mercoledì 22 gennaio 2014

Chi pratica la misericordia non teme il "pass away"!?



(modificato il 25/1/2013) La frase del titolo del post è di papa Francesco. In un film che ho visto di recente in tv, un dittatore affermava invece che la misericordia è dei deboli. Come si vede le opinioni in questo mondo possono essere spesso diverse, a volte anche opposte, ma a seconda di quello in cui si crede dipendono però le nostre azioni e il nostro "pass away". Domanda Alessandro Cecchi Paone al prof. Umberto Veronesi in un'intervista sul Corriere della Sera Magazine: Lei ha curato migliaia di pazienti, moltissimi sono guariti, altri, in attesa delle terapie definitive capaci di sconfiggere tutti i tipi di tumori, sono morti, purtroppo. Tra questi ultimi chi ha affrontato meglio quella che lei chiama un fatto naturale (morte)?
«Sembra paradossale, ma ho visto morire meglio, più serenamente i non credenti, probabilmente perché si preparano all’eventualità per tempo, ci pensano quando impostano il loro progetto di vita sapendo che non avrà sviluppi ulteriori dopo la fine. Applicano una sorta di laicismo stoico. Paradossalmente, invece, molti credenti ci arrivano più spaventati, non so perché». 
Ma ci sono oncologi che esprimono sull'argomento parere opposto.
Non dobbiamo aver paura di esprimere i nostri pensieri, sentimenti ed emozioni. Nei forum, nei siti, nei blog che parlano di patologie oncologiche prevale giustamente la speranza e il desiderio di farcela, di guarire o di cronicizzare il cancer, in definitiva di avere lo stesso obiettivo degli altri mortali: vivere più a lungo possibile. Quanto un oncologo ti dice che ce la puoi fare, il cuore si allarga, ti senti sollevato. Se invece ti dice che non c'è speranza, sembra che ti crolli il mondo addosso. Anche se tutti dobbiamo morire, l'idea della morte ci spaventa, ci atterrisce, soprattutto quando colpisce una persona cara e in particolare un bambino, un giovane, un papà, una mamma. E' possibile prepararci a morire? E' sempre più facile da dire che da fare!
Ho trovato nella conclusione dell'Udienza di papa Francesco, un significato, una accezione della morte che potrebbe andar bene anche per chi non è credente: La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo.
Ma anche chi non crede nel regno promesso, chi crede nel Gesù umano e non divino, e pensa di rivivere solo nel ricordo di chi gli ha o ha voluto bene, se pratica la compassione (soffro con, provare emozioni con..),  un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui provandone pena e desiderando alleviarla, ha adempiuto alla sua missione terrena. Il bene dato e ricevuto non è stato inutile!! - dice papa Francesco.
Citava Federica, la cancer blogger passed away il 5 settembre 2013 a 31 anni (vedi post precedente), nel suo blog: La sofferenza umana ha una natura duplice. Può essere causa di infelicità o incentivo per un’ulteriore crescita. Se ci disperiamo di fronte alla sofferenza, siamo persi, ma se la consideriamo un’occasione per svilupparci e migliorarci, scopriamo che la nostra esperienza ci rende in grado di portare felicità agli altri. (Daisaku Ikeda)

Udienza Generale di Papa Francesco, Piazza San Pietro, Mercoledì, 27 novembre 2013
"Cari fratelli e sorelle, buongiorno e complimenti perché siete coraggiosi con questo freddo in piazza. Tanti complimenti.
Desidero portare a termine le catechesi sul “Credo”, svolte durante l’Anno della Fede, che si è concluso domenica scorsa. In questa catechesi e nella prossima vorrei considerare il tema della risurrezione della carne, cogliendone due aspetti così come li presenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè il nostro morire e il nostro risorgere in Gesù Cristo. Oggi mi soffermo sul primo aspetto, «morire in Cristo».
1. Fra noi comunemente c’è un modo sbagliato di guardare la morte. La morte ci riguarda tutti, e ci interroga in modo profondo, specialmente quando ci tocca da vicino, o quando colpisce i piccoli, gli indifesi in una maniera che ci risulta “scandalosa”. A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura.
2. Ma a questa falsa soluzione si ribella il “cuore” dell’uomo, il desiderio  che tutti noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo dell’eterno. E allora qual è il senso cristiano della morte? Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori, un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra vita non finisce con la morte.
Questa sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione di Gesù Cristo. La risurrezione di Gesù non dà soltanto la certezza della vita oltre la morte, ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura». Una bella preghiera della Chiesa questa! Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci: contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore, vederlo come Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: vedere il Signore.
3. In questo orizzonte si comprende l’invito di Gesù ad essere sempre pronti, vigilanti, sapendo che la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita, quella con il Padre celeste.  E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù. Questa è la sicurezza: io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità.
Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa parabola del giudizio finale, quando dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo. La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo.
Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con  i santi."

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