venerdì 28 marzo 2014

Ippocrate, Seneca, More, Napolitano e Veronesi sul fine vita

Chi viene colpito da una patologia importante, spesso incosciamente, rimugina pensieri più o meno angoscianti sul fine vita. Riporto la lettera che il Presidente della Repubblica ha inviato allo scrittore Carlo Troilo e il post di Umberto Veronesi.
Premetto le definizioni dell'eutanasia, il Giuramento di Ippocrate, il pensiero di Seneca e di Tommaso Moro tratti da Wikipedia:

  •  l'eutanasia è attiva diretta quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte (per esempio sostanze tossiche).
  • l'eutanasia è attiva indiretta quando l'impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (per esempio: l'uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione di tempi di vita.
  • l'eutanasia è passiva quando provocata dall'interruzione o l'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo.
  • l'eutanasia è detta volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto, espressa essendo in grado di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico. L’eutanasia è detta non-volontaria nei casi in cui non sia il soggetto stesso ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).
  • il suicidio assistito è invece l'aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio ma senza intervenire nella somministrazione delle sostanze.
Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si legge: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.»
Lucio Anneo Seneca (60 d,C.): «La vita non sempre va conservata: il bene, infatti, non consiste nel vivere, ma nel vivere bene. Perciò, il saggio vivrà quanto deve, non quanto può. Osserverà dove gli toccherà vivere, con chi, in che modo e che cosa dovrà fare. Egli bada sempre alla qualità della vita, non alla lunghezza.»
Nell'Utopia di Tommaso Moro (1516): « ...se qualcuno non solo è incurabile ma anche oppresso da continue sofferenze, i sacerdoti e i magistrati, poiché non è più in grado di rendersi utile e la sua esistenza, gravosa per gli altri, è per lui solo fonte di dolore (e quindi non fa che sopravvivere alla propria morte), lo esortano a non prolungare quel male pestilenziale...In questo modo li convincono a porre fine alla propria vita digiunando o facendosi addormentare, così da non accorgersi nemmeno di morire. Ma non obbligano comunque nessuno ad uccidersi contro la propria volontà, né gli rivolgono meno cure... Chi invece si toglie la vita senza aver ricevuto prima il permesso dei magistrati e dei sacerdoti è considerato indegno. »
Lettera del Presidente Napolitano a Carlo Troilo, dell'Associazione Luca Coscioni 
Lettera inviata dal Presidente Napolitano a Carlo Troilo, dell'Associazione Luca Coscioni, e dallo stesso resa pubblica:
"Caro Troilo, la ringrazio per avermi dato notizia dell'iniziativa programmata per il 18 marzo, nell'anniversario della triste data del suicidio di suo fratello Michele. E sento profondamente la drammaticità del travaglio che hanno vissuto altri partecipanti alla conferenza stampa per le disperate vicende dei loro cari. Drammatici nella loro obbiettiva eloquenza sono d'altronde i dati resi noti da diversi istituti che seguono il fenomeno della condizione estrema di migliaia di malati terminali in Italia. Ritengo anch'io che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita e eludere 'un sereno e approfondito confronto di idee' su questa materia. Richiamerò su tale esigenza, anche attraverso la diffusione di questa mia lettera, l'attenzione del Parlamento". Roma, 18 marzo 2014
Testamento biologico: “Grazie, presidente Napolitano”
Vivere è un diritto o un dovere? E' ora che anche in Italia si arrivi a una medicina della responsabilità
Grazie, presidente Napolitano. Non è possibile che la crisi economica e la confusione politica abbiano fatto accantonare, come se fosse un lusso e un capriccio, il dibattito sul testamento biologico e sull’eutanasia. Il messaggio che Lei ha mandato alla conferenza dell’associazione Luca Coscioni ha il grande merito di ricordare, non solo al Parlamento, ma a tutto il Paese, che negli ultimi dieci anni, secondo l’Istat, si sono verificati in Italia 10mila suicidi e oltre 10mila tentati suicidi di malati. Praticamente, mille all’anno. Decisioni tragiche per storie tragiche. Mentre ancora si attende una legge sul testamento biologico e giace inevasa la proposta di legge popolare sull’eutanasia. 
La discussione sul testamento biologico (che io voglio continuare a chiamare così, e non con il burocratico nome di «disposizioni anticipate di trattamento»)  si è incagliata, come qualcuno ricorderà, sul divieto di sospendere  l’idratazione e l’alimentazione artificiali, e sulla sottrazione di libertà costituita nel lasciare ai medici l’ultima parola. No, non ci siamo. Ed è per questo che avevo chiuso amaramente ogni discussione, affermando «meglio nessuna legge che questa legge».
Me n’era però rimasto un acuto senso d’ingiustizia nei confronti dei tanti  che continuano a soffrire. Ho perciò accettato di riaprire la discussione su invito dell’associazione Luca Coscioni, e di partecipare con un videoappello alla conferenza che ha visto presenti i testimoni di tragedie che sarebbero rimaste ignorate se gli stessi protagonisti, o i loro cari, non si fossero battuti per portare il problema a conoscenza dell’opinione pubblica: Mina Welby, vedova di Piergiorgio; la compagna di Mario Monicelli, Chiara Rapaccini; il figlio di Carlo Lizzani, Francesco; Luciana Castellini, compagna di Lucio Magri; lo scrittore Carlo Troilo, autore del libro «Liberi di morire», il cui fratello si uccise.
Che cosa ho detto, in questo videoappello? Che anche in Italia dobbiamo arrivare a una medicina della responsabilità, abbandonando la medicina paternalistica. Se oggi abbiamo il diritto, con la fecondazione assistita, di programmare la vita, dobbiamo anche avere il diritto di programmare il termine della vita. Perché vivere è un diritto, e non un dovere. Comunque la si pensi, è ora di arrivare a un aperto dibattito, in cui le posizioni si confrontino sino in fondo. Il Presidente della Repubblica ha detto nel suo messaggio: «Ritengo che il Parlamento non dovrebbe ignorare  il problema delle scelte di fine vita, ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee su questa materia.»
Non so se la ripresa del dibattito, che io mi auguro sollecita, potrà contare sulla serenità, perché la contrapposizione ideologica è molto forte. Vorrei però ricordare il concetto dell’autodeterminazione, che è parte inscindibile della libertà di ogni individuo. C’è chi vorrà negarla?

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