venerdì 16 dicembre 2011

Parlare chiaro in fin di vita?

Trovo nelle news del Centro Maderna una notizia, tratta dal New York Times, dal titolo: Parlare chiaro in fin di vita. 
Mi sono permesso di modificare il titolo del Centro Maderna con un punto di domanda.
A mio avviso non esistono frasi standard per chi è in fin di vita, sia per i famigliari che per il paziente.  Si parla spesso nelle patologie importanti di cure personalizzate, perché non personalizzare anche le parole  di fine vita a seconda del paziente? La morte di un bambino, di un giovane, di un adulto o di un anziano non è la stessa cosa.
Ecco il testo della news: "Paula Span, collaboratrice e giornalista del New York Times, ha recentemente pubblicato nella sezione dedicata agli anziani del blog del famoso quotidiano americano una sua intervista al Dr. Stephen Workman, internista in un ospedale canadese di Halifax, in Canada, autore di un articolo recentemente pubblicato sull'International Journal of Clinical Practice su come i medici devono parlare a chi si trova in fine vita e ai suoi familiari. Il provocatorio titolo dell'articolo (Never say die? - as treatments fail doctors’ words must not) "Mai dire morire? Se fallisce la cura, le parole del medico non devono fare altrettanto" mostra già quale sia la posizione del medico canadese, che considera sbagliata la tendenza diffusa tra i medici di non menzionare mai la possibilità di morte del paziente, evitando di affrontare una eventualità spesso più che concreta. "Se la morte è una cosa talmente terribile che io, il dottore, non riesco ad affrontare, come posso aspettarmi che riescano a farlo i pazienti e le loro famiglie?". Le frasi tipiche che si sentono in questi casi, come "la situazione è seria" o "molto critica" e "la prognosi è incerta" dovrebbero essere sostituite, secondo Workman, con espressioni più dirette, come "C'è la possibilità o il rischio che lei/il vostro caro deceda durante questo ricovero", per dare ai pazienti e ai familiari il tempo di accettare ciò che sta per venire. La frase "il paziente non reagisce alla cura", andrebbe poi evitata, perché sposta la responsabilità sui pazienti, quasi come se fossero loro a non essere bravi abbastanza da guarire e se invece si impegnassero un po' di più le cose potrebbero andare diversamente. Il messaggio che deve passare dovrebbe invece essere "Abbiamo fatto il possibile, ma nonostante tutti i nostri sforzi, la cura non sta funzionando": il medico deve avere l'umiltà di ammettere i limiti propri e quelli della scienza stessa".

Ho inserito in questo post il dipinto "Morte di Socrate"  dell'artista francese Jacques-Louis David, realizzato nel 1787, olio su tela e conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York.
Perchè  Umberto Galimberti in un ardito confronto tra la morte di Gesù e quella di Socrate afferma:
E infatti i cristiani non sanno morire. Basti in proposito un confronto tra la morte di Socrate e la morte di Gesù. [...] A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla "grande nemica di Dio" e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla "grande amica".
Queste affermazioni meriterebbero un'analisi più approfondita in un post a parte.
 
Morte di Socrate di Jacques-Louis David
L'opera realizzata due anni prima della Rivoluzione francese, mostra un David molto giovane; egli ci raffigura un Socrate che si batté per educare i giovani ad Atene e che preferì la morte alla rinuncia dei propri ideali.
Il filosofo al centro della scena discute della teoria della immortalità dell'anima, indicando il cielo con un dito, mentre distende l'altra verso la coppa contenente la micidiale cicuta.
Socrate appare di una lucidità e di un coraggio sorprendenti, contrapposti alla disperazione e alla debolezza dei discepoli presenti.
Come fonte storica David utilizza il Fedone di Platone; quest'ultimo è rassegnatamente rappresentato di profilo, ai piedi del letto, dando le spalle al maestro. Sullo sfondo, nell'atto di saluto, è rappresentata Santippe, la moglie di Socrate.
La straordinarietà del dipinto è data dalla desolazione del luogo unita alla gestualità dei personaggi (tratto da Wikipedia).

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