lunedì 24 febbraio 2014

Gavino Maciocco: "The patient revolution" - "Niente che mi riguarda può essere fatto senza di me”

Dopo il post dedicato all'articolo del BMJ di maggio, dal titolo " Let the patient revolution begin" (Che la rivoluzione del paziente abbia inizio), trovo nel blog  "Saluteinternazionale.info" un articolo interessante di Gavino Maciocco, che copio e incollo, dal titolo: "The patient revolution", inserito da Redazione SI il 24 giugno 2013.

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Gavino Maciocco  è docente di Politica sanitaria presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Firenze, è promotore e coordinatore del sito web Saluteinternazionale.info. E’ direttore della rivista quadrimestrale Salute e Sviluppo (dell’ong Medici con l’Africa, Cuamm) e membro del Comitato Scientifico della rivista Prospettive Sociali e Sanitarie. Esperto di politiche sanitarie e salute globale, ha volto varie attività nel campo medico, dal chirurgo al medico di famiglia, dal dirigente di ASL fino alla attuale posizione di docente universitario. È autore e coautore di numerose pubblicazioni, tra cui: Politica, salute e sistemi sanitari, Le sfide della sanità americana (Pensiero Scientifico), Igiene e Sanità Pubblica, Manuale per le Professioni Sanitarie, nuova edizione nel 2011 (Carocci Faber). 

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Ecco l'articolo. "Tradurre nella pratica quotidiana dei servizi sanitari concetti come Patient-centered care, Patient empowerment, Expert patient non è semplice perché richiede un cambiamento di paradigma rispetto al modo in cui la medicina è tradizionalmente praticata e i cambiamenti di paradigma trovano sempre una resistenza sia negli operatori sanitari che negli stessi pazienti. Ma la strada è aperta ed è impossibile tornare indietro.


La rivoluzione prende le mosse da un seminario di 5 cinque giorni tenutosi nel 1998 a Salzburg (Austria) dal titolo “Through the Patient’s Eyes” (Attraverso gli occhi del paziente). 64 partecipanti provenienti da 29 paesi (dagli USA alla Cina, dal Sudafrica alla Romania) e espressione di mondi diversissimi: operatori sanitari, giornalisti, attivisti di diritti umani, accademici, insegnanti,  gruppi di auto-aiuto,  filantropi, artisti, esperti di diritto, autori di romanzi. Nel 2001 esce un paper che riassume le posizioni emerse da quello storico incontro. Una filosofia disegnata con le poche ma sferzanti parole del titolo: “Healthcare in a land called PeoplePower: nothing about me without me”[1]. (Vedi Risorse).
Nella mitica terra chiamata PeoplePower, l’assistenza è interamente condivisa con i pazienti perché “niente che mi riguarda può essere fatto senza di me”.  Dall’uso delle informazioni personali alla definizione della qualità dei servizi. A questo riguardo pazienti e clinici sviluppano “contratti di qualità” individuali  che servono come base per sistemi che misurano la qualità e il miglioramento dei servizi, riflettendo informazioni individuali condivise da medici e pazienti. I pazienti quindi forniscono a banche dati nazionali informazioni di processo e di esito per alimentare ricerche epidemiologiche e  sistemi di miglioramento della qualità evidence-based. Ma nella terra chiamata PeoplePower avvengono anche altre cose mirabolanti: i medici di famiglia non sono “Gatekeepers” (Guardiani del cancello), ma “Gateopeners”, coloro  cioè che il cancello delle cure lo aprono, individuando percorsi assistenziali condivisi, sulla base dei bisogni e delle preferenze dei pazienti.
Il più noto e illustre interprete dell’approccio “Patient-Centered” è stato Donald M. Berwick, autodefinitosi da questo punto di vista un “estremista”[2].  Tra le Risorse abbiamo allegato il racconto di una sua storia, tanto intima quanto politica, emozionante e commovente[3].
Sono figli di questa riflessione originaria altri concetti, quasi identici, che si sono successivamente affermati: quelli di “Patient empowerment” (made in USA) e di “Expert patient” (made in UK), principalmente applicati alla gestione delle malattie croniche.
Un’osservazione spesso fatta da medici, infermieri e altri operatori sanitari che seguono per lungo tempo pazienti con malattie croniche come diabete mellito, artrite o epilessia è “il mio paziente conosce la sua malattia meglio di me”. La conoscenza e l’esperienza fatta dai pazienti sulla loro malattia è una risorsa troppo a lungo non sfruttata. È qualcosa che potrebbe essere di grande beneficio per la qualità dell’assistenza ai pazienti e in definitiva per la loro qualità della vita, ma che è stata troppo ignorata nel passato. (da “Expert Patient”, 2001[4]).
Molto più di recente sul BMJ si legge: L’unica possibilità di migliorare l’assistenza sanitaria è rappresentata da una partnership tra clinici e pazienti, perché questi ultimi, meglio dei clinici, comprendono la realtà delle loro condizioni, l’impatto che la malattia e il suo trattamento hanno sulla loro vita e come i servizi potrebbero essere meglio progettati per aiutarli [5].
Kate Lorig,  della Stanford University, ha avuto il merito di elaborare, sperimentare (valutandone l’efficacia) e di diffondere in mezzo mondo uno strumento per lo sviluppo dell’empowerment del paziente, “un processo che aiuta le persone ad acquisire controllo, attraverso l’iniziativa, la risoluzione di problemi, l’assunzione di decisioni, che può essere applicato in vari contesti nell’assistenza sanitaria e sociale”[6].
Il suo programma per l’autogestione delle Malattie Croniche (Chronic Disease Self Management Program o CDSMP) si basa sull’assunzione che la maggior parte dei problemi che i malati cronici devono affrontare sono simili, indipendentemente dalla patologia da cui sono affetti. “L’autogestione aiuta i pazienti a mantenere la salute nella loro prospettiva psicologica. Questo si ottiene concentrandosi su tre compiti […]: il primo riguarda la gestione medica, […] il secondo riguarda il miglioramento o il cambiamento di comportamenti[…] L’ultimo compito richiede di gestire le sequele emozionali legate alla malattia cronica[…]”. Vedi post Nothing about me without me .
Tradurre nella pratica quotidiana dei servizi sanitari concetti come Patient-centered care, Patient empowerment, Expert patient non è semplice perché richiede un cambiamento di paradigma rispetto al modo in cui la medicina è tradizionalmente praticata (Tabella 1) e i cambiamenti di paradigma trovano sempre una resistenza sia negli operatori sanitari sia negli stessi pazienti.

Tabella 1. Cambiamento di paradigma: dalla sanità di attesa alla sanità d’iniziativa.

Sanità d’attesa
Sanità d’iniziativa
Centrata sulla malattia
Centrata sulla persona
Basata sull’ospedale e sulle attività specialistiche
Basata sulle cure primarie
Focus sugli individui
Focus sui bisogni della comunità
Reattiva, guidata dai sintomi
Proattiva, pianificata
Focalizzata sulla terapia
Focalizzata sulla prevenzione

Fonte: Pan American Health Organization, Innovative care for chronic conditions, WHO, 2013

Tuttavia la strada è aperta. Il Chronic Care Model ha dimostrato di essere un modello di cura altamente efficace nella gestione e nel controllo delle malattie croniche[7]. Un modello che fa delle risorse della comunità e dell’empowerment dei pazienti i punti centrali della sua azione (vedi anche Assistere le persone con condizioni croniche). Un modello ormai ampiamente diffuso e sperimentato, come dimostra un recentissimo documento della Pan American Health Organization (vedi l’articolo).
I due post che alleghiamo a questa Newsletter ci aiutano a capire la portata del cambiamento necessario, anche in termini di sostenibilità del sistema sanitario.
1.   Il post di Vernero indica che la partecipazione dei pazienti e dei cittadini alle scelte in campo medico non significa – non può e non deve significare – un aumento incontrollato dei consumi, bensì una strada per scegliere più saggiamente (Choosing Wisely), perché Fare di più non significa fare meglio.
2.   Il post di Perria, commentando un fondamentale articolo di Barbara Starfield, segnala che la multimorbosità è un fenomeno in aumento, così come in aumento è il ricorso alle cure specialistiche e, conseguentemente, i costi ad esse collegati. Le cure specialistiche sono per definizione esposte al rischio di inappropriatezza per frammentazione dei percorsi dovuta ai diversi specialisti che spesso sono coinvolti, inclusa la duplicazione di esami e procedure in relazione ai pareri clinici, spesso non coincidenti, a volte addirittura contrastanti. Potenziare le cure primarie significa garantire adeguati livelli di assistenza e una sostanziale continuità delle cure, secondo logiche di spesa che comportano costi sostenibili, di gran lunga inferiori a quelli che sarebbero necessari se ciascun disturbo fosse trattato dal singolo esperto.
Mettere al centro il paziente più che la malattia favorisce anche il rispetto all’equità, perché mira a valutare, e potenzialmente a soddisfare, l’effettivo bisogno che scaturisce dallo stato complessivo di malattia che caratterizza quel determinato paziente, con il suo profilo umano e sociale.
Risorse
1.   Delbanco T, Berwick DM, Boufford JI, et al. Healthcare in a land called PeoplePower: nothing about me without me [PDF: 657 Kb]. Health Expect 2001;4(3):144-50.
2.   Donald M. Berwick. Escape Fire. Lessons for the future of health care [PDF: 428 Kb]. Commonwealth Fund, 2002.
Bibliografia
1.   Delbanco T, Berwick DM, Boufford JI, et al. Healthcare in a land called PeoplePower: nothing about me without me. Health Expect 2001;4(3):144-50.
2.   Donald M. Berwick What ‘Patient-Centered’ Should Mean: Confessions Of An Extremist Health Affairs, 28, no.4 (2009):w555-w565
3.   Donald M. Berwick. Escape Fire. Lessons for the future of health care. Commonwealth Fund, 2002.
4.   Department of Health. The Expert Patient: A New Approach to Chronic Disease Management for the 21st Century, London, Stationery Office, 2001
5.   Richards T, Montori VM, Godlee F, Lapsley P, Paul D. Let the patient revolution begin. BMJ 2013;346:f2614
6.   People with chronic disease should be encouraged to manage their care. BMJ 2012;344:e2771 doi: 10.1136/bmj.e2771
7.   Ham C. The ten characteristics of the high-performing chronic care system. Health Econ Policy Law 2010; 5(Pt 1):71-90.

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