Quando
incontro delle persone che conoscono la mia patologia,
vedo nei loro volti l'imbarazzo quando mi chiedono come sto. Recentemente, con
chiaro riferimento al mio K, un amico mi rivolge la consueta domanda che si fa,
per cortesia, tra viventi: Come stai?
Gli rispondo: Abbastanza bene! Sono passati 15 mesi dall'intervento, spero di arrivare al traguardo del prossimo controllo, giugno/luglio, ancora senza recidive e poi a quello dei due anni. Beh - mi dice
- tutto sommato sono due anni regalati.
Gli rispondo: Hai ragione, amico mio, d'altronde
la nostra vita è tutta regalata! Potevamo non esserci e invece ci siamo!
Penso tra me e me, ciò è una conseguenza del mio coming-out, è l'aspetto negativo, ce ne sono anche di positivi, di aver postato il mio K allo stomaco nel web. Ho fatto bene o male? Ho un amico che ha rivelato il suo K a pochissimi fidati amici, ha fatto bene?
Ma veniamo al tema di questo post: David Servan-Schreiber. L'ho citato in un recente post, lui di anni regalati ne ha avuti ben 19, con la notevole differenza che io ho cominciato a 69 anni e lui a 31. Vivere in attesa di una recidiva è come vivere in attesa del Big One, diceva (Big One è il nome dato ad un presunto futuro e catastrofico terremoto californiano). Big One è anche un capitolo del libro "Ho vissuto più di un addio".
Penso tra me e me, ciò è una conseguenza del mio coming-out, è l'aspetto negativo, ce ne sono anche di positivi, di aver postato il mio K allo stomaco nel web. Ho fatto bene o male? Ho un amico che ha rivelato il suo K a pochissimi fidati amici, ha fatto bene?
Ma veniamo al tema di questo post: David Servan-Schreiber. L'ho citato in un recente post, lui di anni regalati ne ha avuti ben 19, con la notevole differenza che io ho cominciato a 69 anni e lui a 31. Vivere in attesa di una recidiva è come vivere in attesa del Big One, diceva (Big One è il nome dato ad un presunto futuro e catastrofico terremoto californiano). Big One è anche un capitolo del libro "Ho vissuto più di un addio".
Rifletto spesso, invito tutti a farlo, su queste frasi di David,
tratte dal libro su citato, editori Sperling & Kupfer, 2011, pag. 59: «Quando non si può più combattere contro la malattia, rimane ancora una
lotta da intraprendere, quella per affrontare bene la morte: salutare
adeguatamente le persone che si devono salutare, perdonare le persone che si
devono perdonare, ottenere il perdono delle persone da cui ci si deve far
perdonare. Lasciare messaggi, sistemare le proprie cose. E partire con un
sentimento di pace e "connessione". Avere la possibilità di preparare
la propria partenza è in realtà un grande privilegio.»
Aiutandomi
con Wikipedia (riporto ampi stralci), con il sito http://www.guerir.org/ e con
il blog di David all'interno del sito, che si ferma chiaramente a prima della morte, sintetizzo la sua vita e i temi di tre suoi libri famosi.
Biografia: Nato
a Neuilly-sur-Seine, comune francese situato nel dipartimento
dell'Hauts-de-Seine nella regione dell'Île-de-France, il 21 aprile 1961, David Servan-Schreiber è
stato psichiatra, giornalista e ricercatore. È stato condirettore del
laboratorio clinico di Neuroscienze Cognitive presso l'Università di Pittsburgh
(USA), dove esercitava anche come psichiatra. Primogenito di Sabine Becq de
Fouquieres, presente al suo funerale, e di Jean-Jacques Servan-Schreiber,
fondatore de "L'espress" (settimanale francese, primo periodico
moderno e innovativo in Europa, a cui si sono ispirati numerosi settimanali
fra cui l'italiano l'Espresso) e autore di "La sfida americana"
(1967). David ha studiato medicina all'ospedale Necker di Parigi, proseguendo
poi la sua formazione medica in Quebec, dapprima alla Laval University e poi
alla McGill University, dove si è specializzato in psichiatria. Nel 1991 ha
conseguito un Ph.D. in intelligenza artificiale presso la Carnegie Mellon
University, dove ha utilizzato le reti neurali per studiare i meccanismi
neuronali alla base di patologie psichiatriche come la depressione e la
schizofrenia.
Il
suo principale argomento di ricerca è stato stabilire un legame fra le
neuroscienze e la psicanalisi. Ha svolto la maggioranza dei suoi studi sulle
medicine alternative applicate alle patologie psichiche, in sostituzione o
affiancate alla psicoanalisi e agli psicofarmaci, a Pittsburgh.
Encomiabile
la sua adesione all'organizzazione "Medici Senza Frontiere" (Médecins Sans Frontières è stata fondata in Francia nel 1971), interrompeva
le sue ricerche per passare qualche settimana in un paese del terzo mondo dove
l'organizzazione riteneva che la situazione sanitaria fosse particolarmente
critica.
Nel
1991 è andato in Iraq, nel 1996 in Guatemala, nel 1997 in India a Dharamsala, nel
1998 in Tagikistan e nel 1999 in Kosovo. Ha contribuito a fondare negli Stati
Uniti Medici Senza Frontiere, ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione dal 1991 al 2000.
Il cancro
Nel
1992, a 31 anni, scoprì di avere un cancro al cervello con prognosi nefasta,
riuscì però a guarire grazie alla chirurgia, alla radioterapia e alla chemioterapia.
Nel 2000, a distanza di 8 anni, ebbe una recidiva con remissione. Rese pubblica l'esperienza, alla luce dei suoi successivi studi sulla
medicina alternativa, solo nel 2007 nel libro Anticancro: Prevenire e combattere i tumori con le nostre difese
naturali, in cui sostenne che la prevenzione della malattia e delle
ricadute si ottiene tramite il potenziamento delle difese immunitarie, con
l'attività fisica costante, con l'alimentazione povera di "carboidrati
bianchi" e alimentandosi invece con verdura e frutta e con la meditazione
per diminuire lo stress. Studiò anche le medicine naturali per la prevenzione dei
tumori chiarendo sempre che, una volta che il tumore si fosse palesato, andava
combattuto con cure tradizionali. Nel 2011 ha avuto una seconda recidiva che si
è rivelata fatale e, a seguito di un aggravamento improvviso, è deceduto il
24.07.2011, all'età di 50 anni, a Fécamp, un comune francese situato nel dipartimento della Senna
Marittima, nella regione dell'Alta Normandia, ed affacciato sul Canale della
Manica.
Scritti (da Wikipedia con aggiunte personali)
David
Servan-Schreiber fece tesoro delle sue esperienze personali sul cancro per raccontarle in tre libri molto noti:
- Guarire - Una nuova strada per curare lo stress, l'ansia e la depressione senza farmaci né psicanalisi (2003)
- Anticancro: Prevenire e combattere i tumori con le nostre difese naturali (2008)
- Ho vissuto più di un addio (2011)
"Guarire - Una nuova strada per curare lo stress, l'ansia e la depressione senza farmaci né psicanalisi (Guerir- Guérir le stress, l'anxiété, la dépression sans médicaments ni psicanalyse) (2003) fu il suo primo saggio medico. "Questo libro è soprattutto una testimonianza. Ho avuto il cancro, sono
guarito e ho voluto condividere con altri ciò che ho imparato. Essere un medico non impedisce di prendersi un cancro(…)"
Nelle
pagine del libro stress e depressione vengono additati come responsabili
dell'insorgenza di malattie varie (Veronesi non è d'accordo, Giovanni). Basandosi su rigorosi studi scientifici,
portati avanti nel corso della sua istruzione medica a Pittsburgh, David
Servan-Schreiber propone le sue terapie alternative, incentrate a ritrovare un
nuovo equilibrio fisico e mentale. Nel libro spiega come funzionano i sette
metodi terapeutici da lui considerati più efficaci per la prevenzione e per
evitare le recidive: la ricerca della "coerenza cardiaca" (controllo
della variabilità del battito cardiaco, una tecnica ispirata da alcune forme di
meditazione e autoipnosi), la rimozione dei traumi psichici con i movimenti
oculari (EMDR, eye movement desensitization and reprocessing)
una tecnica inventata dalla psicologa Francine Shapiro), l'energia della luce,
l'agopuntura, l'assunzione degli acidi grassi Omega-3, lo definiva "L'olio che fa funzionare il cervello",
l'attività sportiva, la comunicazione emotiva non violenta (legata anche alla
solidarietà sociale) per la cura di depressione, stress, ansia, sindrome
maniaco-depressiva e disturbi da shock post-traumatico. Per un'analisi critica
dei sette metodi cliccare
qui (da Wikipedia)
L'oncologo Umberto Veronesi risponde sul Corriere Salute a proposito di stress e tumori: Caro amico, personalmente non credo che la psiche abbia un ruolo nella comparsa e nello sviluppo dei tumori. Credo invece nell'influenza che l'atteggiamento psicologico del malato può avere sulla sua reazione alla cura. L'esperienza clinica ci insegna che un malato psicologicamente forte reagisce meglio ai trattamenti, perché è capace di aderire alla cura con coscienza, sistematicità e determinazione. L'atteggiamento individuale quindi, anche se non influisce sulla prognosi finale, certamente può influire sulla fasi del decorso della malattia. Un paziente aiutato da un atteggiamento ottimistico guarisce di più anche perché segue meglio le cure, s'impegna a osservare meglio le indicazioni del medico, s'impegna a voler guarire. Non mi risulta poi una correlazione diretta dell'ansia e della depressione con il sistema immunitario.
L'oncologo Umberto Veronesi risponde sul Corriere Salute a proposito di stress e tumori: Caro amico, personalmente non credo che la psiche abbia un ruolo nella comparsa e nello sviluppo dei tumori. Credo invece nell'influenza che l'atteggiamento psicologico del malato può avere sulla sua reazione alla cura. L'esperienza clinica ci insegna che un malato psicologicamente forte reagisce meglio ai trattamenti, perché è capace di aderire alla cura con coscienza, sistematicità e determinazione. L'atteggiamento individuale quindi, anche se non influisce sulla prognosi finale, certamente può influire sulla fasi del decorso della malattia. Un paziente aiutato da un atteggiamento ottimistico guarisce di più anche perché segue meglio le cure, s'impegna a osservare meglio le indicazioni del medico, s'impegna a voler guarire. Non mi risulta poi una correlazione diretta dell'ansia e della depressione con il sistema immunitario.
Anticancro: Prevenire e combattere i
tumori con le nostre difese naturali (2008) (Anticancer: Prévenir et
lutter grâce à nos défenses naturelles) è un trattato medico, un invito
generale a prendersi cura del proprio corpo. É un'opera d'arte, un viaggio
verso uno stile di vita più sano ed equilibrato che offre una prospettiva più
ampia e luminosa su una realtà opprimente come quella del tumore. La
raccomandazione è allora quella di fare appello alle nostre difese naturali e
alla volontà di vivere per cercare di superare al meglio la malattia. Il suo
non è un attacco anacronistico nei confronti delle terapie convenzionali; egli
sottolinea piuttosto come l'affidarsi soltanto a queste sarebbe deleterio e
controproducente. Nonostante la tenacia con cui portò avanti le sue teorie, il
cancro, in una forma ancora più aggressiva, non tardò però a ripresentarsi. La parola cancro è evocativa
di paura, di morte. Non si riesce a pronunciarla senza temere il peggio. Questa
inevitabile paura blocca la nostra forza vitale proprio quando ne abbiamo più
bisogno. Occorre dunque disinnescare la paura. Spesso si teme il vuoto che
segue la morte, si teme la solitudine che la malattia potrebbe causare, si teme
di diventare un peso anche per le persone che un tempo ti avevano voluto bene e
ti avevano accudito. La paura più grande però è quella di abbandonare la
propria famiglia, i propri figli. La morte però è la partenza finale e prima di
andarsene bisogna prima accomiatarsi. Ebbene è difficile mettere la parola fine
sotto le ambizioni irrisolte, sotto i viaggi e i desideri incompiuti. Oggi la
parola cancro non è più sinonimo di morte ma ne evoca comunque l’ombra.
Molti filosofi alla domanda: “Cosa c’è di peggio della sofferenza?” Rispondevano: “Il non aver mai sofferto”. La sofferenza comporta un’indagine introspettiva sul senso della vita. Chi non soffre è un analfabeta dell’esistenza. Per molti pazienti, come nel caso di David Servan-Schreiber, quell’ombra fornisce l’occasione per riflettere sulla propria vita, su ciò che si desidera farne. È l’occasione per mettersi a vivere in modo tale da poter, il giorno della propria morte, guardarsi alle spalle con serenità e dignità. Così, in quel giorno si potrà dire addio con un sentimento di pace (da Wikipedia).
Molti filosofi alla domanda: “Cosa c’è di peggio della sofferenza?” Rispondevano: “Il non aver mai sofferto”. La sofferenza comporta un’indagine introspettiva sul senso della vita. Chi non soffre è un analfabeta dell’esistenza. Per molti pazienti, come nel caso di David Servan-Schreiber, quell’ombra fornisce l’occasione per riflettere sulla propria vita, su ciò che si desidera farne. È l’occasione per mettersi a vivere in modo tale da poter, il giorno della propria morte, guardarsi alle spalle con serenità e dignità. Così, in quel giorno si potrà dire addio con un sentimento di pace (da Wikipedia).
In "Ho vissuto più di un addio"
(2011) ("On peut se dire au revoir plusieurs fois", uscito in Francia nel giugno, un mese prima della morte), David si
pone delle domande cruciali sul significato profondo della vita e della morte.
Non si scorge sconfitta nelle sue parole. Questo romanzo è in realtà
un'occasione per dire addio a tutti coloro che lo hanno amato. Si sente pronto
allora a salutare tutti e a partire con un sentimento di pace e connessione.
IL
Club dei vivi - "Anche se sono
costretti a rinunciare alla vita di prima, i malati hanno bisogno di sentire
che continuano a far parte del Club, il Club dei vivi, che fanno cose e vivono
la vita"
Quando
sei malato ed invalido, è facile patire la solitudine. Più la malattia è grave,
più ci si sente soli, angosciati, depressi. La malattia, lungi dall'essere solo
una semplice manifestazione fisica e biologica, è anche un'esperienza intima
che entra a far parte della nostra biografia personale. Il vissuto fondamentale
che caratterizza l'esperienza del corpo malato è costituito dal sentimento di
invalidità e dal sentimento di impossibilità. Ci si sente sconfitti ed inermi
nei confronti di un mondo che diviene sempre più difficile da abitare. Ma David
Servan-Schreiber si sente fortunato in questo: nonostante la gravità della
malattia che lo ha colpito, il fatto di avere i propri cari accanto rappresenta
per lui una fortuna enorme. Per un malato coricato su un letto di ospedale, per
un uomo con il cancro al cervello, è di vitale importanza avere qualcuno su cui
contare. Più si è accuditi, più si rimane attaccati alla vita e più aumenta la
voglia di vivere e di lottare.
Voglia
di vivere - Pedro Laín Entralgo (Urrea de Gaén,
provincia di Teruel, 15 .02 1908 – Madrid, 5.6.2001), medico e filosofo
spagnolo, osserva che il sentimento psichico che accompagna la malattia è la diselpidìa, il non poter sperare,
l'indebolimento della speranza. Chi è malato, sente che la malattia minaccia la
possibilità di realizzazione dei propri progetti, del proprio stare al mondo in
senso pieno; cresce la tentazione di tagliare i legami con il mondo. David
Servan-Schreiber però non si arrese di fronte al tumore. Cercò di mantenere
sempre uno stato mentale positivo che in molti casi aiuta a vivere, se non
proprio a guarire. Egli afferma più volte: "Non
mi è mai passato per la testa di arrendermi". Non avrebbe mai permesso
al cancro di ledere la sua volontà di vivere. Anche nei momenti di maggiore
difficoltà, David non mancò mai di umorismo e di serenità. Nonostante la
pesantezza dell'operazione, non perse mai un minuto per chiacchierare e
scherzare con i figli che spesso gli facevano compagnia nelle fredde sale
dell'ospedale. "Durante la giornata
ammiravamo le belle infermiere tedesche, un'attività che consiglio vivamente
per rafforzare lo slancio vitale". Colpisce inoltre la lucidità con la
quale egli si rende conto della propria condizione. Non rimpiange nulla; nonostante
sappia che forse non festeggerà il suo cinquantunesimo compleanno (il libro è uscito a giugno 2011, muore in luglio 2011, non festeggerà il suo 51esimo compleanno, ma chi è certo di festeggiare il compleanno successivo? Giovanni), è contento
di essere stato portatore di valori ai quali rimane saldamente aggrappato. È
inoltre fermamente convinto dell'efficacia del metodo anticancro. Il tumore
al cervello gli è stato diagnosticato diciannove anni fa; l'approccio
anticancro ha notevolmente migliorato la sua vita in termini di longevità e
qualità. Gli ha permesso di vivere una vita molto più felice. Egli affronta qui
anche il tema della morte. Questo libro è in realtà l'occasione per dire addio
a tutti i lettori e a tutti coloro che lo hanno conosciuto e amato. Non manca
sicuramente la paura della morte ma: "Se
non mi è concesso più di ridere perché ho il cancro, è come se fossi già morto.
Bisogna essere capaci di guardare un film comico, raccontare barzellette,
continuare a vivere. Non serve tornare continuamente sull'argomento; sarebbe
come ricevere l'estrema unzione tutti i giorni". Il dolore più grande
è, allora, lasciare la famiglia, anche se è convinto che i suoi figli non si dimenticheranno mai
di lui: Voglio pensare che quando sentiranno
la carezza del vento sul loro viso si diranno: "È papà che è venuto a
darmi un bacio" (da Wikipedia).
Chi desidera leggere alcune pagine del libro "Ho vissuto più di un addio" da Google books clicchi qui.
(post aggiornato il 14 marzo 2012)
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(post aggiornato il 14 marzo 2012)
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