mercoledì 4 settembre 2013

Perché i bambini soffrono?



Bambino ad Auschwitz
Riflettendo su un incontro casuale che ho avuto nell'Ospedale di Padova, mi sono posto, e non è la prima volta, le seguenti domande: Perché in questa vita alcuni devono soffrire molto e altri no? Perché anche i bambini devono soffrire?  Se ci sarà un'altra esistenza dopo la morte, capiremo il senso del dolore e della sofferenza in questa? Perché il Calvario che ognuno di noi deve compiere prima di morire è molto differente?
Con il termine Calvario o Golgota, oltre ad indicare il luogo ove è stato crocifisso Gesù, si indica anche una fase estremamente critica e dolorosa della salute di una persona, quasi sempre con riferimento alle sue ultime ore di vita. Il calvario non è uguale per tutti, penso ad esempio alle due grandi scienziate Rita Levi Montalcini e Margherita Hack, morte rispettivamente a 103 anni e 92 anni senza particolari sofferenze. Che dire invece di coloro che fanno chemio per anni o che sono allettati a lungo per patologie come la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) o l'Alzheimer, senza speranza di guarigione. In questo blog parlo spesso di oncologia  degli adulti: chirurgia, chemio e radioterapia, centri di eccellenza, effetti delle terapie, ma raramente ho affrontato il tema dell'oncologia pediatrica perché all'Istituto Oncologico Veneto (IOV), dove mi reco per fare cure e volontariato, non vedo bambini. Giovedì mattina mi sono recato presso il Reparto Oncoematologia Pediatrica il cui responsabile è il prof. Giuseppe Basso,  alla ricerca di un mio lontano parente 16enne, che non ho mai conosciuto, ricoverato da pochi giorni per un sospetto linfoma.
Con un po' di fatica sono riuscito ad individuare il reparto (l'Azienda Ospedaliera è un labirinto per me che mi reco quasi tutti i giorni, pensate la fatica ad orientarsi per coloro che ci vanno ogni tanto). Ho sempre pensato che ci vorrebbero dei volontari che accompagnassero le persone all'interno dell'Azienda Ospedaliera. La clinica che cercavo è situata al piano terra di un nuovo padiglione dietro allo stabile del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino. Indirizzo: Via Giustiniani, 3 - 35128 Padova; Edificio Oncoematologia Pediatrica; Telefono: Reparto: 049 8213535-3536; Segreteria: 049 8213579 - 8030; Fax: 049 8213510- 1462; E-mail: oncoemato.ped@sanita.padova.it. La Clinica di Oncoematologia Pediatrica si occupa di diagnosi e cura di bambini con malattie ematologiche e neoplastiche. Ho scoperto che il reparto, avendo pazienti sotto chemio, giustamente applica regole inflessibili per l'accesso dei visitatori ed è aperto per le visite dalle ore 18.30 alle ore 20.30. Sono ricoverati pazienti dai primi mesi di vita fino ai 17 anni di età.
Ritorno quello stesso giorno alle 18.30 e mentre cerco di capire come devo fare per entrare, mascherina copri bocca, copri scarpe, copri capelli, camice, lavaggio delle mani, max due visitatori, chiedo ad un giovane signore seduto all'ingresso, intento a mandare sms tramite il suo cellulare, notizie sul reparto.  Mi qualifico come un volontario di due Associazioni che operano in Azienda Ospedaliera e allo IOV e spiego il motivo della mia presenza. Mi dice di aver visto un ragazzo molto alto in sala giochi. Vedendolo molto informato gli chiedo se fosse un dipendente dell'Azienda Ospedaliera. Mi spiega che non è di Padova, è venuto in Clinica ai primi di agosto per effettuare una visita al suo bambino di 4 anni e avendogli diagnosticato una leucemia, il bimbo è stato ricoverato fino ad oggi. Ha già fatto alcune sedute di chemio con problemi connessi e forse verrà dimesso a breve e poi continuerà la cura a casa. Lo vedo avvilito, stanco, amareggiato non sa capacitarsi di quello che è accaduto, mi ripete che ciò che gli sta capitando non ha senso, non è giusto. Non so cosa dirgli, sono impreparato ad affrontare la sofferenza di un padre per la malattia oncologica del suo bambino. Quella sera ho rinunciato alla visita al parente, andrò in altra occasione, e sono rimasto un po' con questo giovane padre. Anch'io sto facendo la chemio gli dico, ma comprendo che farla ad un bambino di 4 anni non è lo stesso che farla ad un 72enne come me. Cerco di dirgli che le leucemie sono guaribili e che la Clinica di Oncoematologia di Padova è centro di riferimento nazionale per la diagnosi delle leucemie acute, e quindi è in buone mani. Se ne rende conto, ma continua a ripetermi con molta dignità: Perché il mio bambino deve soffrire in questo modo? Nonostante mi arrovelli il cervello da tanto tempo su questo tema non ho risposte immediate da proporgli.
Mi ritorna alla mente il dialogo tra Alëša e Ivan nel romanzo "I fratelli Karamàzov" di Fëdor Michajlovic Dostoevskij sul tema della sofferenza dei bambini. Ivan è un razionalista, il fratello Alëša un credente. Rivolgendosi al fratello, Ivan spiega perché ha perduto la fede in Dio. E' impossibile, afferma, che un essere onnipotente e buono permetta la sofferenza dei bambini, degli innocenti. Ecco alcune frasi del dialogo:
"Questa è ribellione", disse Alëša sommessamente e a capo chino.
"Ribellione? Non avrei voluto sentire una parola simile da te", replicò Ivan con ardore. "È impossibile vivere nella ribellione, mentre io voglio vivere. Dimmelo tu, ti sfido, rispondimi: immagina che tocchi a te innalzare l'edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con il pugno, immagina che l'edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina - accetteresti di essere l'architetto a queste condizioni? Su, dimmelo e non mentire!"
"No, non accetterei", disse Alëša sommessamente.
Verso la fine del romanzo Alëša torna di nuovo sul  significato della sofferenza dei bambini, quando partecipa al funerale di Iljuša, un suo allievo.
Alëša invita gli altri alunni a ricordare il ragazzo morto, a non dimenticare mai il suo coraggio, la sua bontà, insomma le sue virtù. Ecco le sue parole: Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più forte, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo dell’infanzia, della casa paterna. Vi parlano molto della vostra educazione, ma qualche meraviglioso, sacro ricordo che avrete conservato della vostra infanzia, potrà essere per voi la migliore delle educazioni. (...)
Per quanto possiamo diventare cattivi - che Dio non voglia - quando ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto Iljuša, come lo abbiamo amato negli ultimi giorni della sua vita e come, in questo momento, ci siamo parlati da amici (...), allora anche il più cattivo fra di noi, anche il più cinico - ammesso che si sia diventati tali - non oserà, dentro di sé, ridere di quanto è stato buono e nobile in questo momento!
Questa è la riflessione del grande Fedor Dostoevskij sulla sofferenza e morte dei bambini. Non è facile rispondere alle domande poste all'inizio del post, molti hanno tentato: religioni, filosofi, poeti e scrittori. Ma le risposte sono quasi sempre non convincenti. Eccone una di un credente: Il Signore non vuole la nostra sofferenza, ma questa è una condizione a cui l’uomo è obbligato a sottostare perché il peccato e la morte, che non vengono certo da Dio, ma dal maligno, hanno corrotto la perfezione della creazione.

Che la perfezione della creazione sia stata corrotta dal peccato e dal maligno non è scientificamente credibile, è il tentativo dell'uomo di dare una spiegazione sulle sue condizioni di vita. Secondo alcuni studiosi la Genesi non è un racconto fattuale o un libro di storia.  Si può dire che è un libro di storia religiosa con contenuto mitico, allegorico e didascalico dove, pur non essendo veri i particolari, sono importanti le idee fondamentali di relazione con Dio. L'universo è stato progettato, come lo vediamo, 15 miliardi di anni fa, con il big bang. La nascita e la morte di tutto ciò che esiste nell'universo conosciuto sono legate all'impostazione originale.
Per chi ha fede è più comprensibile questa tesi: Siamo anche capaci di dire che Dio è ingiusto perché permette che nel mondo ci siano tante ingiustizie e che moltissime persone innocenti, soprattutto bambini, soffrano in modo disumano a causa della fame, delle guerre, della miseria e delle malattie e anche a noi manda delle sofferenze che non meritiamo, perché non abbiamo fatto nulla di male. Ma Dio non è rimasto a guardare dal cielo l’umanità che soffre, ma ha mandato il suo figlio Gesù Cristo a condividere con l’uomo la sofferenza e perfino la morte. Nessuno più di Dio può comprendere ogni nostra più piccola sofferenza e nessuno più di Dio ci è vicino nel nostro letto di dolore quando non c’è più nessuna speranza e solo la morte ci aspetta, perché Lui stesso per mezzo di Gesù Cristo ha sofferto ed è morto. In conclusione, chiudo il post con altre domande, con la mia piccola "verità" sul male, sul dolore e sulla sofferenza: Non so perché dobbiamo soffrire, non so perché i bambini soffrano, forse non lo capiremo mai.  Ma quello che posso dire e fare è interrogare la mia coscienza:  Che cosa sto facendo per il fratello che soffre? Quando  l'incontro lo evito per paura che ciò mi deprima? Gli chiedo se ha bisogno di aiuto, anzi lo anticipo individuando quali sono i suoi bisogni, perché domandare è spesso umiliante? Riflettiamo!!

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