martedì 3 aprile 2012

Dire o non dire la verità in oncologia?

Mi sono occupato negli ultimi anni della mia attività professionale, quando lavoravo presso l'Ufficio Interventi Educativi del Provveditorato agli Studi di Padova, ora Ufficio Scolastico Territoriale IX, della categoria filosofica della "Verità". Ho spesso citato la frase del poeta spagnolo Antonio Machado: Tu verdad? No, la Verdad, y ven conmigo a buscarla. La tuya, guàrdatela (La tua verità? No, la Verità, e vieni con me a cercarla. La tua, tienitela).Perchè è difficile dialogare? Perché ognuno è saldamente ancorato alla sua verità, alla sua ideologia, alla sua filosofia e alla sua religione! Per dialogare è necessario porsi in posizione di ascolto e di dubbio!
Ciò vale anche per la verità oncologica? A ogni malato di cancro si deve dire tutto? Credo che la verità sulla patologia vada cercata insieme, come dice Machado, ma con molta delicatezza. Ricordiamoci che la verità oncologica è comunque una verità statistica o probabilistica e quindi misurabile, ci conforta che ciò che non si può misurare è la solidarietà e l'altruismo.
Mi ha fortemente "intrigato" un'interessante relazione che il dott. Roberto Magarotto ha tenuto a Bardolino l'8.3.2008 dal titolo: "Il valore della comunicazione in oncologia" (La trovate nel sito "Per una vita come prima"). L'ho sistemata graficamente e trasformata in pdf.
Riporto alcune sue affermazioni tratte dalle slide.
Dire la verità, dice Roberto, conviene perché:
  • abbiamo bisogno della fiducia e della collaborazione del malato;
  • per riconoscere al malato  il diritto  della  persona che esercita  in  pieno  le sue  scelte;
  • per permettere al malato di prendere decisioni  personali,  per sé ed anche per  la propria famiglia;
  • perché é difficile sostenere comunque  la non verità nel corso dell’iter terapeutico e assistenziale della malattia;
  • perché è impossibile mantenere un’autenticità di relazione quando non esiste un’ informazione leale
Quanta verità dire? Risponde: Tutta la verità  che puo’ essere utile al malato!
Ecco quattro esempi di verità da dire:
  1. "Lei ha un tumore  che si può asportare chirurgicamente e poi faremo una chemioterapia per abbassare quanto più possibile la possibilità di recidiva”. 
  2. "Lei ha una recidiva  della malattia che avevamo già trattato; ci sono cure che possono darle un reale vantaggio per contrastare la malattia  e le faremo con la sua collaborazione, cercando che le creino meno  effetti collaterali possibili”.
  3. "Lei soffre per una malattia  che non è più guaribile  e non abbiamo  altri trattamenti possibili  efficaci;  la sua   persona  è comunque curabile e noi siamo qui e ci impegneremo per questo“.
  4. “Le manca ancora poco da vivere; la possiamo aiutare a vivere questo  momento senza dolore e altre sofferenze e nel pieno rispetto della sua dignità  di persona“.
Come dire la verità? Cita come esempio di comunicazione efficace alcune frasi tratte dal volume di Antonio Bongiorno e Salvatore Malizia Comunicare la diagnosi grave - Il medico, il paziente e la sua famiglia, Carocci Editore, 2002, 1° edizione.
Trovo nella prefazione al libro queste affermazioni condivisibili di Umberto Veronesi:
 “Leggendo le pagine di questo testo mi sono soffermato a pensare al significato del verbo comunicare, forse l’espressione più libera, più naturale dell’uomo quando essa è strumento per trasmettere eventi di ordine generale, ove è portatrice di notizie capaci di rallegrare, se è voce di conversazioni che si aprono sulla quotidianità della vita. Paradossalmente, però, quando comunicare sottende empatia e una condivisione del vissuto umano ed emozionale, in qualsiasi dimensione o stato d’animo, la parola sembra quasi perdere spontaneità e si carica di pensieri meditati e cresciuti nella coscienza. Credo che ciascuno di noi abbia potuto sperimentare quanto la parola possa diventare faticosa e dura, se ad attraversarla è l’esperienza della malattia e del dolore. Un medico, probabilmente più di ogni altro, dovrebbe essere “preparato” ad affrontare il delicato e difficile compito di trovare le parole giuste da pronunciare per portare sollievo a chi si sente affranto nello spirito e che sa, consapevolmente o inconsciamente, che la sua vita è stata offesa nella salute.”

Conclude Roberto: A tanti malati  c’è un momento  in cui  sembra mancare  ogni appoggio,  sembra non esserci nessun appiglio a cui aggrapparsi: non sempre nelle storie personali dei nostri  pazienti ci sono  mani su cui contare, spalle su cui confortarsi un  po', cuori  con cui  condividere  la propria esperienza  di vita,  fino all’ultimo istante. 
E noi  operatori  sanitari ?  Ci siamo perché dobbiamo esserci, ma se c’è stata lealtà e condivisione  basate sulla verità, l’augurio per tutti noi è che i pazienti sentano che noi abbiamo  scelto  di esserci non solo con le nostre mani  ma anche con  le nostre spalle  e i nostri cuori. 

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