sabato 20 ottobre 2012

G. Bonadonna: Cari medici, gli uomini non sono solo molecole


Dedico questo post al dott. Gianni Bonadonna e ai medici che come lui si battono per una medicina umana.
Gianni Bonadonna è presidente della Fondazione Michelangelo, una ONLUS a carattere scientifico finalizzata all'avanzamento della ricerca applicata alla cura dei tumori. Riconosciuta ufficialmente come Fondazione nell'Aprile 2001, è ospitata presso l'Istituto Nazionale Tumori di Milano.
Si vedano anche i libri di Gianni Bonadonna: "Medici umani, pazienti guerrieri. La cura è questa" di Giangiacomo Schiavi, Gianni Bonadonna - Baldini Castoldi Dalai editore; "Dall'altra parte" di Bonadonna Gianni; Bartoccioni Sandro; Sartori Francesco pubblicato da BUR Biblioteca Univ. Rizzoli nella collana Futuropassato.
Riporto dal magazine "Sette" del Corriere della Sera, pag. 71, venerdì 17.10.2012, l'Intervista di Sara Gandolfi a Gianni Bonadonna, paladino di una "nuova sanità", dell'istituto dei Tumori di Milano, dal titolo: «Cari medici,  gli uomini non sono solo molecole»
Colpito da un ictus, non si è arreso. E oggi il grande oncologo che scoprì la cura al tumore di Hodgkin pungola i colleghi: «Fate tesoro degli errori passati e presenti, ora e tempo di ascoltare i pazienti»

Scegli un dottore che ti dà fiducia e affidati a lui. Semplice e concreto. Oltre il facile mito di una medicina che tutto cura e tutto aggiusta. Perché a volte serve l'empatia di uno sguardo, la parola di una persona che ti aiuta a capire contro che male devi combattere e come affrontarlo. Lo ha sempre fatto Gianni Bonadonna, scopritore di una cura che ancora oggi è considerata terapia di eccellenza per il linfoma di Hodgkin, il primo a introdurre il trattamento farmacologico post-operatorio che ha contribuito a migliorare la prognosi del carcinoma mammario. Ha scritto pagine fondamentali per l'oncologia, finché un ictus anni fa ha fermato la sua mano. Non la sua mente. Che continua ad animare la Fondazione Michelangelo, nel "suo" Istituto dei Tumori. 
Cosa significa essere un buon medico? 
«La medicina è nettamente cambiata nel corso degli ultimi decenni grazie alle nuove tecnologie. Oggi il medico ha a disposizione un vasto campo di trattamenti farmacologici e quelli chirurgici si fanno più audaci. Avanzamenti tecnologici che però hanno creato miti e illusioni: al medico il mito di essere diventato onnipotente, al pubblico l'illusione che per ogni malattia ci sia un rimedio per guarire, subito. La medicina deve tornare a essere umana. È tempo di iniziare a insegnare sin dall'università a entrare nel mondo delle malattie come sono vissute dai pazienti. L'obiettivo principale della professione medica rimane quello di rendere un servizio all'umanità. Facendo tesoro degli errori passati e presenti, dovremo riconsiderare che abbiamo a che vedere con esseri umani e non soltanto con molecole».
Cosa ha il diritto di chiedere un paziente?  
«Il malato ha il diritto di conoscere e decidere, di autodeterminare le proprie scelte. Il medico deve rispettare i diritti del paziente senza atteggiamenti autoritari e paternalistici, fornire con tatto e sincerità gli elementi necessari perché il malato partecipi con maggior consapevolezza alle procedure di diagnosi e cura e, quando richiesto, a uno studio terapeutico. La medicina per i clinici come per i pazienti deve restare un'arte, un modo d'incontrarsi e dialogare tra persone, non un contatto accidentale e frettoloso».
Per "mettersi nei panni" di un paziente, un medico deve ammalarsi?
«Non necessariamente. Ci sono medici più sensibili. Il medico deve saper infondere al malato fiducia per le cure che gli somministra, speranza di guarigione e soprattutto fargli sentire che non lo considera solo un numero ma una persona a tutto tondo. Un bravo medico non fa sentire abbandonato il malato, l'attenzione e l'ascolto sono una grande cura. Alcuni medici lo sanno: dai pazienti imparano il significato della vita, capiscono il peso della sofferenza».
È il medico o il paziente che deve decidere "quando fermarsi"?
«Il medico deve informare con tatto il paziente quando non vi è più possibilità di alcun trattamento efficace. In questo caso farlo vivere nel modo più dignitoso possibile è un atto di umanità, evitandogli l'accanimento terapeutico, cure inutili, le sofferenze evitabili. È l'alleanza medico-paziente che farà prendere la decisione corretta».
Il tumore non è vinto, ancora... 
«Rimane ancora molta strada da fare: capire meglio i meccanismi di azione dei farmaci più nuovi, come trarre vantaggio dai nuovi marcatori genetici per "personalizzare" i trattamenti, più efficaci e meno tossici».
Cosa direbbe a un amico che scopre di avere un tumore e di rischiare la vita?
«Gli direi di rivolgersi a un centro di eccellenza e di affidarsi alle cure dell'oncologo che abbia con lui un vero colloquio informativo e la capacità di dimostrare una genuina partecipazione alle sue reazioni emotive, una solida competenza professionale, tatto, simpatia, comprensione». Perché solo il medico che ha la fiducia del suo paziente può dirsi un buon medico".

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