giovedì 17 novembre 2011

Tiziano Terzani:Mi incuriosisce morire, mi dispiace solo che non potrò scriverne

Tiziano Terzani (Firenze, 14 settembre 1938 – Orsigna, 28 luglio 2004) è stato un giornalista e scrittore italiano.

Nell'ultima intervista data a Fabrizio Revelli del giornale la Repubblica afferma: «Un tumore? Ne ho vari, un po' di qua, un po' di là. Ma la cosa divertente è che ci convivo da sette anni. Beh, non credo che durerà molto a lungo. Ma la cosa curiosa, la cosa interessante è che io e quelli siamo una cosa sola, e sarebbe stupido pensare: loro ammazzano me, io ammazzo loro. Ce ne andiamo insieme perché siamo cresciuti insieme. E con questo voglio dire che per me questo cancro è stata una grande benedizione. Perché ero ricaduto nella routine della vita e questo cancro mi ha salvato. Perché finalmente all'invito di un ambasciatore a cena, a una conferenza stampa, a un viaggio a cui non ero più interessato, io potevo sottrarmi. Io ho il cancro. Il cancro è diventato una sorta di scudo, di barriera, di divisione tra me e il mondo da cui volevo staccarmi». 
Dopo essere stato anche lui all'inizio della malattia al "Memorial Sloan Kettering Center" di New York ha deciso di intraprendere un altro percorso: «Strada facendoe io adoro viaggiare, è il mio modo di reagire a tutto, anche a questo ho reagito viaggiando, mettendomi sulla strada, vivendo delle avventure — mi sono reso conto che in verità io non volevo una medicina per il mio cancro, volevo una medicina per quella malattia che è di tutti, che non è il cancro: la mortalità».
Thailandia e Filippine: «Cose curiose ne ho fatte di tutti i colori. Lavaggio del colon, dieci giorni in un'isoletta della Thailandia con digiuni completi e clisteri di 18 litri al giorno due volte. Poi sono stato dai guaritori filippini, quelli che tolgono sangue, budellina di pollo dalle tue interiora».

India: «Un'altra grande esperienza che ho fatto è in questo famoso ospedale ayurvedico, dove sono arrivato e la cosa che più mi ha colpito era l'elefante. C'era un elefante! Nel cortile! E ogni giorno c'era una cosa stupenda, calava il sole e iniziava un teatro meraviglioso, fino all'alba. Con suoni di cimbali, barriti di elefanti, balli, strane danze, che erano parte della cura perché i malati assistevano a questo spettacolo degli dèi scesi sulla terra, come a parte della loro terapia».
E alla fine del viaggio, dopo i lama tibetani, le pozioni diluite con piscio di vacca afferma: «A un certo momento, paf, basta, chiuso. Non voglio più sentire niente di tutta questa roba, perché la cura ho capito che è un’altra. Non è la cura, è la guarigione che cerco. E la guarigione è la ricostruzione dell’equilibrio. In mezzo, l’11 settembre, l’orrore, il pensiero «che potesse essere il momento di un grande ripensamento», le Lettere contro la guerra, «dopo aver fatto per tutta la vita il corrispondente di guerra mi pareva arrivato il momento per dire che mi sentivo ormai in verità uomo di pace».
Infine il ritorno all’Orsigna, alla casetta di legno che s’era costruito dove stare solo (Orsigna è una frazione di Pistoia, situata nella valle attraversata dall'omonimo torrente): «Per me era importante aver capito questo, che il fine della mia vita era di ristabilire un’armonia, con quel che mi circonda, con la gente a cui tengo, e con questo prepararmi all’ultimo passo della vita, che è la morte, senz’angoscia, senza la pretesa che troverò una cura». Godere di ogni giorno «come fosse un altro giro di giostra».«Io sono in pace. Sono in una condizione stupenda, sto benissimo. E il mio corpo, me ne staccherò, lo lascerò lì e andrò via». Un solo cruccio: «Mi incuriosisce morire, mi dispiace solo che non potrò scriverne». E un consiglio finale: «Ridere, io trovo che ridere è una cura, è parte della guarigione. Infatti un’altra delle terapie che ho scoperto in India è la terapia del sorriso, del ridere. Per cui il consiglio che do a tutti è cominciare con una gran risata e finire con una gran risata».

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