Tiziano Terzani sull'Himalaya |
Ho ascoltato anche l'ultima intervista di Tiziano Terzani (Firenze, 14 settembre 1938 – Orsigna, 28 luglio 2004) dal titolo: Anan, il senzanome (è vedibile interamente su Youtube). L'intervista realizzata dal regista Mario Zanot nel maggio 2004, è l'ultima testimonianza filmata di Tiziano Terzani, scomparso poco tempo dopo, il 28 luglio, proprio nel suo ritiro dell'Orsigna, sulle montagne toscane, dove si sono svolte le riprese.
Secondo me sperare di guarire da un cancer è auspicabile ed è possibile a qualsiasi età, ma lo è in particolare quando si è giovani e quando si hanno dei figli giovani. Ma per Terzani, morto a 66 anni, no! Non vuole aggiungere anni alla sua vita, anche volendo però non potrebbe farlo. Il cancer all'intestino, contro il quale ha lottato dalla primavera del 1997 fino alla morte avvenuta nel 2004, non gli ha dato scampo.
Sono particolarmente vibranti nell'intervista i brani
dedicati alle riflessioni sulla malattia, sulla vita e sulla morte. Definisce
la morte "questa malattia con cui
nasciamo, che è incurabile" e che fu oggetto della ricerca interiore a
cui Terzani si dedicò negli ultimi anni della sua esistenza.
Ecco alcune frasi del suo ultimo libro uscito postumo,
dal titolo "La fine è il mio inizio", scritto a quattro mani con il figlio
Folco, frasi che ripete nell'intervista: Folco, Folco,
corri, vieni qua! C'è un cuculo nel castagno. Non lo vedo, ma è lì che canta la
sua canzone: Cucù, cucù, l'inverno non c'è più. È ritornato il maggio col canto
del cucù. Bellissimo, senti!Che gioia, figlio mio. Ho sessantasei anni e questo grande viaggio della mia vita è arrivato alla fine. Sono al capolinea. Ma ci sono senza alcuna tristezza, anzi, quasi con un po' di divertimento. L'altro giorno la Mamma mi ha chiesto «Se qualcuno telefonasse e ci dicesse d'aver scoperto una pillola che ti farebbe campare altri dieci anni, la prenderesti?» E io istintivamente ho risposto «No!» Perché non la vorrei, perché non vorrei vivere altri dieci anni. Per rifare tutto quello che ho già fatto? Sono stato nell'Himalaya, mi sono preparato a salpare per il grande oceano di pace e non vedo perché ora dovrei rimettermi su una barchetta a pescare, a far la vela. Non mi interessa.
Guarda la natura da questo prato, guardala bene e ascoltala. Là, il cuculo; negli alberi tanti uccellini – chi sa chi sono? – coi loro gridi e il loro pigolio, i grilli nell'erba, il vento che passa tra le foglie. Un grande concerto che vive di vita sua, completamente indifferente, distaccato da quel che mi succede, dalla morte che aspetto. Le formicole continuano a camminare, gli uccelli cantano al loro dio, il vento soffia.
Dal libro è stato tratto "Das Ende ist mein Anfang" del 2010, diretto da Jo Baier e sceneggiato dal figlio Folco e da Ulrich Limmer, con Bruno Ganz nel ruolo di Tiziano Terzani. Il film è distribuito in Italia con lo stesso titolo del libro, dal 1º aprile 2011.
Nel libro "Un altro giro di giostra" tratta del
suo modo di reagire alla malattia, un tumore all'intestino, viaggiando per il
mondo e osservando con lo stesso spirito giornalistico di sempre le tecniche
della più moderna medicina occidentale (Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York) e le medicine alternative indiane (ayurvedica) e tibetane. Il viaggio
più difficile, alla ricerca di una pace interiore, che lo portò ad accettare
serenamente la morte.
Dal libro "Un
altro giro di giostra" riporto alcune riflessioni:« Si sa, capita a tanta gente, ma non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Questo era sempre stato anche il mio atteggiamento. Così, quando capitò a me, ero impreparato come tutti e in un primo momento fu come se davvero succedesse a qualcun altro.
«Signor Terzani,
lei ha il cancro», disse il medico, ma era come non parlasse a me, tanto è vero
— e me ne accorsi subito, meravigliandomi — che non mi disperai, non mi
commossi: come se in fondo la cosa non mi riguardasse. Forse quella prima
indifferenza fu solo un'istintiva forma di difesa, un modo per mantenere, un
contegno, per prendere le distanze, ma mi aiutò. Riuscire a guardarsi con gli
occhi di un sé fuori da sé serve sempre. Ed è un esercizio, questo, che si può
imparare. Passai ancora una notte in ospedale, da solo, a riflettere» (…)
« Viaggiare era
sempre stato per me un modo di vivere e ora avevo preso
la malattia come un altro viaggio: un viaggio involontario, non previsto, per
il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo
preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più
impegnativo, il più intenso. » (...)
« Andando a giro per il mondo a incontrare medici, maghi e
maestri avevo capito che era inutile continuare a viaggiare, che la cura delle
cure non esiste e che la sola cosa da fare è vivere il più coscientemente, il
più naturalmente possibile, vivere in maniera semplice, mangiando poco e
pulito, respirando bene, riducendo i propri bisogni, limitando al massimo i
consumi, controllando i propri desideri e allargando cosi i margini della
propria libertà. Ciò che è fuori è anche dentro; e ciò che non è dentro
non è da nessuna parte. Per questo, viaggiare non serve. Se uno non ha niente
dentro, non troverà mai niente fuori. E’ inutile andare a cercare nel mondo
quel che non si riesce a trovare dentro di sé.»
Nessun commento:
Posta un commento