martedì 8 gennaio 2013

Aleksandr Isaevič Solženicyn: Padiglione cancro


premio Nobel 1970
Nel collaborare con una studentessa per redigere la tesina che presenterà all'esame di Stato al termine della scuola secondaria di 2° grado, partendo dalla sua esperienza di tirocinio presso un reparto di oncologia, l'ho invitata a leggere il bel romanzo di Aleksandr Isaevič Solženicyn. Si tratta di Padiglione cancro della Newton, con la traduzione di Chiara Spano. C'è anche un'edizione UTET del 1973 dal titolo Divisione cancro ed una dell'edizione Einaudi del 1969, intitolata Reparto C.  L'opera scritta negli anni 1963-1967, nello stesso periodo della stesura di Arcipelago Gulag, è ambientata nell'Unione Sovietica del 1955, due anni dopo la morte di Stalin, prima dell'inizio della destalinizzazione di Chruščёv. Diffusa inizialmente attraverso il samizdat (in russo significa "edito in proprio", e indica un fenomeno spontaneo che esplose in Unione Sovietica e nei paesi sotto la sua influenza  tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta), pubblicata poi nella rivista letteraria Novyj Mir di Tvardovskij in edizione mutilata e censurata, priva degli otto capitoli iniziali.
In Italia il romanzo apparve per la prima volta nel 1968, con il titolo Divisione cancro romanzo di Anonimo sovietico, nelle edizioni Il Saggiatore, tradotto da Maria Olsufieva.
L'opera, pur non essendo completamente autobiografica, è largamente ispirata alle reali esperienze di Solženicyn che, uscito dal gulag ed esiliato nel Kazakistan, si ammalò gravemente di tumore nel 1953 e l'anno successivo, nel 1954, fu curato nell'ospedale di Tashkent nell'Uzbekistan. Solgenitsin non muore per cancro ma per insufficienza cardiaca alla ragguardevole età di 89 anni, la sera del 3 agosto 2008.
Con l'aiuto di Studenti.it, ecco la tormentata biografia dello scrittore russo. 
Aleksandr Isaevic Solgenitsin nasce a Kislovodsk (Russia) l'11 dicembre 1918, da una famiglia discretamente agiata. Morto il padre pochi mesi prima della sua nascita in un incidente di caccia, la madre si trasferì col piccolo a Rostov-sul-Don. Nel 1924, a causa degli espropri ordinati dal regime, i due si trovano nella miseria. Ciò non impedì che Aleksàndr continuasse gli studi e si laureasse in matematica nel 1941. Nello stesso anno si arruolò come volontario nell'Armata Rossa e venne inviato sul fronte occidentale. Ricevette persino un'onorificenza.
Ma nel febbraio del 1945, a causa di una lettera (intercettata) in cui criticava aspramente Stalin, venne arrestato, trasferito nella prigione moscovita della Lubjanka, condannato a otto anni di campo di concentramento e al confino a vita. Segue il pellegrinaggio di Solgenitsin da un lager all'altro. Nel 1953, nel domicilio coatto di Kok-Terek, nel Kazakistan, gli è concesso di lavorare come insegnante. Nel frattempo raccoglie una quantità enorme di appunti sugli orrori dei campi, e medita sulle ragioni intrinseche della vita dell'uomo e sul suo profondo valore morale.
Nel 1961 la rivista Novyj Mir pubblica, con l'approvazione di Nikita Chruščёv "Una giornata di Ivan Denissovic", il primo capolavoro assoluto dello scrittore. Il romanzo è un terribile atto di accusa contro i lager staliniani e contro tutti coloro che vogliono soffocare la libertà dell'uomo. Nel raccontare la giornata "tipo" del deportato (in questo caso, appunto, l'emblematico Ivan Denissovic), Solgenitsin dà una immagine realistica, anche se molto cruda, dei campi di concentramento siberiani, dove la vita di ogni uomo era quotidianamente messa in gioco e dove non era solo l'esistenza fisica ad essere prigioniera, ma sono anche i pensieri e i sentimenti ad essere condizionati. Con questo libro, destinato a grande fama, nasce di fatto il "caso" Solgenitsin. D'ora in poi le vicende che riguardano lui e le sue opere saranno strettamente legate.
Dopo altri due fondamentali romanzi, "Divisione Cancro" e "Arcipelago Gulag", inizia la lotta dello scrittore contro il sistema. Insignito del premio Nobel per la Letteratura nel 1970, viene espulso dalla Russia nel 1974 e solo allora si reca a Stoccolma, dove pronuncia un memorabile discorso. In esso afferma di parlare non per sé stesso ma per i milioni di persone annientate nei tristemente celebri Gulag sovietici. Proprio qualche ora prima che venisse arrestato e mandato in esilio, il 12 febbraio 1974, Solženicyn scrisse forse la sua opera più significativa, l'appello "Vivere senza menzogna".
Con la seconda moglie, sposata nel 1973, e i tre figli da lei avuti, si stabilisce in America, per tornare infine in patria nel 1994 atterrando con l'aereo a Kolyma, simbolo dei lager staliniani, e far rientro a Mosca da Vladivostok in treno, attraversando tutta l'immensa landa russa. Nel 1990, sotto Mikhail Gorbaciov, la cittadinanza russa di Solženicyn fu ripristinata e nel 1994, sotto Boris Eltsin, ritornò in Russia con sua moglie Natalia, che era diventata cittadina statunitense. I loro figli restarono negli Stati Uniti (più tardi il maggiore, Ermolay, ritornò in Russia. Da quel momento Solženicyn ha vissuto con la moglie in una dacia a Troice-Lykovo ad ovest di Mosca, tra le dacie di Michail Suslov e Konstantin Černenko.
Solo dopo il 2000, malgrado la diffidenza con cui i suoi connazionali hanno continuato a trattarlo, Alexander Solgenitsin si è riconciliato con il suo amato Paese, dal quale è stato a lungo perseguitato come dissidente, incontrando il presidente Vladimir Putin.
Secondo il critico letterario Antonio D'Orrico il ruolo letterario e politico di Solženicyn è stato molto importante: "L'importanza (ma la parola è inadeguata) di Solzenicyn, non per la storia della letteratura ma per quella del mondo, è immensa. Spesso si dice, e con qualche ragione, che è stato Karol Wojtyla a far cadere il Muro di Berlino. Con molte ragioni in più va detto che è stato lo scrittore russo ad abbattere quasi da solo il socialismo reale e, addirittura, la filosofia da cui traeva ispirazione. Un'impresa titanica. Vi sarete chiesti in qualche momento della vostra vita a che serve la letteratura. Ecco, la letteratura in alcune occasioni può servire a questo, ad abbattere un regime, piegare un impero. E non è un'esagerazione. Basta pensare alla vita di Solzenicyn, prima ancora che leggere la sua opera, basta guardare i suoi libri, messi su un tavolo come i modelli per una natura morta, per capire quello che semplicemente è successo. Solzenicyn è una forza (come si dice in fisica ma anche nei film di fantascienza di Lucas). Ricordate il ragazzo di Tienanmen davanti al carro armato? Solzenicyn è un po' come lui, con l'aggiunta che il carro armato l'ha smontato a mani nude (ci sono mani più nude di quelle di uno scrittore?). Però Solzenicyn non è conosciuto quanto dovrebbe essere conosciuto (in Italia specialmente)". Un incentivo per leggere sempre più i testi di questo grande intellettuale.
Si può leggere anche di Piergiorgio Odifreddi "Il Gulag dei matematici"
Trama di Padiglione cancro
Pàvel Nikolàevič Rusànov, burocrate del partito, accompagnato dalla moglie, viene ricoverato nel padiglione oncologico di una città, non nominata, dell'Asia centrale, per un sospetto gonfiore al collo. Qui fa conoscenza, suo malgrado, con gli altri ammalati del reparto, ciascuno con la sua storia, il suo carattere e il suo specifico tipo di cancro. Tra questi prova un'istintiva antipatia per Olèg Filimonovič Kostoglòtov, "Spolpaossi" come lo definisce Rusànov, un uomo che, agli occhi del burocrate, sembra un mezzo bandito, Dèmka un ragazzo sedicenne, mite e studioso, Ackmadžàn giovane uzbeko e tanti altri, provenienti dalle varie parti del vasto territorio sovietico.
Lo scrittore delinea i tratti salienti di ciascun personaggio e, in particolare, si sofferma proprio su Olèg Filimonovic, un ex topografo deportato dopo aver trascorso vari anni in un gulag: chiaro riferimento alla personale vicenda di Solženicyn. Olèg, segnato dalla dura prigionia, prova una particolare attrazione per la giovane infermiera Zòja.
La ragazza, lusingata dalla sua corte discreta, per non pregiudicare la libido dell'uomo, disobbedendo alle prescrizioni dei medici, evita di praticargli iniezioni di ormoni femminili che dovrebbero rallentare il progredire del suo male. Kostoglòtov è attratto anche dalla dottoressa Vèra Kornìl'evna, gentile e sorridente: un delicato sentimento, ricambiato da Vèra, che il carattere riservato di entrambi non consentirà di manifestare.
Olèg, dopo la diagnosi, viene temporaneamente dimesso: dovrà rientrare al reparto per sottoporsi periodicamente alla terapia. Uscito dall'ospedale, prima di prendere il treno per tornare nel confino di Uš-Terék, vaga per la città, indeciso se recarsi in casa di Vèra la quale, superando dubbi e timori, gli aveva fornito il suo indirizzo. Alla fine del romanzo, rinuncia e partirà senza vederla. (da Wikipedia)

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Del romanzo di Solženicyn, nell'edizione Einaudi, si veda anche Il cancro e l’albicocco in fiore e Il giorno della Creazione

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