaminato l’enzima uridina-glucuronil transferasi; o nei bambini con leucemia linfoblastica acuta trattati con 6-mercaptopurina viene misurato l’enzima tiopurina metil-transferasi. «Ormai sappiamo – commenta Armando Gennazzani, del Dipartimento di Scienze del Farmaco presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale – che ci sono differenti risposte alle varie terapie da parte degli individui a seconda delle loro differenze genetiche. Attualmente, la scelta del farmaco giusto avviene per lo più attraverso una procedura per tentativi ed errori, nel senso che si incomincia con un farmaco e se questo non funziona si cambia prescrizione, fino a trovare il trattamento adatto per quella persona. La farmacologia moderna non ha di fronte soltanto la sfida di individuare nuove cure, ma anche quella di rendere più maneggevole e sicuro l’impiego di medicinali di uso già consolidato, efficaci ma in alcuni casi gravati da effetti collaterali importanti che, in diversa misura, ne limitano l’impiego. E’ un indirizzo di ricerca che ha subito un notevole impulso grazie alla farmacogenetica, cioè lo studio delle determinanti genetiche che regolano la risposta individuale a un farmaco, sia in termini di efficacia sia in termini di tossicità. Il ricorso all’esecuzione di opportuni test genetici metterebbe il medico nella condizione di stabilire subito quale farmaco funzionerà in quel particolare paziente e prescrivere tempestivamente terapie più efficaci».
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