Il cancer ti cambia la vita, sicuramente in peggio sia dal punto di vista fisico che psicologico, perché si percepisce improvvisamente il senso del limite, della precarietà e della caducità dell'esistenza. Esso viene stadiato in base alla gravità e all'aggressività e a questi dati si lega la probabilità di sopravvivenza. Questa patologia ti cambia il modo di guardare il futuro e la tua filosofia di vita. Ma grazie al cancer puoi scoprire di aver delle risorse eccezionali, nuove vision, nuovi significati e nuovi valori.
Questa riflessione è scaturita dalla scoperta del sonetto di Gioachino Belli (Roma, 07/09/ 1791 – Roma, 21/12/1863) dal titolo: "Er caffettiere filosofo". Belli con i suoi 2200 sonetti romaneschi, composti in vernacolo romanesco, raccolse la voce del popolo della Roma del XIX secolo.
In quello citato Belli paragona l'esistenza degli uomini ai chicchi di caffè in corsa gli uni con gli altri verso la polverizzazione del macinino, che passano attraverso gli ingranaggi prima uno dopo l'altro, è una bella ma pessimistica metafora. Li vedi rincorrersi, saltellare, girare dall’una all’altra parte per finire poi, irreversibilmente, frantumati dal macinino.
Come i chicchi anche gli uomini, chi prima chi dopo, calano nel misterioso "buco nero/bianco" del "pass away", della fine dell'esistenza terrena. C'è il chicco che cade per primo, per secondo, per terzo, sino all'ultimo chicco. Alla fine, il Belli non ne parla, i chicchi si trasformeranno in una finissima polvere che produrra un caffè dal buon aroma. Anche noi diventereremo polvere: Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris (Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai).
La speranza è che rimanga il profumo delle esperienze, degli amori, dei sentimenti, degli affetti e dei ricordi nei propri cari e negli amici. Ha senso allora arrabattarsi, sgomitare, smanettare, quando sicuramente ci aspetta, in fondo al nostro percorso, la malattia e la morte? Dobbiamo prendere la vita con la filosofia del caffettiere? Quali alternative abbiamo? Speranza e utopia devono guidare il nostro cammino terreno?
Friedrich Nietzsche: La speranza è il peggiore dei
mali, perché prolunga i tormenti dell’uomo.
Giacomo Leopardi: Quando si percorre, carponi, un cunicolo sotterraneo, si
arriva ad un punto in cui, essendo andati troppo oltre, si sa che tentare di
tornare indietro equivale a morte certa. Andare avanti non dà certezza di sopravvivenza, ma questa
incertezza equivale a una speranza
O speranze, speranze; ameni inganni della mia prima età! Ernst Bloch, ne "Il principio Speranza" (Premessa) afferma: L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L'affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono.
Papa Francesco: “Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili (…) E ce ne sono tanti. E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù!”
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