mercoledì 9 gennaio 2013

Antiossidanti contro il cancro, per Watson potrebbero essere dannosi


Watson e il DNA

James Dewey Watson (Chicago, 5 aprile 1928) è un biologo statunitense. Scoprì la struttura della molecola del DNA insieme a Francis Crick e Maurice Wilkins con i quali ricevette il Premio Nobel per la medicina nel 1962 per le scoperte sulla struttura molecolare degli acidi nucleici e il suo significato nel meccanismo di trasferimento dell'informazione negli organismi viventi.
Dopo aver letto nel 1946 il libro What Is Life? The Physical Aspect of the Living Cell - Mind and Matter (Che cos'è la vita? La cellula vivente dal punto di vista fisico - Mente e Materia) di Erwin Schrodinger (fisico austriaco, premio Nobel per la fisica nel 1933), cambiò il suo indirizzo da ornitologia a genetica, per nostra fortuna. Trovo su Wikiquote le seguenti affermazioni di Watson: Più o meno in quel periodo Erwin Schrödinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, pubblicò il suo libretto Che cos'è la vita?, che mi capitò fra le mani nella biblioteca di biologia mentre ero al terzo anno, nel 1946. Che cos'è la vita? è uno di quei libri che cambiano la vita: e la mia, come quella di parecchi altri colleghi, cambiò irrevocabilmente. Schrödinger capì che l'elemento chiave dell'ereditarietà doveva essere il trasferimento di informazioni genetiche in forma di molecola di generazione in generazione. (da In principio fu il Verbo o il Dna?, Corriere della sera, 2 gennaio 2006)
Ma veniamo al titolo del post. Trovo nelle rassegne stampa alcuni articoli sugli ossidanti e antiossidanti, scritti dopo che è apparso su Open Biology un articolo di Jim Watson dal titolo: Oxidants, antioxidants and the current incurability of metastatic cancers. 
Alcuni dicono che è una provocazione del grande scienziato come quando  sosteneva che la gente nera è meno intelligente della gente bianca o come quando affermava che una donna doveva avere il diritto di abortire se un test avesse potuto determinare la natura omosessuale del nascituro (clicca qui).
Ma tornando agli articoli sugli antiossidanti, riporto quello apparso su  IlSole24Ore Salute del 09/01/2013 a cura di Silvia Soligon dal titolo: Antiossidanti contro il cancro, per Watson potrebbero essere dannosi.
"Non tutti gli ossidanti vengono per nuocere. Potrebbe essere sintetizzato in questo modo il pensiero espresso da James Watson (nella foto), Premio Nobel per la Medicina nel 1962 per aver contribuito alla scoperta della struttura a doppia elica del Dna, sulle pagine di Open Biology. La rivista della Royal Society ha pubblicato una sua dettagliata analisi del ruolo giocato nel determinare il destino delle cellule tumorali dalle molecole che danneggiano le strutture cellulari ossidandole – le specie reattive dell'ossigeno – e degli antiossidanti che ne contrastano l'azione. L'ipotesi elaborata da Watson è che l'efficacia di alcuni chemioterapici e della radioterapia, la cui azione è basata proprio sulle specie reattive dell'ossigeno, potrebbe essere limitata da livelli eccessivi di antiossidanti nelle cellule tumorali. Questo fenomeno potrebbe spiegare, sottolinea il biologo, “perché i tumori che diventano resistenti al controllo chemioterapico diventano ugualmente resistenti alla radioterapia” e svelerebbe il ruolo giocato da ossidanti e antiossidanti nelle forme di cancro attualmente incurabili, in particolare quelle metastatiche e in un avanzato stadio di sviluppo.

Le due facce della medaglia. Secondo Watson le specie reattive dell'ossigeno sono “una forza positiva per la vita” perché coinvolte nell'apoptosi, la morte programma delle cellule potenzialmente pericolose per l'organismo. D'altra parte la nota capacità di queste molecole di danneggiare irreversibilmente proteine, Dna e Rna ha reso sempre più frequente l'assunzione di integratori a base di antiossidanti come strategia per prevenire l'insorgenza dei tumori se non, addirittura, per aiutare a sconfiggerli. Tuttavia, come sottolinea Watson, gli studi condotti fino ad oggi non sono riusciti a dimostrare chiaramente l'efficacia di questo approccio, anzi, “in futuro i dati potrebbero svelare che l'uso degli antiossidanti, soprattutto quello della vitamina E, ha portato a un piccolo numero di tumori che non esisterebbero se non fosse per l'uso di supplenti antiossidanti”. Per quanto riguarda, invece, l'alimentazione, i cibi ricchi di antiossidanti, ad esempio i mirtilli, dovrebbero essere mangiati “perché sono buoni, non perché il loro consumo riduce il cancro”.
Necessità di innovazione. In questo sottogruppo di tumori, l'eccesso di antiossidanti renderebbe le cellule neoplastiche resistenti alle terapie attualmente disponibili. Per questo motivo Watson sottolinea l'importanza di sviluppare il più presto possibile nuovi farmaci, in particolare contro le metastasi. “Finché non troviamo un modo per ridurre i livelli di antiossidanti – spiega il Premio Nobel – fra 10 anni i tumori in fase avanzata saranno incurabili così come lo sono oggi”.
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Va letto anche l'articolo apparso sulla Stampa.it Scienza del 12.10.2012 dal titolo: Watson: “Il cancro? Lo batteremo così” di Gabriele Beccaria
James Dewey Watson è nato il 6 aprile del 1928. Oggi lavora nei laboratori Cold Spring Harbor, negli Stati Uniti
Lezione all’Ircc di Candiolo: “Terapie mirate su geni e cellule”
«Concentrate i soldi sui cervelli, non sui pazienti!». James Watson fissa la platea e abbozza una risata. «Quarant’anni fa avevo spiegato alle autorità sanitarie americane come gestire i fondi per la lotta al cancro, ma i titoli dei giornali furono pessimi». E nessuno gli diede retta.
Lo scopritore del Dna - si sa - ama le provocazioni. È arrivato all’Ircc di Candiolo, l’Istituto per la ricerca e la cura del cancro alle porte di Torino, che l’ha invitato per un seminario dal titolo ambizioso: «Come riuscire a vincere la guerra al cancro». E una battuta la regala subito: «Se c’è un conflitto, ci vuole un generale, che decida dove sbarcare le truppe, a Calais oppure in Normandia». Perché battere quello che il bestseller di Siddhartha Mukherjee definisce «L’imperatore del male», secondo lui, è possibile, ma ci vuole una nuova visione creativa, intrisa di coraggio, prima di tutto intellettuale.
A 84 anni sa di essere un monumento vivente. È lo scienziato più famoso del mondo e la sua esistenza è una corsa che ha il respiro della Storia. Da adolescente si fece conquistare dal libro-culto «Che cos’è la vita?» del fisico Erwin Schrödinger, poi neanche diciottenne studiò Biologia all’Università di Chicago con il futuro Nobel Salvador Luria e subito dopo cominciò a esplorare le mutazioni genetiche all’Indiana University. «Era un luogo straordinario - mi racconta prima della conferenza -. La ragione, molto probabilmente, è che lì, a differenza degli altri atenei d’America, c’erano molti ebrei». 
A 25 anni scopre con Francis Crick la doppia elica del Dna, nel 1962 vince il Nobel, nel 2000 partecipa alla decifrazione del Genoma e ora, circonfuso della carica di «Honorary chancellor» dei laboratori di Cold Spring Harbor, a tre quarti d’ora d’auto da Manhattan, si è concentrato sull’ossessione del XX e del XXI secolo, il cancro.
«La mia fortuna - racconta sulla strada per Candiolo - è stata la frequentazione di persone estremamente intelligenti. La vita è questione di IQ». Il torinese Luria gli è rimasto nella testa e nel cuore e ha deciso di visitare la città dove nacque il suo mitico Prof. «Sono a Torino per ragioni sentimentali». E ha voluto visitare l’Ircc di Candiolo perché anche qui, come nei laboratori sulla East Coast, si studia il processo che rende molti tipi di cancro intrattabili e mortali: le metastasi. 
«Oggi lui è uno dei simboli dei nuovi approcci della ricerca - spiega il direttore scientifico dell’Ircc, Paolo Comoglio -: le terapie mirate che agiscono selettivamente sui geni che scatenano il tumore». Watson si è fatto accompagnare dalla moglie Elizabeth e dalla sua ex allieva (che prima era stata nel team di Comoglio), Raffaella Sordella, diventata, giovanissima, professoressa di Cancer Science proprio a Cold Spring Harbor.
«Là si è fatta la storia della biologia - racconta lei -. Jim ha trasformato la ricerca, andando a cercare i ragazzi più promettenti. E negli anni si sono fatte scoperte straordinarie. Tra le tante, mi viene subito in mente quella di un oncogene. Merito di Mike Wigler».
E allora a che punto è la guerra? A buon punto, ma tra luci e ombre. «I pessimisti dicono che ce la faremo in 20 anni, io dico 5-10. La decifrazione del Genoma è stata una tappa fondamentale - sottolinea Watson - e oggi sappiamo leggere le caratteristiche genetiche del tumore di ciascun individuo, ma sono ancora troppo pochi i farmaci “intelligenti”». Bisogna accelerare i tempi e «concentrarci sulla biologia e sulla chimica». 
Insomma, non basta svelare le mutazioni del Dna, ma si deve iniziare un viaggio d’esplorazione dentro le caratteristiche delle cellule malate. Si è scoperto, per esempio, che contengono anomali livelli di radicali liberi. «E quindi agire sugli antiossidanti sarà una strada per farmaci efficaci e non tossici».
Le «slide» si susseguono e il professore e l’oratore si alternano. «Spesso la medicina è fatta da chi non conosce abbastanza scienza». E anche la scienza - aveva confessato poco prima - «ha bisogno di eroi. Di “Mr. Brain”, come Steve Jobs, mentre Google è un team e non suscita emozioni». Lui è uno di questi eroi, gioiosamente provocatorio: «So che molti hanno paura della genetica, a cominciare dalla gente di sinistra. E mi odiano. Non accettano che, a volte, nella vita si fallisca perché si hanno pessimi geni».

1 commento:

  1. Il saggio del professore James Dewey Watson, supporta la tesi controccorrente sull'uso degli ossidanti nel campo terapeutico, per cercare di bloccare o rallentare il processo metastico nella fase terminale del cancro. Da profano della biologia leggendo l'articolo di Watson, ripongo molta fiducia sul futuro miglioramento che la scienza potrà ottenere nella guerra contro il "cancro".Scorrendo il post, ho letto l'articolo di Repubblica su alcune opinioni citate in passato dal professore che affermava di fatto che la gente di colore è meno intelligente di quella bianca; penso che un uomo di scienza come il professore Dewey non debba sconfinare in affermazioni presubilmente di stampo ideologico-razzista, senza che siano supportate da studi scientifici,inoltre questa presa di posizione non vede coerenza con la figura che lo scienziato ricopre.Detto ciò, nessuno mette in dubbio il genio che prese il Premio Nobel per la medicina nell'anno "1962", di certo non tutto ciò che dice lo scienziato è scienza... Riccardo Zanella.

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