venerdì 14 ottobre 2011

La prima giornata di chemio di Adriana e Giovanni


La chemio è come 

una ferrata (Tridentina)

Copio e incollo dall'altro blog che curo http://prontoanziano.blogspot.com/ il post sulla mia prima giornata di chemio. Dopo il mio racconto riporto anche quello analogo di Adriana: un'altra storia, un altro modo di vivere un'esperienza alquanto traumatica!

La prima chemio di Giovanni
Vi racconto la mia prima giornata di chemio perchè potrebbe essere di aiuto alle persone che dovranno in futuro subire per se, per i propri familiari, per amici o parenti, una simile cura da cavallo. Credo che per sopportare meglio la chemio sia  buona filosofia  conoscere sia gli aspetti negativi che positivi, privilegiando però quelli positivi. A seconda del tipo di tumore e dello stadio a cui si trova (non vi dico per il momento la stadiazione del mio tumore per non impressionarvi), la chemioterapia può:
  1. Curare il cancro: la chemioterapia distrugge tutte le cellule malate fino all’eliminazione completa del tumore.
  2. Controllare il cancro: la chemioterapia evita che il cancro si diffonda, ne rallenta la crescita o distrugge le cellule malate che si sono diffuse in altre parti del corpo (metastasi).
  3. Dà sollievo ai sintomi del cancro (cura palliativa): la chemioterapia riduce il dolore o l’oppressione causate dal tumore.
Io non so se appartengo al punto 2 o al 3, escludo il punto 1.
Ieri 3 febbraio 2011 sono stato  all'ospedale di Piove di Sacco, accompagnato da Giovanna, mia moglie, per effettuare la mia prima chemio...per disguidi in parte imputabili a me, in parte a opinioni diverse dei medici, ho cominciato la chemio esattamente due mesi dopo l'intervento (intervento chirurgico il 3 dicembre). Di prassi mi dicono che la chemio comincia 30/40 giorni dopo l'intervento, nel mio caso 60.
Nel reparto di medicina oncologica, 6° piano dell'Ospedale di Piove di Sacco,  primario dott. Adriano Fornasiero, dopo aver prenotato il giorno, si può arrivare alle 8.30/11.30/14.30. Sono giunto alle ore 8.00, partenza da casa 7.30...c'erano già delle persone in attesa,  di norma quelle che fanno l'esame del sangue prima della chemio. Alle 8.30 comincia la chiamata, ti assegnano un numero, ordine di precedenza e un colore che corrisponde ad un oncologo, per questione di privacy dicono, a me è toccato il 4 giallo. Vengo chiamato alle ore 9.15 dalla caposala ed essendo la prima visita mi porta dal primario. Vede gli  esami che mi aveva prescritto in una precedente visita e decide il seguente protocollo: 6 cicli, uno ogni 21 giorni, con tre chemioterapici Cis Platino, Taxotere 80, Xeloda...i primi due per endovena in Ospedale,  il terzo farmaco è in compresse, 4 al giorno per cinque giorni a casa. Gli effetti collaterali possono essere: nausea/vomito, astenia (stanchezza per qualche giorno), alopecia (perdita di capelli, nel mio caso non è un problema, ma per le donne sicuramente si), diminuzione delle cellule ematiche, ulcere nella cavità orale e dolore.
Prima di cominciare la cura un'infermiera mi spiega gli effetti collaterali della chemio, la dieta da seguire e mi consegna due foglietti con le istruzioni (per maggiori informazioni si vedano  i siti:
Ringrazio la nostra coordinatrice del Centro Geriatria Avo, Emilia Lavagna, per le pubblicazioni molto utili che mi ha dato sull'argomento. Comincio la terapia verso le 10.30 con  la ricerca della vena, scopro che per molti pazienti trovare la vena è un problema, alcuni hanno quindi  il port,  un presidio impiantabile usato per infondere farmaci direttamente nel circolo sanguigno. 
Tale dispositivo è formato da due elementi fondamentali:
1. il reservoir o “camera”: si tratta di un piccolo serbatoio di circa 3 cm, con una parte rialzata chiamata “setto”, rappresentato da una membrana costituita da una speciale gomma autosigillante su cui s’inserisce l’ago;
2. il catetere venoso centrale: è un tubicino flessibile, collegato al port, che serve ad infondere il farmaco direttamente nel circolo sanguigno attraverso una grossa vena (vena cava superiore o vena giugulare interna). 
Comincio la terapia, in una stanza con nove poltrone alquanto affollata, con  un flacone contro vomito/nausea, segue del ferro per curare  un po' di anemia, un diuretico, una soluzione per recuperare i sali perduti,  il chemioterapico Pt 70, un antistaminico per evitare che il Taxotere  80, altro farmaco chemio, provochi allergia, alla fine soluzione per lavaggio vena, quindi un bel cocktail  di farmaci. 
Ci sono due stanze per la chemio, una più piccola con sedie e lettini, l'altra più grande con nove poltroncine con la televisione e un bagno, molto comodo, perchè a causa del diuretico sono andato a fare la pipì molte volte. Ho terminato la seduta verso le 15.30, colloquio con la caposala e il primario per gli ultimi consigli, ho chiesto inoltre al dott. Fornasiero quanti flaconi  di ferro devo fare a Padova, non è il caso che vada a Piove solo per il ferro. 
Ho trovato molta disponibilità  da parte del  primario, della caposala e del personale infermieristico, sempre pronto a cambiare sacche e flaconcini una volta esauriti, a cambiare i canali della TV, ad aiutarti per ogni necessità. 
Essendo la prima volta e avendo una seduta lunga, ho visto e dialogato con molte persone. In maggioranza  le pazienti sono donne, alcune anche molto più giovani di me sposate con figli  in età scolastica, in genere poco loquaci, perché immerse nei propri pensieri,  ma non mi è stato difficile intavolare un discorso e ascoltare i  problemi di quelle sedute vicino a me. Il clima è cordiale e accogliente.  
La mia vicina di sedia mi ha raccontato la sua malattia, l'ho vista mettere la cuffia refrigerante che aiuta a non perdere i capelli, le ho mostrato il libro che mi ero portato "Amazzone" di Adriana Reginato. 
Ho trovato anche due persone che conoscevo che hanno accompagnato dei familiari, mi hanno spiegato come funziona l'organizzazione, anche loro erano molto soddisfatte del servizio, delle infermiere, dei medici e del primario.

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La prima chemio di Adriana (fatta prima di me)
IERI, giorno della chemio:
1) Vi ricordo che l'infermiera mi aveva detto di presentarmi, alle 11.30, a stomaco pieno ma di cibo leggero e asciutto, magari mangiando una pasta e senza bere. Ho capito da sola che sarebbe stato impossibile, visti i tempi biblici d'attesa all'ospedale, quindi mi sono portata via un pacchetto di grissini da sgranocchiare in "tempi utili".
2) Sono arrivata puntuale e mi sono presentata alla reception di oncologia. "Ah, tu sei quella con cui ho parlato ieri al telefono", mi dice l'addetta. TUUUUU? Già mi indigno quando sento che alla cassa dei supermercati danno SEMPRE del tu agli extracomunitari. E questa (molto più giovane di me, anche se non conta) come si permette di tenere tutta la conversazione dandomi del Tu, mentre io le dò del Lei? Ha forse ereditato quella superata (o no?) spocchia di certi medici e infermieri che danno del Tu ai pazienti? Capisco che si possa usare il nome comune. Es. "Ah, Lei è Adriana, che mi ha telefonato ieri", una formula pseudo confidenziale, ma che può essere rassicurante. A questo punto decido di mettere in difficoltà la maleducata. "Sì, sono io, mi dice a che ora farò la chemio?". "Credo che l'attesa sarà lunga, anche perché prima AVRAI la visita con l'oncologo che è molto occupato". "Lei mi ha detto di presentarmi a stomaco pieno, non vedo come sia possibile...". "Ma, non saprei...". "Mi sono portata un pacchetto di grissini...". "Mi sembra un po' poco". "Perché, non è sufficiente?". "Sììììì, per la chemio sì, ma penso che Ti verrà fame". "Mi bastano". "Bene, allora VAI nella sala di aspetto. Il tuo numero è 8 rosso". (Chiamano per numero e non per nome per questione di privacy). "Mi scusi, un'altra cosa. Sono stata accompagnata da mio figlio. So che sarò impegnata per diverse ore e lui ha un lavoro urgente da portare a termine sul suo portatile. C'è una spina a cui collegarsi?". "Si, ce ne sono diverse in sala aspetto". "Ma non c'è un tavolino? Rischio di spaccarmi la schiena a stare su una sedia col computer sulle ginocchio". Naturalmente non c'è e Filippo si rifugia al bar, dove trova un barista cortese. Mi chiedo: ma non sanno che chi è sottoposto a chemio viene accompagnato da qualcuno che dovrà aspettare per ore e ore?". Possibile che non si possa mettere a disposizione di questi "sfigati" una saletta a parte con sedie, qualche poltrona, un tavolo dove consumare uno spuntino, lavorare, schiacciare un pisolino, guardare la tv?
Scopro occasionalmente dopo che in un angolo quasi invisibile del bancone ci sono dei volantini molto striminziti: uno parla della dieta in chemio, l'altro del del trattamento. Perché non mi sono stati consegnati, visto che ero alla prima seduta?
Nota: c'è il menù tipo per una settimana. Resto strabiliata: se già uno non ha problemi di fegato, di colesterolo, di gastrite, cardiaci e quant'altro sicuramente gli verranno, tanto è abbondante di panna, besciamella, burro, dolci, uova, maionese, ecc. E anche se uno è perfettamente sano, sicuramente stramazza. Ho letto su Internet che la chemio può portare ad un aumento di peso. Ma sarà la chemio in sé (che forse fa trattenere i liquidi, altre spiegazioni non me ne vengono, o la dieta sconsiderata che consigliano e di cui non ho trovato traccia di somiglianza in quelle che ho consultato in Internet?)
3) Dalle 11.30, il mio 8 rosso viene chiamato alle 14 (e ormai la gestione dei miei grissini mi è completamente sfuggita). L'oncologo non mi trattiene più di dieci minuti, durante i quali continua a riempire moduli (dovrei chiedere per la mia dieta da diverticoli che non sempre si concilia con la chemio, dovrei chiedere delle mie vene), ma non mi permetto di interrompere lo "scrivano". Sono anche innervosita dalla presenza della capo-sala. Sempre a proposito di privacy, non mi pare che una capo-sala sia tenuta al segreto professionale e ne ho avuto ampia prova in miei passati ricoveri. Alla fine mi vengono date alcune carte, la prescrizione di due esami e inviata alla chemio.
Mi accoglie un'infermiera che mi porta in uno stanzino dove mi fa un'iniezione (non ricordo più per cosa) e mi consegna tre pastiglie antivomito (questa almeno non mi dà del TU). Si trattiene invece la scatoletta monodose con relative foglietto di indicazioni. "Possono avere controindicazioni?" chiedo. "Sì, provocano stitichezza, ma contrastano oltre a nausea e vomito, anche la diarrea". "Ma sono da prendere in via preventiva o all'occorrenza?". "All'occorrenza". Meno male, penso io, preferisco sopportare finché posso nausea, vomito e diarrea piuttosto di stitichezza che mi provocherebbe molto probabilmente un'infezione ai diverticoli, nonché le emorroidi.
Entro nella sala indicata e resto allibita. Io mi pensavo in una stanzettina privata, sdraiata su un lettino, o almeno separata da un paravento. Invece mi trovo in una sala comune (adiacente un'altra di analoga) con sette poltroncine già occupate (alla faccia della privacy!). C'è anche un tv, che fa impazzire l'infermiera perché naturalmente ognuno vorrebbe vedere qualcosa di diverso e nascono le discussioni. Scopro anche che c'è un certo fai da te per quanto riguarda le flebo: "ChiamaMI quando sei a metà...". "Infermieraaa, sono alla fine". "Chiudi il beccuccio". "Infermieraaa, la mia flebo suona". "Perché è una di quelle che avverte quando è finita, passo dopo a togliertela". Insomma, fanno di tutto per tenerti all'erta.
Arriva il mio turno: primo flacone con una miscela preventiva antinausea, antiacidità, lavaggio vena, ecc.; secondo flacome la chemio vera e propria, terzo flacone lavaggio della vena. "Ma ci vorranno ore" commento io, memore di precedenti esperienze. "No, no... mandiamo giù molto in fretta". Non mi sento affatto rassicurata, visto che ho vene di "cacca". La avverto, mi guarda come se fossero fisime.
"Dove hai il cancro?". "Al seno". "A quale? Devo saperlo perché..." e si inerpica in un'acrobatica speigazione di cui non capisco poco o niente, secondo cui l'ultima flebo dovrà essere eseguita sul braccio opposto oppure contiguo al seno interessato dall'intervento. "Il cancro è su tutti e due" spiego. Resta perplessa per questa "anomalia" e conlude con un generico. "Vabbe' vedremo". Non indago ulteriormente, sono già abbastanza preoccupata per la piega che stanno prendendo le cose.
"Guardi che anche i prelievi di sangue devolo farmeli con la farfallina (ago cortissimo con due alette). "Noi usiamo gli aghi plastica, da neonati". Mi scopro il braccio, lega il laccio, aspetta, sbatacchia, di vene nemmeno l'ombra. "Nei prelivi le hanno indicato un posto preciso?". "No, ma alla Data Medica ci azzeccano sempre al primo colpo". Ci prova anche lei, non vicino all'incavo del gomito, come prassi, ma viene colta da ispirazione a metà strada fra il gomito e la mano. Infila l'ago da neonato che sento non posizionato bene in vena. Glielo dico: "Sento l'ago in vena". "E' normale, tutti lo sentono". "Ma no, guardi che quando è a posto non si sente affatto". Mi ignora, apre la flebo e cinque secondi dopo la pelle comincia a sollevarsi. "Guardi che la vena si è rotta" l'avverto e le indico il leggero rigonfiamento. "Non toccarti, non è vero". Mi accorgo imbarazzata che tutti gli ospiti mi stanno guardando come se fossi una bimba capricciosa. Nel giro di altri cinque secondi il bozzo è diventato una collinetta che l'infermiera non può ignorare e toglie l'ago. Cerco di venirle in soccorso. "Erano in difficoltà anche quando mi hanno iniettato il liquido di contrasto per fare la risonanza magnetica. Guardi qui sul polso dove c'è un piccolo livido, forse è una vena più robusta". "Non mi fido dove c'è un livido. Proviamo sul dorso della mano". Fa ben più male, ma pazienza. Infila l'ago da "neonato" (voglio la farfallinaaaaa!), apre la flebo e niente, non scende una goccia. "Ma come è possibile?" si chiede e chiama una collega. Questa prende una normale siringa di soluzione fisiologica, tolta la cannuccia della flebo, la infila direttamente nell'ago che ho in vena. Spinge e niente: è come spruzzare contro un muro. "Si è immediatamente coagulata. - dichiara - vediamo l'altro braccio". Questa mi sembra più competente. Infatti, dopo un altro tentativo, trova la vena giusta. "E se fra un po' si straccia?" chiedo? "Non fa niente, questa soluzione non è pericolosa. E' quella della chemio che è pericolosa. Comunque tieni il braccio ben fermo". "Tre flebo sono un bel po' di liquido, e se mi scappa la pipì?". "Lì c'è il bagno e la flebo ha le ruote, puoi andarci tranquillamente". Non si offre di accompagnarmi e di aiutarmi, ha già scordato che devo stare ferma e che la vena che si straccia. "Chiamami quando il flacone arriva a metà", non prima di mettermi una cuffia ghiacciata che previene la caduta dei capelli (perché il tuo tipo di flebo è quello che fa cadere i capelli, mi dice e ne avevo trovato notizia su Internet circa questo surgelamento) e se ne va.
Faccio appena in tempo ad aprire il libro che mi ero portata, che subito ne arriva un'altra (in realtà l'avevo vista guardarmi con insistenza dalla postazione della mia vicina "ospite" (persona lagnosissima). "Allora c'è assistenza" penso e infatti quella si prende anche una sedia. Per prima cosa le chiedo una pomata da mettere sul bozzone del braccio "infortunato", onde evitare che il versamento si estenda. Accontentata. Poi le chiedo del "port" di cui avevo sentito parlare. Si tratta di una specie di valvoletta che viene infilata con un piccolo intervento chirurgico in anestesia locale e si collega direttamente con una grossa vena appena sotto la clavicola. Lo si può tenere anche per anni ed è la "porta" per tutte le flebo. Quindi, visto che ne avrò per mesi, mi sembra la cosa migliore. La mia "sorvegliante" va a parlarne ad un'altra infermiera e quella alla caposala, che a sua volta torna con il responso: "Ho parlato con l'oncologo e ha detto che è opportuno. Vuole fare l'intervento qui o a Padova?". "Ma, visto che ci sono lo farei qui, perché magari a Padova i tempi sono più lunghi" rispondo, sperando ardentemente di avere il port fra 15 giorni, quando farò la seconda chemio. "Benissimo, la chiamerà Chirurgia".
Ritorno a prestare attenzione alla mia "sorvegliante", che finalmente si presenta: "Sa, io non sono un'infermiera, ma una psicologa, lei mi è sembrata una persona interessante fin dal primo momento". Affascinata dalle mie vene a brandelli? Mi piglia comunque un colpo, non perché io abbia qualcosa contro una psicologa nella sala chemio, ma mi sembra onestamente fuori luogo in una sala così affollata, dove le uniche dispute sono in merito alla tv e dove se anche lei volesse fare il proprio mestiere ci sarebbero 7 paia d'orecchi ad ascoltare. E così non mi ha "sorvegliata" come io credevo... Infatti arriva l'infermiera e mi dice: "Ma non ti sei accorta che ti sei fatta tutta la flebo e non metà?". "Farà male?". Fa le spallucce e me la sostituisce con quella della chemio, arancione. Dal fondo della sala un' "ospite" arguta sbotta: "Ma guarda, non avevo mai fatto caso che le flebo fossero di tanti colori diversi". Io ho altro per la testa, ovvero se si straccia la vene e mi disperde la chemio fuori. "Lei mi sorveglierà, vero?" chiedo all'infermiera. "Certamente" dice e se ne va. O meglio, sparisce. Per chiamarla bisogna farlo a pieni polmoni, come scopro quando in tre finiscono la flebo contemporaneamente. Ma un cazzo di campanello per ognuno di quelle maledette poltroncine che mi stanno saccagnando la schiena non si può mettere? Mi rassegno, un occhio sul libro e uno all'ago. Anche la psicologa se n'è andata, perché ha finito il turno, non senza lasciarmi il suo biglietto da visita, l'invito a telefonarle in caso di bisogno e l'assicurazione che ci vedremo per tutta la durata del mio ciclo - che sarà sempre di giovedì - in quanto lei è presente proprio il martedì e il giovedì. Mio Dio, noooooo. Vorrei solo essere lasciata in pace!
Invece no! Entra uno, anzianotto, sempre col camice, a cui di tanto in tanto l'infermiera si rivolge per avere un po'di cotone, un cerotto, un cambio di cuffia. Devo cambiarla già anch'io perché mi sento la testa surriscaldata. Mi appello all'anzianotto: "Senta, sono nuovamente una testa calda". Non capisce la battuta, ma mi porge premurosamente una nuova cuffia. Ma chi sarà questo? In prima battuta avevo pensato ad un prete "mascherato" e avevo cacciato ancora più a fondo il naso del libro. Avevo scartato l'idea dell'infermiere, perché non avendo l'aspetto di un novizio non avrebbe servito l'infermiera. Ideona: è un volontario! Sììììì, anche il camice è diverso dagli altri. Nonno basta che te ne stai buono e non mi vieni a seccare con chiacchiere e pacchette sulle spalle!
Chiudo gli occhi sfinita, tentando di rilassarmi. Neanche cinque minuti. "Ti senti bene?" si materializza l'infermiera e se ne va. Decido di tenere gli occhi imbambolati, ma aperti, oltre evitare altre inutili incursioni.
Mi è risparmiato l'urlo per chiamare l'infermiera, in quanto passando vede che la chemio è quasi finita. Per fortuna la mia vena ha tenuto. Mi collega al terzo e ultimo bottiglione e io posso tornare a leggere con la relativa tranquillità della sala che si è in parte vuotata. Suona una flebo "tecnologica" e l'infermiera accorre, vedendo che anche la mia è agli sgoccioli, mentre la vescica invece mi trabocca. "Torno subito" mi dice. Sììììì, dopo un quarto d'ora e io ormai ho paura che alzandomi in piedi me la farò in braghe. Sono arrivata alle 11.30 e per fare una seduta di chemio da un'ora e mezzo, me ne vado alle 16.30. Visto che non scherzavo parlando di tempi biblici?
Quando esco dalla toilette noto sulla porta un cartello paradossale: "Non usare la toilette se non in caso di necessità". Non indago, mi precipito fuori, recupero mio figlio. Voglio andare a casa. "Come ti senti?" mi chiede e so che teme che gli possa vomitare nell'auto nuova. "Bene, ho perfino fame?". "Ma non doveva venirti la nausea?". "Booooh, la prima flebo dovrebbe prevenire anche la nausea". "Ah sì? E per quanto?" risponde giustamente preoccupato (Piove di Sacco-Padova circa mezz'ora). "Da un'ora a tre giorni, mi ha detto l'infermiera. Spero di essere fortunata". Mio figlio mi guarda allibito per la strana prognosi.
OGGI, sono un po' stanca, ma continuo a stare bene. Peccato che ho finito tutti i telefilm del dottor House... ma nella situazione di ieri hanno già avuto un influsso terapeutico, almeno mentre mi infilzavano.
Mi sveglio e vedo di assolvere subito ai miei doveri sanitari.
1) Sul foglio che la caposala mi ha dato per la prossima chemio c'è scritto giovedì 27, ma non l'ora. Telefono all'ospedale. "Ma qui noi non abbiamo la Tua prenotazione per la chemio". "Bene, ora l'avete, può dirmi a che ora". "Beh, alle 11.30, naturalmente!". Sono colta da scoramento: quindi qui l'orario non è per appuntamento, come dalla parrucchiera. Tutti, indistinatamente, ci si presenta alla stessa ora del giorno x e si aspetta il proprio fantomatico turno, a seconda di quante e quanto lunghe sono le visite dell'oncologo che deve vederti prima della chemio. Quindi giovedì 27 sarà la stessa trafila. "Senta, visto che ci sono, io devo mettere il port, vorrei sapere quando è l'appuntamento". "Aspetta che parlo con la caposala"..... "Mi ha detto che ti telefonerà direttamente Chirurgia quando avranno un posto libero". "Ma io lo vorrei mettere prima della prossima chemio". "Entro soli 15 giorni? Non credo, siamo molto affollati". Se qualcuno ha un suggerimento da darmi è ben accolto, o se ha un compiacente amico chirurgo che mi accelera i tempi me lo dica.
2) Altro scoglio. "Dovrà fare un emocromo il giorno prima di ogni chemio" mi aveva detto l'oncologo. "Proprio il giorno prima? Ma mi daranno i risultati nello stesso giorno? Devono, ho scritto URGENZA". Vatti a fidare... Ma perché non mi fanno loro l'emocromo prima della chemio? Forse lo fanno, ma probabilmente mi farebbero andare a digiuno alle otto di mattina, per finire l'iter alle 16.30. Meglio lasciar perdere... già stare in promiscuità con tutta quella gente mi ha fatto venire il raffreddore. Mica voglio altre malattie contagiose.
3) Telefono alla Data Medica e mi confermano che avrò prelievo e risultati nello stesso giorno. Ma io, entro il 27, devo anche fare una radiografia ai torace. "Lei è esente da ticket?". "Certo, ho il cancro" rispondo con il tono di quelli che mostrano il tesserino "Combattenti e reduci". "Non abbiamo posto prima della metà di aprile". Mi cadono le braccia. "E a pagamento?". "Allora può venire ogni giorno dalle 8 alle 18". "Ma a che ora?". "Non c'è ora, venga e aspetti il suo turno". "Il momento migliore?". "Alle 14". Affare fatto, fortunatamente le analisi mi hanno detto che il sistema biliare è in ottime condizioni. Ma resisterà?
Spero di non avervi annoiato con questo "stralcio" da "im-paziente". So che faccio parte di uno smisurato esercito, ma dopo tutti raccontano per sommi capi. Preferisco conservare memoria di quanto mi sta accadendo.
Con affetto
Adriana

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