La chemio è come
una ferrata (Tridentina)
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La prima chemio di Giovanni
Vi racconto la mia prima giornata di chemio perchè potrebbe
essere di aiuto alle persone che dovranno in futuro subire per se, per i
propri familiari, per amici o parenti, una simile cura da cavallo.
Credo che per sopportare meglio la chemio sia buona filosofia
conoscere sia gli aspetti negativi che positivi, privilegiando però
quelli positivi. A seconda del tipo di tumore e dello stadio a cui si
trova (non vi dico per il momento la stadiazione del mio tumore per non
impressionarvi), la chemioterapia può:
- Curare il cancro: la chemioterapia distrugge tutte le cellule malate fino all’eliminazione completa del tumore.
- Controllare il cancro: la chemioterapia evita che il cancro si diffonda, ne rallenta la crescita o distrugge le cellule malate che si sono diffuse in altre parti del corpo (metastasi).
- Dà sollievo ai sintomi del cancro (cura palliativa): la chemioterapia riduce il dolore o l’oppressione causate dal tumore.
Ieri 3 febbraio 2011 sono stato all'ospedale di Piove di Sacco,
accompagnato da Giovanna, mia moglie, per effettuare la mia prima
chemio...per disguidi in parte imputabili a me, in parte a opinioni
diverse dei medici, ho cominciato la chemio esattamente due mesi dopo
l'intervento (intervento chirurgico il 3 dicembre). Di prassi mi dicono
che la chemio comincia 30/40 giorni dopo l'intervento, nel mio caso 60.
Nel reparto di medicina oncologica, 6° piano dell'Ospedale di
Piove di Sacco, primario dott. Adriano Fornasiero, dopo aver prenotato
il giorno, si può arrivare alle 8.30/11.30/14.30. Sono giunto alle ore
8.00, partenza da casa 7.30...c'erano già delle persone in attesa, di
norma quelle che fanno l'esame del sangue prima della chemio. Alle 8.30
comincia la chiamata, ti assegnano un numero, ordine di precedenza e un
colore che corrisponde ad un oncologo, per questione di privacy dicono, a
me è toccato il 4 giallo. Vengo chiamato alle ore 9.15 dalla caposala
ed essendo la prima visita mi porta dal primario. Vede gli esami che mi
aveva prescritto in una precedente visita e decide il seguente
protocollo: 6 cicli, uno ogni 21 giorni, con tre chemioterapici Cis
Platino, Taxotere 80, Xeloda...i primi due per endovena in Ospedale, il
terzo farmaco è in compresse, 4 al giorno per cinque giorni a casa. Gli
effetti collaterali possono essere: nausea/vomito, astenia (stanchezza
per qualche giorno), alopecia (perdita di capelli, nel mio caso non è un
problema, ma per le donne sicuramente si), diminuzione delle cellule
ematiche, ulcere nella cavità orale e dolore.
Prima di cominciare la cura un'infermiera mi spiega gli effetti
collaterali della chemio, la dieta da seguire e mi consegna due
foglietti con le istruzioni (per maggiori informazioni si vedano i
siti:
Ringrazio la nostra coordinatrice del Centro Geriatria Avo,
Emilia Lavagna, per le pubblicazioni molto utili che mi ha dato
sull'argomento. Comincio la terapia verso le 10.30 con la ricerca della
vena, scopro che per molti pazienti trovare la vena è un problema,
alcuni hanno quindi il port, un presidio impiantabile usato per
infondere farmaci direttamente nel circolo sanguigno.
Tale dispositivo è formato da due elementi fondamentali:
1. il reservoir o “camera”: si tratta di un piccolo serbatoio
di circa 3 cm, con una parte rialzata chiamata “setto”, rappresentato da
una membrana costituita da una speciale gomma autosigillante su cui
s’inserisce l’ago;
2. il catetere venoso centrale: è
un tubicino flessibile, collegato al port, che serve ad infondere il
farmaco direttamente nel circolo sanguigno attraverso una grossa vena
(vena cava superiore o vena giugulare interna).
Comincio la terapia, in una stanza con nove poltrone alquanto
affollata, con un flacone contro vomito/nausea, segue del ferro per
curare un po' di anemia, un diuretico, una soluzione per recuperare i
sali perduti, il chemioterapico Pt 70, un antistaminico per evitare che
il Taxotere 80, altro farmaco chemio, provochi allergia, alla fine
soluzione per lavaggio vena, quindi un bel cocktail di farmaci.
Ci sono due stanze per la chemio, una più piccola con sedie e
lettini, l'altra più grande con nove poltroncine con la televisione e un
bagno, molto comodo, perchè a causa del diuretico sono andato a fare la
pipì molte volte. Ho terminato la seduta verso le 15.30, colloquio con
la caposala e il primario per gli ultimi consigli, ho chiesto inoltre al
dott. Fornasiero quanti flaconi di ferro devo fare a Padova, non è il
caso che vada a Piove solo per il ferro.
Ho trovato molta disponibilità da parte del primario, della
caposala e del personale infermieristico, sempre pronto a cambiare
sacche e flaconcini una volta esauriti, a cambiare i canali della TV, ad
aiutarti per ogni necessità.
Essendo la
prima volta e avendo una seduta lunga, ho visto e dialogato con molte
persone. In maggioranza le pazienti sono donne, alcune anche molto più
giovani di me sposate con figli in età scolastica, in genere poco
loquaci, perché immerse nei propri pensieri, ma non mi è stato
difficile intavolare un discorso e ascoltare i problemi di quelle
sedute vicino a me. Il clima è cordiale e accogliente.
La mia vicina di sedia mi ha raccontato la sua malattia, l'ho
vista mettere la cuffia refrigerante che aiuta a non perdere i capelli,
le ho mostrato il libro che mi ero portato "Amazzone" di Adriana
Reginato.
Ho trovato anche due persone che
conoscevo che hanno accompagnato dei familiari, mi hanno spiegato come
funziona l'organizzazione, anche loro erano molto soddisfatte del
servizio, delle infermiere, dei medici e del primario.
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La prima chemio di Adriana (fatta prima di me)
IERI, giorno della chemio:
1) Vi ricordo che l'infermiera mi
aveva detto di presentarmi, alle 11.30, a stomaco pieno ma di cibo
leggero e asciutto, magari mangiando una pasta e senza bere. Ho capito
da sola che sarebbe stato impossibile, visti i tempi biblici d'attesa
all'ospedale, quindi mi sono portata via un pacchetto di grissini da
sgranocchiare in "tempi utili".
2) Sono arrivata puntuale e mi
sono presentata alla reception di oncologia. "Ah, tu sei quella con cui
ho parlato ieri al telefono", mi dice l'addetta. TUUUUU? Già mi indigno
quando sento che alla cassa dei supermercati danno SEMPRE del tu agli
extracomunitari. E questa (molto più giovane di me, anche se non conta)
come si permette di tenere tutta la conversazione dandomi del Tu, mentre
io le dò del Lei? Ha forse ereditato quella superata (o no?) spocchia
di certi medici e infermieri che danno del Tu ai pazienti? Capisco che
si possa usare il nome comune. Es. "Ah, Lei è Adriana, che mi ha
telefonato ieri", una formula pseudo confidenziale, ma che può essere
rassicurante. A questo punto decido di mettere in difficoltà la
maleducata. "Sì, sono io, mi dice a che ora farò la chemio?". "Credo che
l'attesa sarà lunga, anche perché prima AVRAI la visita con l'oncologo
che è molto occupato". "Lei mi ha detto di presentarmi a stomaco pieno,
non vedo come sia possibile...". "Ma, non saprei...". "Mi sono portata
un pacchetto di grissini...". "Mi sembra un po' poco". "Perché, non è
sufficiente?". "Sììììì, per la chemio sì, ma penso che Ti verrà fame".
"Mi bastano". "Bene, allora VAI nella sala di aspetto. Il tuo numero è 8
rosso". (Chiamano per numero e non per nome per questione di privacy).
"Mi scusi, un'altra cosa. Sono stata accompagnata da mio figlio. So che
sarò impegnata per diverse ore e lui ha un lavoro urgente da portare a
termine sul suo portatile. C'è una spina a cui collegarsi?". "Si, ce ne
sono diverse in sala aspetto". "Ma non c'è un tavolino? Rischio di
spaccarmi la schiena a stare su una sedia col computer sulle ginocchio".
Naturalmente non c'è e Filippo si rifugia al bar, dove trova un barista
cortese. Mi chiedo: ma non sanno che chi è sottoposto a chemio viene
accompagnato da qualcuno che dovrà aspettare per ore e ore?". Possibile
che non si possa mettere a disposizione di questi "sfigati" una saletta a
parte con sedie, qualche poltrona, un tavolo dove consumare uno
spuntino, lavorare, schiacciare un pisolino, guardare la tv?
Scopro
occasionalmente dopo che in un angolo quasi invisibile del bancone ci
sono dei volantini molto striminziti: uno parla della dieta in chemio,
l'altro del del trattamento. Perché non mi sono stati consegnati, visto
che ero alla prima seduta?
Nota: c'è il menù tipo per una settimana.
Resto strabiliata: se già uno non ha problemi di fegato, di colesterolo,
di gastrite, cardiaci e quant'altro sicuramente gli verranno, tanto è
abbondante di panna, besciamella, burro, dolci, uova, maionese, ecc. E
anche se uno è perfettamente sano, sicuramente stramazza. Ho letto su
Internet che la chemio può portare ad un aumento di peso. Ma sarà la
chemio in sé (che forse fa trattenere i liquidi, altre spiegazioni non
me ne vengono, o la dieta sconsiderata che consigliano e di cui non ho
trovato traccia di somiglianza in quelle che ho consultato in Internet?)
3)
Dalle 11.30, il mio 8 rosso viene chiamato alle 14 (e ormai la gestione
dei miei grissini mi è completamente sfuggita). L'oncologo non mi
trattiene più di dieci minuti, durante i quali continua a riempire
moduli (dovrei chiedere per la mia dieta da diverticoli che non sempre
si concilia con la chemio, dovrei chiedere delle mie vene), ma non mi
permetto di interrompere lo "scrivano". Sono anche innervosita dalla
presenza della capo-sala. Sempre a proposito di privacy, non mi pare che
una capo-sala sia tenuta al segreto professionale e ne ho avuto ampia
prova in miei passati ricoveri. Alla fine mi vengono date alcune carte,
la prescrizione di due esami e inviata alla chemio.
Mi accoglie
un'infermiera che mi porta in uno stanzino dove mi fa un'iniezione (non
ricordo più per cosa) e mi consegna tre pastiglie antivomito (questa
almeno non mi dà del TU). Si trattiene invece la scatoletta monodose con
relative foglietto di indicazioni. "Possono avere controindicazioni?"
chiedo. "Sì, provocano stitichezza, ma contrastano oltre a nausea e
vomito, anche la diarrea". "Ma sono da prendere in via preventiva o
all'occorrenza?". "All'occorrenza". Meno male, penso io, preferisco
sopportare finché posso nausea, vomito e diarrea piuttosto di
stitichezza che mi provocherebbe molto probabilmente un'infezione ai
diverticoli, nonché le emorroidi.
Entro nella sala indicata e resto
allibita. Io mi pensavo in una stanzettina privata, sdraiata su un
lettino, o almeno separata da un paravento. Invece mi trovo in una sala
comune (adiacente un'altra di analoga) con sette poltroncine già
occupate (alla faccia della privacy!). C'è anche un tv, che fa impazzire
l'infermiera perché naturalmente ognuno vorrebbe vedere qualcosa di
diverso e nascono le discussioni. Scopro anche che c'è un certo fai da
te per quanto riguarda le flebo: "ChiamaMI quando sei a metà...".
"Infermieraaa, sono alla fine". "Chiudi il beccuccio". "Infermieraaa, la
mia flebo suona". "Perché è una di quelle che avverte quando è finita,
passo dopo a togliertela". Insomma, fanno di tutto per tenerti all'erta.
Arriva
il mio turno: primo flacone con una miscela preventiva antinausea,
antiacidità, lavaggio vena, ecc.; secondo flacome la chemio vera e
propria, terzo flacone lavaggio della vena. "Ma ci vorranno ore"
commento io, memore di precedenti esperienze. "No, no... mandiamo giù
molto in fretta". Non mi sento affatto rassicurata, visto che ho vene di
"cacca". La avverto, mi guarda come se fossero fisime.
"Dove hai il
cancro?". "Al seno". "A quale? Devo saperlo perché..." e si inerpica in
un'acrobatica speigazione di cui non capisco poco o niente, secondo cui
l'ultima flebo dovrà essere eseguita sul braccio opposto oppure contiguo
al seno interessato dall'intervento. "Il cancro è su tutti e due"
spiego. Resta perplessa per questa "anomalia" e conlude con un generico.
"Vabbe' vedremo". Non indago ulteriormente, sono già abbastanza
preoccupata per la piega che stanno prendendo le cose.
"Guardi che
anche i prelievi di sangue devolo farmeli con la farfallina (ago
cortissimo con due alette). "Noi usiamo gli aghi plastica, da neonati".
Mi scopro il braccio, lega il laccio, aspetta, sbatacchia, di vene
nemmeno l'ombra. "Nei prelivi le hanno indicato un posto preciso?". "No,
ma alla Data Medica ci azzeccano sempre al primo colpo". Ci prova anche
lei, non vicino all'incavo del gomito, come prassi, ma viene colta da
ispirazione a metà strada fra il gomito e la mano. Infila l'ago da
neonato che sento non posizionato bene in vena. Glielo dico: "Sento
l'ago in vena". "E' normale, tutti lo sentono". "Ma no, guardi che
quando è a posto non si sente affatto". Mi ignora, apre la flebo e
cinque secondi dopo la pelle comincia a sollevarsi. "Guardi che la vena
si è rotta" l'avverto e le indico il leggero rigonfiamento. "Non
toccarti, non è vero". Mi accorgo imbarazzata che tutti gli ospiti mi
stanno guardando come se fossi una bimba capricciosa. Nel giro di altri
cinque secondi il bozzo è diventato una collinetta che l'infermiera non
può ignorare e toglie l'ago. Cerco di venirle in soccorso. "Erano in
difficoltà anche quando mi hanno iniettato il liquido di contrasto per
fare la risonanza magnetica. Guardi qui sul polso dove c'è un piccolo
livido, forse è una vena più robusta". "Non mi fido dove c'è un livido.
Proviamo sul dorso della mano". Fa ben più male, ma pazienza. Infila
l'ago da "neonato" (voglio la farfallinaaaaa!), apre la flebo e niente,
non scende una goccia. "Ma come è possibile?" si chiede e chiama una
collega. Questa prende una normale siringa di soluzione fisiologica,
tolta la cannuccia della flebo, la infila direttamente nell'ago che ho
in vena. Spinge e niente: è come spruzzare contro un muro. "Si è
immediatamente coagulata. - dichiara - vediamo l'altro braccio". Questa
mi sembra più competente. Infatti, dopo un altro tentativo, trova la
vena giusta. "E se fra un po' si straccia?" chiedo? "Non fa niente,
questa soluzione non è pericolosa. E' quella della chemio che è
pericolosa. Comunque tieni il braccio ben fermo". "Tre flebo sono un bel
po' di liquido, e se mi scappa la pipì?". "Lì c'è il bagno e la flebo
ha le ruote, puoi andarci tranquillamente". Non si offre di
accompagnarmi e di aiutarmi, ha già scordato che devo stare ferma e che
la vena che si straccia. "Chiamami quando il flacone arriva a metà", non
prima di mettermi una cuffia ghiacciata che previene la caduta dei
capelli (perché il tuo tipo di flebo è quello che fa cadere i capelli,
mi dice e ne avevo trovato notizia su Internet circa questo
surgelamento) e se ne va.
Faccio appena in tempo ad aprire il libro
che mi ero portata, che subito ne arriva un'altra (in realtà l'avevo
vista guardarmi con insistenza dalla postazione della mia vicina
"ospite" (persona lagnosissima). "Allora c'è assistenza" penso e infatti
quella si prende anche una sedia. Per prima cosa le chiedo una pomata
da mettere sul bozzone del braccio "infortunato", onde evitare che il
versamento si estenda. Accontentata. Poi le chiedo del "port" di cui
avevo sentito parlare. Si tratta di una specie di valvoletta che viene
infilata con un piccolo intervento chirurgico in anestesia locale e si
collega direttamente con una grossa vena appena sotto la clavicola. Lo
si può tenere anche per anni ed è la "porta" per tutte le flebo. Quindi,
visto che ne avrò per mesi, mi sembra la cosa migliore. La mia
"sorvegliante" va a parlarne ad un'altra infermiera e quella alla
caposala, che a sua volta torna con il responso: "Ho parlato con
l'oncologo e ha detto che è opportuno. Vuole fare l'intervento qui o a
Padova?". "Ma, visto che ci sono lo farei qui, perché magari a Padova i
tempi sono più lunghi" rispondo, sperando ardentemente di avere il port
fra 15 giorni, quando farò la seconda chemio. "Benissimo, la chiamerà
Chirurgia".
Ritorno a prestare attenzione alla mia "sorvegliante",
che finalmente si presenta: "Sa, io non sono un'infermiera, ma una
psicologa, lei mi è sembrata una persona interessante fin dal primo
momento". Affascinata dalle mie vene a brandelli? Mi piglia comunque un
colpo, non perché io abbia qualcosa contro una psicologa nella sala
chemio, ma mi sembra onestamente fuori luogo in una sala così affollata,
dove le uniche dispute sono in merito alla tv e dove se anche lei
volesse fare il proprio mestiere ci sarebbero 7 paia d'orecchi ad
ascoltare. E così non mi ha "sorvegliata" come io credevo... Infatti
arriva l'infermiera e mi dice: "Ma non ti sei accorta che ti sei fatta
tutta la flebo e non metà?". "Farà male?". Fa le spallucce e me la
sostituisce con quella della chemio, arancione. Dal fondo della sala un'
"ospite" arguta sbotta: "Ma guarda, non avevo mai fatto caso che le
flebo fossero di tanti colori diversi". Io ho altro per la testa, ovvero
se si straccia la vene e mi disperde la chemio fuori. "Lei mi
sorveglierà, vero?" chiedo all'infermiera. "Certamente" dice e se ne va.
O meglio, sparisce. Per chiamarla bisogna farlo a pieni polmoni, come
scopro quando in tre finiscono la flebo contemporaneamente. Ma un cazzo
di campanello per ognuno di quelle maledette poltroncine che mi stanno
saccagnando la schiena non si può mettere? Mi rassegno, un occhio sul
libro e uno all'ago. Anche la psicologa se n'è andata, perché ha finito
il turno, non senza lasciarmi il suo biglietto da visita, l'invito a
telefonarle in caso di bisogno e l'assicurazione che ci vedremo per
tutta la durata del mio ciclo - che sarà sempre di giovedì - in quanto
lei è presente proprio il martedì e il giovedì. Mio Dio, noooooo. Vorrei
solo essere lasciata in pace!
Invece no! Entra uno, anzianotto,
sempre col camice, a cui di tanto in tanto l'infermiera si rivolge per
avere un po'di cotone, un cerotto, un cambio di cuffia. Devo cambiarla
già anch'io perché mi sento la testa surriscaldata. Mi appello
all'anzianotto: "Senta, sono nuovamente una testa calda". Non capisce la
battuta, ma mi porge premurosamente una nuova cuffia. Ma chi sarà
questo? In prima battuta avevo pensato ad un prete "mascherato" e avevo
cacciato ancora più a fondo il naso del libro. Avevo scartato l'idea
dell'infermiere, perché non avendo l'aspetto di un novizio non avrebbe
servito l'infermiera. Ideona: è un volontario! Sììììì, anche il camice è
diverso dagli altri. Nonno basta che te ne stai buono e non mi vieni a
seccare con chiacchiere e pacchette sulle spalle!
Chiudo gli occhi
sfinita, tentando di rilassarmi. Neanche cinque minuti. "Ti senti bene?"
si materializza l'infermiera e se ne va. Decido di tenere gli occhi
imbambolati, ma aperti, oltre evitare altre inutili incursioni.
Mi è
risparmiato l'urlo per chiamare l'infermiera, in quanto passando vede
che la chemio è quasi finita. Per fortuna la mia vena ha tenuto. Mi
collega al terzo e ultimo bottiglione e io posso tornare a leggere con
la relativa tranquillità della sala che si è in parte vuotata. Suona una
flebo "tecnologica" e l'infermiera accorre, vedendo che anche la mia è
agli sgoccioli, mentre la vescica invece mi trabocca. "Torno subito" mi
dice. Sììììì, dopo un quarto d'ora e io ormai ho paura che alzandomi in
piedi me la farò in braghe. Sono arrivata alle 11.30 e per fare una
seduta di chemio da un'ora e mezzo, me ne vado alle 16.30. Visto che non
scherzavo parlando di tempi biblici?
Quando esco dalla toilette noto
sulla porta un cartello paradossale: "Non usare la toilette se non in
caso di necessità". Non indago, mi precipito fuori, recupero mio figlio.
Voglio andare a casa. "Come ti senti?" mi chiede e so che teme che gli
possa vomitare nell'auto nuova. "Bene, ho perfino fame?". "Ma non doveva
venirti la nausea?". "Booooh, la prima flebo dovrebbe prevenire anche
la nausea". "Ah sì? E per quanto?" risponde giustamente preoccupato
(Piove di Sacco-Padova circa mezz'ora). "Da un'ora a tre giorni, mi ha
detto l'infermiera. Spero di essere fortunata". Mio figlio mi guarda
allibito per la strana prognosi.
OGGI, sono un po' stanca, ma
continuo a stare bene. Peccato che ho finito tutti i telefilm del dottor
House... ma nella situazione di ieri hanno già avuto un influsso
terapeutico, almeno mentre mi infilzavano.
Mi sveglio e vedo di
assolvere subito ai miei doveri sanitari.
1) Sul foglio che la
caposala mi ha dato per la prossima chemio c'è scritto giovedì 27, ma
non l'ora. Telefono all'ospedale. "Ma qui noi non abbiamo la Tua
prenotazione per la chemio". "Bene, ora l'avete, può dirmi a che ora".
"Beh, alle 11.30, naturalmente!". Sono colta da scoramento: quindi qui
l'orario non è per appuntamento, come dalla parrucchiera. Tutti,
indistinatamente, ci si presenta alla stessa ora del giorno x e si
aspetta il proprio fantomatico turno, a seconda di quante e quanto
lunghe sono le visite dell'oncologo che deve vederti prima della chemio.
Quindi giovedì 27 sarà la stessa trafila. "Senta, visto che ci sono, io
devo mettere il port, vorrei sapere quando è l'appuntamento". "Aspetta
che parlo con la caposala"..... "Mi ha detto che ti telefonerà
direttamente Chirurgia quando avranno un posto libero". "Ma io lo vorrei
mettere prima della prossima chemio". "Entro soli 15 giorni? Non credo,
siamo molto affollati". Se qualcuno ha un suggerimento da darmi è ben
accolto, o se ha un compiacente amico chirurgo che mi accelera i tempi
me lo dica.
2) Altro scoglio. "Dovrà fare un emocromo il giorno
prima di ogni chemio" mi aveva detto l'oncologo. "Proprio il giorno
prima? Ma mi daranno i risultati nello stesso giorno? Devono, ho scritto
URGENZA". Vatti a fidare... Ma perché non mi fanno loro l'emocromo
prima della chemio? Forse lo fanno, ma probabilmente mi farebbero andare
a digiuno alle otto di mattina, per finire l'iter alle 16.30. Meglio
lasciar perdere... già stare in promiscuità con tutta quella gente mi ha
fatto venire il raffreddore. Mica voglio altre malattie contagiose.
3)
Telefono alla Data Medica e mi confermano che avrò prelievo e risultati
nello stesso giorno. Ma io, entro il 27, devo anche fare una
radiografia ai torace. "Lei è esente da ticket?". "Certo, ho il cancro"
rispondo con il tono di quelli che mostrano il tesserino "Combattenti e
reduci". "Non abbiamo posto prima della metà di aprile". Mi cadono le
braccia. "E a pagamento?". "Allora può venire ogni giorno dalle 8 alle
18". "Ma a che ora?". "Non c'è ora, venga e aspetti il suo turno". "Il
momento migliore?". "Alle 14". Affare fatto, fortunatamente le analisi
mi hanno detto che il sistema biliare è in ottime condizioni. Ma
resisterà?
Spero di non avervi annoiato con questo "stralcio" da
"im-paziente". So che faccio parte di uno smisurato esercito, ma dopo
tutti raccontano per sommi capi. Preferisco conservare memoria di quanto
mi sta accadendo.
Con affetto
Adriana
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