Mi dice un amico medico: Caro Giovanni, ci sono pazienti ignoranti e pazienti ignoranti informati, i primi sono quelli che non usano internet per conoscere la loro patologia, si affidano completamente al medico, i secondi sono quelli che si informano sulle loro patologie tramite internet. L'allusione era per me, io sarei secondo lui un paziente oncologico ignorante informato. Trovo su Treccani.it questa definizione di ignorante:
Che non conosce una determinata materia, che è in tutto o
in parte digiuno di un determinato complesso di nozioni. Ha senso oggettivo e
spesso di modestia, se detto di sé stesso; riferito ad altri, è per lo più
spregiativo o offensivo.
Domanda: I professionisti di qualsiasi
ordine o collegio vogliono dei clienti informati tramite internet? No!! Li
vogliono ignoranti perche sono più facili da gestire, fanno meno domande. Ma
allora che senso ha creare un'associazione dal titolo: (Chiama) -Informazione
come cura?
Riporto da internet alcune riflessioni che ci aiutano a
inquadrare il problema della comunicazione medico-paziente.
Le prime le trovo sul sito Treccani.it in un articolo dal
titolo: La
grande scienza - Saggi: PUBLIC UNDERSTANDING OF SCIENCE. Copio e incollo la
parte riguardante una ricerca canadese sulla comunicazione tra medico e
paziente. "Secondo alcuni studiosi
gli stessi esperti contribuirebbero a rafforzare una rappresentazione del
pubblico come 'ignorante'. Nel corso di uno studio condotto sulla comunicazione
tra medici e pazienti, in un grande centro ospedaliero canadese fu distribuito
un questionario allo scopo di saggiare il livello conoscitivo dei pazienti.
Allo stesso tempo ai medici fu chiesto di stimare indipendentemente, per
ciascun paziente, questa stessa conoscenza. I tre principali risultati ottenuti
furono decisamente sorprendenti. Se da un lato, infatti, il livello informativo
dei pazienti si dimostrava piuttosto buono (con una media del 75,8% di risposte
corrette ai quesiti posti), meno della metà dei medici era invece riuscito a
stimare accuratamente il livello conoscitivo dei propri pazienti. Infine,
questa stima non era comunque utilizzata dai medici per adeguare il proprio
stile di comunicazione al livello di informazione attribuito al paziente. In
altre parole, il fatto di considerare un paziente scarsamente in grado di
comprendere questioni o termini medici non portava il medico a modificare significativamente
le proprie modalità espositive. La disinformazione del paziente, concludono
piuttosto drasticamente gli autori, sembra in molti casi una sorta di 'profezia
che si autoadempie': è il medico, considerando ignorante il paziente e non sforzandosi
per farsi comprendere, a contribuire a renderlo effettivamente ignorante
(Seagall e Roberts 1980)."
Le seconde le ricavo dal blog del dott. Roberto
Cavallini, nel post dal titolo: Perché
i medici si arrabbiano quando il paziente ribatte: “ho letto su internet”. "L'ho letto su
internet..." visto dalla parte del medico
(che oltretutto scrive sul web!)
"Fatto salvo
il diritto di sapere, oggi mi sono arrabbiato per il motivo di cui sopra. Ed ho
riflettuto sul perché è accaduto. I medici studiano su libri e su riviste
cartacei ed on line, che costano, che vanno scelti accuratamente, pensati e
valutati. Per loro la cultura è fin da subito una presa di responsabilità, una
scelta, una possibilità di errore, una esposizione (si sceglie un indirizzo
piuttosto che un altro). Pertanto la cultura del medico è metamorfica: un
medico acculturandosi si modifica. Il pubblico legge su internet, ove basta un
“click” o digitare una parola chiave per avere gratuitamente tutte le notizie
che si vuole. Nessuna responsabilità, nessuna scelta, nessuna esposizione,
nessun rischio: la cultura in questo caso è protesica: una protesi messa lì,
appiccicata in qualche modo con uno sciame di “click” e di “bites”.
Abbiamo pertanto
una cultura plastica (quella medica) ed una rigida (quella internettiana), una
cultura vissuta (quella medica) ed una nozionistica (quella internettiana), una
cultura ad alto investimento (quella medica) ed una costo zero (quella
internettiana). Costo esistenziale, non di danaro, ovvio.
Purtroppo queste
differenze non sono note al pubblico che naviga su internet. Ed ovvio allora lo
scontro."
Mi viene da rispondere che come ci sono medici e medici,
cioè non sono tutti eguali, ci sono anche pazienti e pazienti. Anch'io attingo
le mie informazioni da siti affidabili e non da uno qualsiasi che purtroppo
abbondano nel web.
Infine cito altre considerazioni importanti tratte da un
articolo di Cesare Fassari del sito quotidianoasnità.it, dal titolo: Medico
e paziente. Quando a vincere è la sfiducia
(…) "E così,
quando arriva la notizia che temevamo nel nostro intimo, e che mai avremmo
voluto sentire, scatta qualcosa di brutale. Di incontrollabile. Chi abbiamo
davanti non è più un medico o un infermiere che ha tentato di salvare la vita
al nostro parente o amico. E' un carnefice, un incompetente, uno che “se
ne frega”.
Le ragioni di questa involuzione sono diverse. Alcune semplici da spiegare, come la perdita di quell’alone di supremazia intellettuale che il medico ha mantenuto per secoli di fronte ai propri pazienti, quasi tutti, indipendentemente dalla classe sociale di provenienza, completamente ignoranti rispetto all’ars medica. Altre frutto del paradosso per cui, più siamo informati sulla nostra salute, più diventiamo scettici verso la cura e le terapie prescritte. Altre, probabilmente figlie del generale declino della fiducia verso tutto ciò che è istituzione e il medico, come l’ospedale che lo ospita, sono due grandi istituzioni del Paese. Altre non sono che il risultato dell’incapacità di comunicazione tra medico e paziente che resta uno dei punti fragili di quell’alleanza terapeutica cui ci si vorrebbe ispirare per cambiare il volto della medicina, umanizzandola, rendendola sempre più vicina e accogliente, anche nelle tragedie e nelle scelte difficili.
Resta il fatto che, come spesso accade, la brutalità dei fatti vale più di mille parole. Il termometro della relazione medico paziente non è forse mai sceso così in basso. E non sta certo al paziente far risalire la temperatura a livelli più accettabili. L’unico che può farlo è il medico. Nella sua individualità e nella sua dimensione professionale e ambientale."
Le ragioni di questa involuzione sono diverse. Alcune semplici da spiegare, come la perdita di quell’alone di supremazia intellettuale che il medico ha mantenuto per secoli di fronte ai propri pazienti, quasi tutti, indipendentemente dalla classe sociale di provenienza, completamente ignoranti rispetto all’ars medica. Altre frutto del paradosso per cui, più siamo informati sulla nostra salute, più diventiamo scettici verso la cura e le terapie prescritte. Altre, probabilmente figlie del generale declino della fiducia verso tutto ciò che è istituzione e il medico, come l’ospedale che lo ospita, sono due grandi istituzioni del Paese. Altre non sono che il risultato dell’incapacità di comunicazione tra medico e paziente che resta uno dei punti fragili di quell’alleanza terapeutica cui ci si vorrebbe ispirare per cambiare il volto della medicina, umanizzandola, rendendola sempre più vicina e accogliente, anche nelle tragedie e nelle scelte difficili.
Resta il fatto che, come spesso accade, la brutalità dei fatti vale più di mille parole. Il termometro della relazione medico paziente non è forse mai sceso così in basso. E non sta certo al paziente far risalire la temperatura a livelli più accettabili. L’unico che può farlo è il medico. Nella sua individualità e nella sua dimensione professionale e ambientale."
Chiedevo alla mia gentile fornaia se lei si sente una
paziente ignorante o ignorante informata. Per nulla sorpresa dal quesito mi ha
raccontato questa storia a proposito di conoscenze acquisite su internet: "Mia cognata ha partorito di recente in Ospedale (non diciamo quale) e avendo letto
nel web che si può presentare il "Piano del parto" (Birth Plan), lo ha redatto
e presentato al ginecologo quando è stata ricoverata per partorire. Il
ginecologo, quando l'ha visto, le ha detto che non voleva saperne e che se non
le vanno le modalità per partorire dell'Ospedale, poteva farlo a casa. E' rimasta molto male."
Il Piano del parto è un accordo scritto e
firmato tra la partoriente e la struttura in cui ha deciso di partorire, o con
il ginecologo o l'ostetrica che la segue, magari in caso di parto in casa, può
essere anche un elenco di desiderata della partoriente. Forse la futura mamma
avrebbe dovuto concordarlo prima con la struttura e non presentarlo al momento
del ricovero. Comunque sono stati calpestati i diritti della
partoriente e del neonato fissati dall’Organizzazione mondiale della
Sanità del 1985 e dalla legge italiana del 2006 sulla “Tutela dei diritti della partoriente, la
promozione del parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato”.
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