martedì 26 febbraio 2013

Il Condominio "048"


L'amico Bruno, responsabile Comunicazione e Marketing dello IOV, mi segnala questa interessante iniziativa dell'Istituto Oncologico Veneto (IOV) diretto dal prof. Pier Carlo Muzzio, realizzata in collaborazione con la benemerita Associazione Volontari Ospedalieri di Padova (AVO Padova), presieduta da Lorenza Sanavio.
Al teatro Don Bosco, via De Lellis, 4, Quartiere Forcellini, domenica 17 marzo 2013, alle ore 18,30, verrà rappresentata una commedia teatrale in tre scene dal titolo "Il condominio 048", testo e regia  di Anna Grazia Dell'Abate.   
Che cos'è 048? E' un prefisso telefonico? E' un codice di esenzione del ticket. Quanti sono gli abitanti del condominio 048? Sono tanti!!
Trovo nel sito del Portale dell'Epidemiologia Oncologica questi dati: circa 2.250.000 italiani vivono con una diagnosi di tumore (circa il 4% della popolazione) 1.250.000 di questi sono donne; tra le donne è più frequente il tumore della mammella (42%, oltre 500.000); tra gli uomini è più frequente è il tumore della prostata (22%, quasi 220.000); 1.300.000 italiani circa sono lungo sopravviventi, ossia hanno avuto la diagnosi da più di 5 anni, e sono spesso liberi da malattia e da trattamenti (sono circa il 2,2% della popolazione), di questi 800.000 italiani circa hanno avuto la diagnosi da più di 10 anni dalla diagnosi e sono circa l'1,5% della popolazione.
Quindi un condominio molto affollato, nel quale c'è molta sofferenza ma anche tanta speranza e dove si confida nella solidarietà e nella compassione, intesa come profondo desiderio di aiutare l’altro a liberarsi dalla sofferenza, delle persone sane.

venerdì 22 febbraio 2013

La cura parte da un racconto


Sergio Harari
Trovo nella rassegna stampa dello IOV e dell'Azienda ospedaliera di Padova un interessante articolo di Sergio Harari, Direttore Unità operativa di Pneumologia Ospedale San Giuseppe di Milano, pubblicato nel Sole 24 Ore Sanità del 19 febbraio 2013, dal titolo "Perché la cura parte da un racconto".
L'occasione è la nascita dell' «Associazione Peripato», una APS di cui Harari è presidente,  per la formazione e la ricerca in campo biomedico, socio-sanitario, ambientale, culturale e per la promozione dei diritti umani e sociali.
Dal sito dell'Associazione riporto la biografia di Sergio Harari: si è laureato in medicina e chirurgia e  specializzato a Milano in Malattie dell'apparato respiratorio, Anestesia e Rianimazione, Chemioterapia e ha trascorso periodi di formazione post-laurea in Francia e America. È stato uno dei primi medici a occuparsi di trapianti polmonari in Italia e ha attivamente contribuito all'avvio dell'attività di trapianto polmonare nel nostro Paese. Nel 1999 ha fondato l'Unità Operativa di Pneumologia all'Ospedale San Giuseppe di Milano, che è oggi un Centro di riferimento nazionale per la diagnosi e la cura di malattie polmonari rare. È autore di numerose pubblicazioni su riviste internazionali peer-reviewed ( valutazione tra pari o revisione dei pari) e di testi specialistici. All'attività assistenziale clinica associa attività didattica e di pubblicazione e divulgazione scientifica anche su temi di politica sanitaria, sociali e ambientali.
Sottolineo e concordo con queste tre frasi del dottor Harari: La mancanza di contatto umano, conseguenza di una medicina dove la tecnologia sembra aver prevalso su tutto, ha fatto perdere ai dottori la consapevolezza del potere anche taumaturgico del "gesto" medico, di come la storia clinica di un paziente possa cambiare sapendolo "assistere" nel suo percorso di malattia. Gli ospedali non sono più fatti per questo, la cura è concentrata in un asettico tecnicismo, e la medicina moderna ha assecondato questa pericolosa deriva. Recuperare la dimensione umana non sarà facile ma è indispensabile per ricostruire un percorso di comunicazione tra cittadini e Sanità.

giovedì 21 febbraio 2013

Pier Carlo Muzzio e Giovanna Colpo: “Nemsu, il tumore del faraone”


Trovo nel sito dello IOV questo comunicato stampa che riporto integralmente.
Un libro illustra i passaggi più importanti nella lotta alle neoplasie: CANCRO, LA STORIA DELLA MALATTIA DALL’ANTICO EGITTO A OGGI  - “DOPO 3000 ANNI SIAMO VICINI ALLA SCONFITTA DEL TUMORE”
L’autore, Pier Carlo Muzzio (Direttore dell’Istituto Oncologico Veneto): “Il volume è un contributo all’archeologia medica, che intreccia la cultura scientifica con quella sociale, religiosa e umanistica”
Roma, …febbraio 2013 – “Il cancro è la malattia più intelligente di tutte ed ha sempre fatto parte della storia dell’umanità a partire dall’epoca preistorica. Ma, soprattutto, è sempre stato considerato come malattia a sé stante, ben distinta dalle altre”. Pier Carlo Muzzio, già Ordinario di Radiologia dell’Università di Padova e Direttore dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV), è l’autore di “Nemsu, il tumore del faraone” (ed. Marsilio, pp. 128), una storia del cancro, dalla preistoria all’oncologia moderna, con un approccio innovativo, quello della “archeologia medica”.

martedì 19 febbraio 2013

Perchè, chi può, va negli USA per curare il cancro?


Memorial Sloan-Kettering Cancer Center

Nel blog precedente ho riportato l'elenco dei primi cinque ospedali USA, specializzati nella cura del cancro, pubblicata dalla rivista U.S. News.
In questo post parlo dell'Ospedale 2° classificato, il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, ubicato vicino a New York.
Trovo nel sito dell'Associazione ALCASE Italia, la prima organizzazione italiana non-profit esclusivamente dedicata alla lotta al cancro del polmone, una lettera di un italiano, che si è recato a New York per assistere il fratello, dal titolo "Andare all’estero per farsi curare non è sempre una buona idea… Una testimonianza".
Ritengo opportuno però che si conosca come operano le cliniche private negli States. Sono andato quindi a visitare il sito del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, trovando pagine web  in italiano e in altre sette lingue, segno che ci sono molte persone danarose che possono permettersi una cura li. Visitare il sito è anche utile per vedere come si presentano e cosa promettono per fare un confronto con le cliniche italiane. 
Nella foto la Cancer Score Card del Memorial Sloan-Kettering, classificatosi al 2° posto nel Top-Ranked Hospitals for Cancer stilata della rivista statunitense U.S. News.
Il Memorial Sloan-Kettering è stato fondato più di 100 anni fa come centro per la cura del cancro, e non come ospedale generale. Viene definito come il più grande ed antico centro privato nel mondo interamente dedicato alla prevenzione, alla terapia, alla cura del cancro.

Il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center accoglie pazienti da tutto il mondo. Il personale del nostro Bobst International Center è disponibile per contribuire a coordinare il vostro trattamento clinico o l'analisi dei vostri documenti medici da parte di uno dei nostri dottori. Il nostro team è inoltre in grado di rispondere alle domande su questioni finanziarie, di individuare sistemazioni a New York e di organizzare servizi di interpretariato in migliaia di lingue.
Ho tradotto, da non specialista la pagina dal titolo:  Perché scegliere il Memorial Sloan-Kettering per la cura del cancro?

I migliori Ospedali USA per la cura del Cancro


U.S. News & World Report è una rivista statunitense pubblicata a Washington, DC. Insieme a Time e Newsweek è stata per molti anni un settimanale di primo piano, concentrandosi di più rispetto ai suoi omologhi sulla politica, economica, salute e istruzione. Negli ultimi anni, è diventata particolarmente nota per la classificazione e per le relazioni annuali sui college americani, scuole di specializzazione e ospedali. 
Ci occupiamo, in particolare, della classifica degli ospedali che curano il Cancer, perche ci consente di esaminare i parametri con cui vengono graduati (anno 2012-13). Chiedo scusa per la traduzione dal sito dell'U.S. News & World Report , vi chiedo cortesemente di segnalarmi eventuali errori.
Per la specialità Cancer sono stati elencati più di 900 ospedali. Tutti gli ospedali sono anche specializzati nel trattamento di casi difficili. Un ospedale è presente nella graduatoria solo se nel corso del 2008, 2009 e 2010, sono stati ricoverati almeno 254 pazienti che avevano bisogno di un elevato livello di competenza in oncologia. I primi 50 ospedali sono classificati, in base al punteggio, i restanti sono riportati in ordine alfabetico. U. S. News & World Report compila inoltre  una lista, in ordine alfabetico, dei 2.859 oncologi Top negli USA, suddivisi: in Gynecologic Oncologists, Hematologists,  Medical Oncologists Pediatric, Hematologist-Oncologists e  Radiation Oncologists. Questi medici sono stati selezionati in base ad un processo di nomina tra pari. All'interno di questa lista dei migliori oncologi, 1.107 sono stati inseriti in una lista altamente selettiva, chiamata "America's Top Doctors" (ATD), in quanto riconosciuti a livello nazionale per il loro eccellente lavoro.
Nelle due figure sotto riportate sono indicati i parametri (Cancer Score Card) del primo e secondo ospedale nella specialità cancer:

M.D. Anderson Cancer Center

Memorial Sloan-Kettering Cancer Center
 






















mercoledì 13 febbraio 2013

Le 10 frasi da evitare con le persone malate di cancro


Deborah Orr
(Ultimo aggiornamento 15.02.13)
Chi ha impattato con il cancro si è trovato spesso nelle situazioni raccontate dalla giornalista Deborah Orr. Io, per evitare malintesi e domande imbarazzanti, ho fatto coming out, non sulla mia identità di genere, con l'età diventa ambigua, ma sul mio cancro. Chi vuole sapere come sto e come va, legga i post che scrivo.
Ho già trattato questo argomento nel post Non chiedermi come sto ma sorridimi e in quello  Quando le parole feriscono i malati come coltelli.
Trovo sul corriereweb.net una buona  sintesi e traduzione dell'articolo dal titolo "10 things not to say to someone when they're ill" (10 cose da non dire alle persone ammalate, sottinteso tumore) di Deborah Orr, pubblicato sul quotidiano inglese "The Guardian" , mercoledì 18 aprile 2012.
E' interessante leggere anche il post, con lo stesso titolo, che ho trovato sul blog  " Il Codice di Hodgkin" postato da RominaFan il 26 aprile 2012. Romina conclude l'elencazione dei suoi 10 punti con queste frasi: Ricordiamoci sempre che un malato di cancro non deve essere trattato come un cancro. Deve essere trattato come una persona. LA MALATTIA NON VA MAI ANTEPOSTA ALLA PERSONA. Se si è in confidenza, vanno bene battute di spirito, umorismo nero, sincerità e domande. Se non si sa cosa dire e si è fortemente in imbarazzo, anche il silenzio può essere una buona soluzione. Tanto il malato capisce che interfacciarsi con lui può essere difficile.
Molto interessante anche il post dal titolo: Angela Pasqualotto: Il peso delle parole

Ma torniamo all'articolo di Deborah Orr
Le 10 frasi da evitare con le persone malate di tumore: la testimonianza di Deborah Orr
Quello che nessuno dice rispetto a malattie come il tumore, è che il malato diviene di colpo il centro di una serie di attenzioni ‘eccezionali’ da parte della famiglia e gli amici. “Questa è una cosa carina. Anzi, l’unica cosa carina”. Così Deborah Orr, giornalista del Guardian da poco uscita dalla fase post-operatoria più critica a seguito di una diagnosi di cancro al seno ricevuta la scorsa estate, che ha deciso di stilare un decalogo delle 10 frasi da non dire a un malato grave per “essere l’amico che serve, che tu vuoi essere”.
Le 10 frasi da evitare con le persone malate di tumore: la testimonianza di Deborah Orr.

1. “MI DISPIACE PER TE”
“È incredibile il numero di persone che crede che faccia sentire alla grande essere oggetto di compassione”, esordisce la cronista rispetto a questa frase che spesso si è sentita dire da familiari e amici. E bisogna stare attenti a non dire “mi dispiace per te” con i propri occhi, in quanto il risultato non cambia: proviamo a immaginare come ci sentiamo quando siamo oggetto della compassione degli altri? Davvero si pensa possa avere una funzione protettiva?
La giornalista del Guardian, in merito, racconta un aneddoto relativo a un suo amico che era davvero bravo a esprimere con lo sguardo questo stato d’animo, il “doleful-puppy-poor-you gaze”, la cui traduzione risulta difficile (sguardo “tu-povera-dolente-cucciola”), ma che esprime la profonda ironia con cui la Orr affronta il tema, ricordando che proprio in funzione di questa ‘competenza’ del suo amico, lei usava andare spesso a pranzo fuori con lui, così da poter continuare a ridere imponendo all’amico di ripetere il famoso sguardo.
L’alternativa che propone l’autrice è: “speravo così tanto tu non dovessi passare per un momento così terribile”. Una frase che riconosce al malato il suo essere un partecipante attivo nel dramma che sta vivendo, e non una vittima indifesa.

2. “SE QUALCUNO PUÒ SCONFIGGERE QUESTA MALATTIA, SEI TU”
Non ottiene il risultato sperato sentirsi dire che bisogna combattere con la malattia, “come una sorta di cavaliere medioevale in una campagna romantica”. Assoggettarsi alla scienza medica nella speranza di una cura, per quanto possa sembrare diverso, non è altro che questo: una sottomissione. L’idea che la malattia, continua l’autrice, sia un test al proprio carattere, con la guarigione solo per i valorosi, “è superficiale al punto di passare per un insulto”. Meglio dire: “mia madre ha avuto la stessa malattia 20 anni fa, e ora sta viaggiando in giro per il mondo con un circo acrobatico”, scrive la giornalista, rimarcando la necessità di esporsi solo se si tratta della verità.

3. “TI TROVO PROPRIO BENE”
Nessuno vuole sentirsi dire che le restrizioni che è costretto a sopportare a causa della malattia e/o dell’ospedalizzazione sono invisibili agli occhi degli altri. Non si è mai troppo malati per guardare allo specchio e rendersi conto dei segni sul proprio viso della malattia, quanto della sua cura. Nessuno vuole sentirsi dire ridicole bugie, sono imbarazzanti sia per chi parla che per chi ascolta. Qualora voglia parlare del suo aspetto esteriore sarà lo stesso malato a aprire la discussione, e se ci si trova in questa situazione la cosa migliore è prendere spunto dalle sue parole.

4. “HAI UN ASPETTO TERRIBILE”
Anche il messaggio opposto al precedente, come potrebbe risultare del tutto intuitivo, non può certamente sortire un effetto benefico per il ricevente. La giornalista racconta di una amica che continuava a confermarle la possibilità di fare una dieta ferrea con l’avvenuta guarigione, cosa che non la sconvolgeva particolarmente, se non fosse stato per la busta strabordante di dolci e snack con cui questa amica si presentava a trovarla. Dieta che la Orr dice di non aver intrapreso neanche ora, in quanto non le sembra essere più così tremendamente importante l’idea di aver preso qualche chilo.
Ancora una volta la soluzione sta nell’aspettare l’incipit del malato che qualora dica: “Non ho un aspetto orribile?” potrebbe stare chiedendo di essere aiutato a ridere un po’ su se stesso e confortato della possibilità che anche questo passerà.

5. “FAMMI SAPERE I RISULTATI”
“Stranamente, una persona non ha nessuna voglia di sentirsi obbligato a divulgare, sullo stile social network, nel momento in cui torna da lunghi, complicati, stressanti e invasivi test, che in ultima analisi consegnano notizie che semplicemente non si volevano sentire”.
Il significato legato a un messaggio del genere è evidente: si tratta di preoccupazione. Tuttavia, seguendo le parole della Orr, è più facile sopportare un po’ di preoccupazione rispetto alla notizia che conferma che sta per iniziare un altro giro di trattamento debilitante, tanto per il corpo quanto per l’anima. Se una persona malata vuole veramente parlare di una cosa del genere, è giusto abbia il controllo rispetto al quando, al come e al chi contattare in merito alla propria condizione.

6. “QUALUNQUE COSA POSSA FARE PER AIUTARTI, SONO A TUA DISPOSIZIONE”
“Al di la di tutto, è noioso”, commenta sul Guardian la giornalista. E, inoltre, suona come un’ulteriore responsabilità – quella di dover individuare un compito per l’emittente del messaggio – a una persona che deve già confrontarsi con innumerevoli richieste. È preferibile individuare da sé mansioni da poter svolgere, come: “Posso andare a prendere i tuoi figli all’uscita di scuola martedì?” o “Posso venire con una torta e un gioco da tavolo?”.

7. “OH NO, LE TUE PREOCCUPAZIONI SONO INFONDATE”
Specialmente quando si tratta di preoccupazioni fondate. La giornalista riporta la sua “sproporzionata” preoccupazione di perdere i capelli, quando le fu diagnosticato per la prima volta un tumore al seno. Una sua amica, ogni qual volta lei esprimesse la preoccupazione riguardo alla possibilità di restare calva, affermava, senza alcun fondamento, che questa era una prospettiva improbabile e che non è più come in passato. In realtà si tratta di un evento molto frequente, che anche nel caso della giornalista del Guardian si è verificata.
La cosa più importante, tuttavia, è che quando una persona esprime una paura, non vuole parlare in maniera più o meno palese di quanto inutile, ridicola, o priva di fondamento questa possa essere: “negare a una persona il bisogno di discutere delle proprie paure è un po’ brutale”.

8. “COSA SI PROVA CON LA CHEMIOTERAPIA?
Ancora una volta le parole della giornalista sono illuminanti: “un numero sconcertante di persone sembra immaginare che la cosa di cui più hai bisogno, nella tua vulnerabilità, è una lunga disquisizione tecnica in cui fornire loro con dettagli esaustivi la percezione della “cosa peggiore” (shit thing) che è mai successa al tuo corpo in tutta la tua vita”.
Ancora una volta la regola d’oro è prendere spunto dalla persona che sta vivendo l’esperienza in prima persona, andando in contro ai desideri in merito ai temi di discussione. La Orr spiega, ad esempio, che lei amava cambiare totalmente argomento per parlare di cose più piacevoli, e ricorda che uno dei momenti più significativi della sua esperienza di degenza è legato a una conversazione avuta con una amica che le confidava che la precedente visita che aveva fatto in ospedale – in cui 8 persone si erano ritrovate accanto al letto della giornalista – era stata uno dei momenti socialmente più validi della sua vita. Cosa che ha reso la Orr incredibilmente orgogliosa.

9. “TI DEVO ASSOLUTAMENTE VEDERE
Non è una buona idea esordire così, in particolare se si intende successivamente indulgere in una lunga serie di dettagli su quanto la propria vita sia complicata e quanto difficile trovare un momento per fissare questo appuntamento.
La Orr ancora una volta accompagna con un aneddoto la sua riluttanza a sentirsi dire una frase del genere, ricordando una amica che continuava a parlarle dell’importanza di doverla vedere, e degli innumerevoli impegni che le stavano impedendo di farlo. A un certo punto, fissato un appuntamento in relazione agli impegni della amica, quest’ultima l’ha contattata per riferire di una crisi nell’assistenza del proprio bambino che le impediva di poter rispettare l’impegno, salvo poi scrivere un tweet in cui dichiarava di stare indossando un vestito da cocktail mentre nel traffico si dirigeva verso un evento a lungo pianificato e molto glamour.
“Posso passare stasera dopo lavoro?”, o ancor meglio “Ho i biglietti per il teatro il 25. Fammi sapere se per quel giorno ce la fai”. Queste le alternative più efficaci individuate dalla giornalista che rinforzano la necessità di ridurre le difficoltà di una persona che per tanti e più importanti motivi già soffre di un problema legato alla propria libertà.

10. “SONO TERRIBILMENTE SCONVOLTO PER LA TUA CONDIZIONE
Un’amica della giornalista, quando per la prima volta ha ricevuto la notizia, ha esordito con un “non posso farcela senza di te”, prima di riversare sulla persona a cui la malattia era stata diagnosticata un “fiume di lacrime”. In seguito, quando l’amica è uscita dal bagno del locale in cui stavano discutendo dell’accaduto, le ha raccontato che mentre si trovava nel gabinetto del pub a piangere, una vecchia signora si era avvicinata per chiederle cosa ci fosse che non andava e dopo aver ascoltato la sua risposta le aveva detto qualcosa del genere: “Cosa? Stai qui a piangere nel lavandino, mentre una tua amica è nel bar con un cancro al seno? Rimettiti in sesto, fatti coraggio ed esci da qui.”
La cosa più importante da ricordare è che se non si è in grado di gestire il dolore per un amico in difficoltà si possono mandare fiori, dolci o pensieri di qualunque genere, ma non “una tempesta appassionata del proprio dolore selvaggio, consegnato di persona.” È chiedere troppo a qualcuno che sta passando un momento del genere, il bisogno di essere consolati rispetto alla possibilità di perderlo.
Deborah Orr conclude il suo articolo rimarcando la necessità di non prendersela troppo con se stessi, qualora qualcuno di noi avesse pronunciato frasi del genere in presenza di una persona che soffre di una malattia così ‘spaventosa’. Ognuno di noi, in presenza di un amico che rischia la vita si sente impotente e molto spesso dice la cosa sbagliata. Lei stessa conferma di aver più volte usato frasi del genere, ma che si è resa conto di come ci si può sentire soltanto quando si è trovata a ricevere questi messaggi, confermando la necessità di porsi nella prospettiva dell’altro all’interno della comunicazione per poter individuare il modo di aiutarlo.
Tuttavia, la cosa più importante, conclude la giornalista, non è dire o meno la cosa giusta, ma essere lì in un momento così terribile e esprimere in tutte i modi a disposizione l’amore per la persona che sta soffrendo.
“Io guardo indietro a quegli orribili momenti di inettitudine e goffaggine con divertimento esasperato e tenero, profondo affetto. La grande lezione che ho imparato dal cancro, è stato il modo splendido in cui i miei amici erano, quantunque strane potessero essere le loro affermazioni. Tutti loro, nelle loro personali, differenti modalità, mi hanno fatto capire quanto mi amavano, e questa è la cosa più utile per ognuno di noi. Sono così fortunata ad averli accanto a me”.

martedì 12 febbraio 2013

20 mamme con il cancro


Ho visitato il blog Mothers With Cancer - Raising Children, Fighting Cancer, Living Life!
(Madri con il cancro - Educare i figli, Lottare contro il cancro, Vivere la Vita!)
Si legge nel blog: Siamo 20 mamme con il cancro. Alcune di noi sono state in remissione per anni, altre sono di nuova diagnosi o combattono una recidiva. Scriviamo in merito a diagnosi , chemioterapia, radioterapia, chirurgia, metastasila sopravvivenza , gli effetti collaterali e altro ancora. Clicca qui per scegliere un tema o in alto per trovare le risorse e vi prego di lasciare commenti sui post per incoraggiare i nostri scrittori e sopravvissuti. Benvenuti a madri con il cancro! Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog e ricevere nuovi messaggi via e-mail.

lunedì 11 febbraio 2013

11 febbraio: Giornata mondiale del Malato


«Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37), sono le parole conclusive dell'istruttiva  parabola del Buon Samaritano, un bell'esempio di come dovrebbe comportarsi un vero volontario. E' anche l'incipit del Messaggio di Benedetto XVI per la XXI giornata mondiale del malato (11 febbraio 2013), clicchi qui.   
Oggi è una giornata storica, sia perchè è l'anniversario dei Patti Lateranensi (anni fa era giorno di vacanza scolastica), sia perché Benedetto XVI ha dato le dimissioni da papa. Si contano sulle dita di una mano i papi che l'hanno fatto: Clemente I, Papa Ponziano, Papa Silverio, Gregorio XII, Celestino V e adesso Benedetto XVI. Per chi ci crede, oggi è anche l'anniversario dell'apparizione della Madonna di Lourdes.
Ricordo una bellissima citazione di papa Ratzinger sulla compassione che ci aiuta per questo post: La compassione cristiana non ha niente a che vedere col pietismo, con l'assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di solidarietà e di condivisione, ed è animata dalla speranza. 
Malato è però una parola che non mi piace perchè indica un processo reversibile, cioè la guarigione, mentre per tanti è una condizione irreversibile. 
Quando mi chiedono come sto, rispondo che sono un precario della salute. Ma lo siamo tutti mi ribattono.  E' vero - amico mio - siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo remare tutti in base alle proprie forze.
Trovo su Wikipedia che: "II termine Malattia deriva da quello di "malato", che a sua volta proviene, per crasi ed allitterazione, dal latino "male aptus" traducibile in “malconcio – malmesso”, e da: male-actio = mala-azione = malattia indotta per azione errata, dovuta all'ignoranza della mente del soggetto (Ego/IO). Passando poi dal significato etimologico a quello "reale" del termine, vale a dire alla sua definizione, si incontrano non poche difficoltà, poiché si tratta di una di quelle definizioni apparentemente semplici ed agevoli, ma in realtà assai difficili a darsi, specie nella medicina ufficiale.
Quando a parlare di malattia non sono il medico, il malato e le persone intorno al malato, una definizione generica è troppo limitativa, non comprendendosi in essa le dimensioni personali e sociali del fenomeno "malattia". Nella letteratura in lingua inglese da anni si è risolto il problema di questa ambiguità utilizzando il termine disease per la concettualizzazione della malattia da parte del medico, il termine illness per indicare l'esperienza diretta del malato, la dimensione esistenziale/soggettiva, ed il termine sickness per determinare il riconoscimento della persona malata come tale da parte del contesto sociale non medico".
Ho deciso di non riportare per intero il messaggio del Papa, optando per due post che ho copiato dal blog "On the Widepeak - Le mie cellule impazzite, la mia vita e il mondo", il primo dal titolo "I giorni buoni", postato il 31 gennaio 2013 e il secondo postato il 18 dicembre  2012 dal titolo "Questa non è la mia cartella clinica".
Chiedo scusa alla giovane compagna di avventura widepeak, che saluto con affetto e compassione dando a questa parola il significato succitato, se ho copiato i due post per proporli come testimonianza nella "Giornata Mondiale del Malato".
Questo post è dedicato anche a tutte le meravigliose donne di Oltreilcancro.it.
Ecco come si presenta la mamma cancer blogger: "Sono qui su una montagna bella alta e bella larga per guardarmi bene intorno e dentro. Sono qui per parlare un po’ di cancro, anche se non solo, e per sentirmi meno sola con il cancro. Ho 39 anni e due bambine, un compagno luminoso, una vita bella e disordinata come tante e, da 5 anni, anche un po’ di cellule impazzite che, nonostante tutto, non riesco a non amare".
I giorni buoni
Perché non è che siccome hai il cancro, o l’hai avuto, sei il re degli sfigati e ti meriti di non fare altro che guardarti i piedi e leccarti le ferite. Se dovessi dire, insieme al terrore puro ispirato dalla parola cancro, questa del “sono malato solo io, gli altri che ne sanno” è la seconda sindrome da tenere a bada per chi riceve e/o convive con una diagnosi di tumore. E confesso che io ci casco ogni tanto. Salvo prendere una botta in faccia quando alzi la testa e vedi e senti la sofferenza degli altri. Perché di malattia, di dolore e sì, anche di cancro, c’è chi muore, senza neanche il tempo.
Come non ritenermi fortunata di questi 5 anni. Sapete quanto sono corti 5 mesi?
Beh nel mio piccolo mondo egocentrico, tra un attacco di panico e l’altro, ho avuto modo di riflettere su questo a lungo la scorsa settimana. E mi ricordo che è buono ogni giorno fino qui, che i giorni buoni sono tanti e che oggi è uno di questi. Vorrei solo poterne regalare a chi ne ha avuti troppo pochi, e non perché sono tanto “generosa” e “sensibile”, ma perché la verità è che è la volontà di farlo ancora che li rende buoni.
Questa non è la mia cartella clinica
Come molti di noi, autoreferenziali scrittori blog, ogni tanto mi chiedo a cosa mi serva scrivere qui. La funzione originaria, l’ho detto spesso, è stata di trovare una cornice di senso a quello che mi stava accadendo, condividerlo con chi ci era passato, o ci stava passando o voleva lasciarmi un segno di solidarietà con un commento. Internet ha davvero rotto tanti muri di solitudine, e senza stare a fare le vittime, avere il cancro così a lungo, ti lascia tanto sola. Allora, negli anni, questo blog è servito a fare amicizie virtuali che chi l’avrebbe mai detto. A tenere aggiornato chi si interessa a me, ma una telefonata sarebbe complicata (lo dico senza acrimonia, sono la prima a non rispondere più al telefono). Oltre a scrivere, rileggere quanto scritto negli anni, mi ha aiutato poi a capire meglio, a inquadrare diversamente gli eventi con il senno di poi. E se c’è una parte di post scritti anche con un pensiero alla loro potenziale utilità per altri nelle mie condizioni, devo dire che, soprattutto, ho sempre scritto egoisticamente per me sola. Tanto più ultimamente: le mie vicende sono così orientate, che preferisco nessuno si riconosca nella mia situazione ed è lo stesso motivo per cui parlo pochissimo, anche in dh, con “colleghi di malattia”. A volte cerco di non incrociare nemmeno i loro sguardi, non voglio si spaventino, dico sul serio. Soprattutto non voglio mi facciano domande. Le risposte non piacerebbero né a loro, né a me.
Questa però non è la mia cartella clinica, scrivo quando mi va, quello che mi va, e chi vuole legge e scrive come vuole, nella massima libertà, nei limiti della buona educazione, sempre. Detto ciò, non penso di morire nei prossimi due mesi (oddio, magari mi becco pure la famosa tegola in testa e la facciamo finita), ma la malattia – dicono gli ultimi controlli di questi giorni – sta avanzando, a polmoni e cervello. E io cammino sempre più piano, respiro sempre più a fatica, tossisco di più. Me ne fotto anche abbastanza, ho un Natale da prepare per la mia famiglia, il morale da tenere alto, la rassegnazione da tenere a bada, e soprattutto la fiducia che sento, sempre, di cui prendermi cura.
Ogni giorno dobbiamo imparare di nuovo a prendere quello che c’è, cercando di non farci fare troppo male. Non è semplice, nella preoccupazione si fanno un sacco di cazzate, ma noi possiamo permetterci pochissimi sbagli. Nostri o altrui.
In tutto questo, Nina e Lilla sono una forza della natura, una dirompente fonte di energia allegra e vitale. Davvero non si sa mai cosa ci riserva il futuro, e noi lo sappiamo meno degli altri, è la realtà. Ma il mio presente, grazie a loro e a Obi, è davvero sempre bellissimo.
Adesso ciao, vado a preparare dei muffin per loro.