domenica 13 gennaio 2013

Luigi Pirandello: L'uomo dal fiore in bocca


Luigi Pirandello
Si può scegliere come argomento di una tesina per l'esame di "maturità", ora si chiama di esame di Stato, il Volontariato in oncologia? Sicuramente si! Il problema è come collegarla con le discipline dei diversi indirizzi di studio. Il tema è difficile e delicato, tocca aspetti umani, etici, sanitari e psicologici. La consiglio agli studenti che hanno già provato a fare del volontariato. La tesina deve essere multidisciplinare, cioè riguardare più discipline dell'ultimo anno di corso. I collegamenti non devono forzamente riguardare tutte le materie del quinto anno, cosa impossibile da realizzare, ma solo alcune. Qui mi accingo a collegarla all'italiano, in particolare alla letteratura del novecento, argomento del quinti anno. Dopo aver parlato in un precedente post dello scrittore russo Solgenitsin e del suo romanzo "Padiglione Cancro", posto un'altra opera e un altro grande scrittore, questa volta italiano, Luigi Pirandello (Agrigento, 28.06.1867 – Roma, 10.12.1936), che ha affrontato il tema del cancro nella commedia: L'uomo dal fiore in bocca. Drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1934, con questa motivazione: Per il suo coraggio e l'ingegnosa rappresentazione dell'arte drammatica e teatrale.

"L'uomo dal fiore in bocca" l'abbiamo letta con gli studenti di quinta superiore che frequentano per tirocinio l'Associazione IASI-Pronto Anziano, un ironico titolo per definire una persona con un epitelioma in bocca, un cancro della pelle.
Pubblicata nel 1923, “L’uomo dal fiore in bocca”, è una commedia in un solo atto presentata inizialmente dallo scrittore sotto il nome di “La morte addosso”. Prima ancora era una novella, «Caffè notturno», scritta nel 1918. La prima rappresentazione è avvenuta il 21 febbraio  1923 a Roma, Teatro degli Indipendenti, Compagnia degli «Indipendenti» diretta da Anton Giulio Bragaglia.
Rifacendosi al titolo, La morte addosso, un pessimista direbbe che tutti abbiamo la morte addosso, perché prima o poi tutti dovremo morire, ma chi ha un cancro in metastasi la percepisce sicuramente in maniera diversa da chi si sente invulnerabile perché gode di buona salute.
Qualcuno potrebbe chiederci: che centra la commedia di Pirandello con il volontariato? Ci aiuta a capire la psicologia delle persone malate di cancro, anche se la reazione  a questa patologia, come ad altre molto gravi, è soggettiva, varia da persona a persona! E' chiaro che, a seconda dell'ordine di scuola, nella tesina vanno trattate altre tematiche, quali:  le leggi sul volontariato, le associazioni che si occupano di pazienti oncologici, le tipologie di organizzazioni, che cos'è un cancro, nel caso specifico un epitelioma e nel caso di Solgenitsin di un tumore ai polmoni.
Utili informazioni sul tema del volontariato si possono trovare nel Manuale del volontariato in oncologia, pubblicato dalla sezione milanese della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT).  Si legge a pag. 85: La consapevolezza della morte induce un’attenzione più acuta alla qualità della vita ed alla sofferenza di chi sta per morire. Come riporta Spinsanti “la medicina delle cure palliative è e rimane un servizio alla salute. Non dunque una medicina per morente e per aiutare a morire, ma una medicina per l’uomo, che rimane un vivente fino alla morte” (Spinsanti, 1988).
A pag. 109, ecco la risposta al mio quesito sulla necessità del volontario in oncologia: Il volontario è in grado di ascoltare e di comunicare con il malato e con la sua famiglia; è la figura che rappresenta una sorta di cerniera fra il malato, la famiglia e il resto del team; egli è il rappresentante laico del mondo secolare che parla lo stesso linguaggio da profano, ed al quale spesso è più facile e riesce più spontaneo esternare le proprie ansie, le paure, le incertezze, i dubbi che non si ha il coraggio di esporre ai medici o agli infermieri ed i bisogni, magari quelli considerati più puerili, ma che possono avere un’enorme importanza nel determinare la qualità dei momenti trascorsi in Hospice.
A pag. 120 si legge inoltre: Nel malato affetto da una patologia cronico-evolutiva, se la possibilità di morire, fino a poco tempo prima, era vissuta sotto forma di una “spada di Damocle” o di un “fantasma”, con l’avanzamento della malattia diviene una realtà. Anche se nel paziente non è sempre completo il grado di consapevolezza della gravità della malattia, il suo stato psicologico è comunque alterato da tutti i cambiamenti di vita, di immagine del proprio corpo, di pensiero e di progettualità ad essa legati.
Conosco delle persone che lo fanno con impegno e professionalità, in particolare quelle che lo effettuano negli Hospice. Grazie per il lavoro che adempite!
Aiutandomi con il sito PirandelloWeb,  dove si trovano tutte le opere del grande scrittore e la sua biografia, torniamo al nostro atto unico.
La tela si alza e appare la scena di un caffè notturno di un piccolo paesino senza nome, dove l’uomo dal fiore in bocca e un avventore, i due protagonisti, anche loro senza nome, sono seduti ad un tavolino. L’avventore, un uomo comune, che la monotonia e la banalità della vita quotidiana hanno reso piatto e vuoto, dichiara di aver perso il treno per un minuto: Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.
Ora si ritrova lì in attesa che faccia giorno per ripartire col treno successivo. E’, in attesa di ripartire, incontra l’uomo dal fiore in bocca, col quale resta a dialogare tutta la notte. Pirandello non ci dice subito chi è costui, perchè lo ha chiamato con quell'appellativo. Nessuno si immagina che  fiore in bocca, vuol dire un cancro alla bocca, un'epitelioma (per capire il percorso del paziente affetto da epitelioma, clicca qui).
Dai guai familiari esposti dall’avventore, l'Uomo dal fiore in bocca prende subito spunto per iniziare una serie di riflessioni sull'esistenza, sull’importanza della quotidianità, sui dettagli delle cose e sulla morte. Ciò che all'inizio potrebbe sembrare nient'altro che una fissazione maniacale per i particolari, che lo porta a fare una minuziosa descrizione del modo di incartare gli oggetti da parte dei ragazzi dei negozi e della disposizione dei mobili delle sale d’aspetto dei dottori, si rivela in itinere qualcosa di molto più profondo e tragico: l'unico punto di contatto con la vita rimasto all’uomo prima di morire.
Le immagini normali, le vetrine dei negozi, la gente per strada, diventano il simbolo stesso della vita che scorre; essa scorre per tutti, anche e soprattutto per coloro che, colpevolmente, non si fermano ad assaporarne ogni dettaglio, anche quello apparentemente più insignificante: Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rossa, levigata... ch'è per se stessa un piacere vederla... così liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza... La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l'altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di più per amore dell'arte; poi ripiegano da un lato e dall'altro a triangolo e cacciano sotto le due punte; allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legare l'involto, e legano così rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d'ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito.
Solo quando è troppo tardi ci rendiamo conto della vera essenza della vita e della sua fugace bellezza, e solo allora quell’ingordigia della vita che avrebbero dovuto sempre possedere, gli si manifesta in tutta la sua prepotenza.
Che cos'è la vita si chiede il malato oncologico: "Io le dico che ho bisogno d'attaccarmi con l'immaginazione alla vita altrui, ma così, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla.
Con cupa rabbia: E questo è da dimostrare bene, sa? con prove ed esempi continui, a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c'è, c'è, ce lo sentiamo tutti qua, come un'angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell'atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. I1 sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. I1 gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sì, sì. Questa che ora qua è una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire, questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che gusto, queste lagrime... E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla... specialmente quando si sa che è questione di giorni".
A questo punto entra in scena la moglie: da un lato egli prova una profonda pietà per quella donna, che non ha altra colpa che quella di volergli stare accanto fino alla fine dei suoi giorni; dall'altro però, non può tollerare, per via della sua nuova visione del mondo, quella che lui stesso definisce la “macabra ferocia del suo comportamento”. Egli da una parte detesta la moglie perché questa vorrebbe tenerlo in casa con sé, accudendolo fino alla morte, non facendogli mancare nulla e negandogli, inevitabilmente, quel gusto della vita che egli ora va cercando in tutte le piccole cose di ogni giorno. Dall’altro lato però il suo profondo legame con essa è espressamente reso noto dalla continua ricerca della sua ombra, della sua presenza. È una donna vestita di nero, figura ambivalente, perché, pur essendo la moglie dell'uomo dal fiore in bocca, che lo sorveglia da lontano, riveste comunque i panni della vedova e in qualche modo si pone come presenza funerea. L'uomo dal fiore in bocca la definisce una cagna, la prenderei a calci, sembra più uno strofinaccio che una donna. Perché si esprime in maniera così "cattiva" nei confronti della moglie? Quando in una famiglia una persona si ammala di cancro i rapporti, in particolare quelli tra marito e moglie, si complicano, diventano più difficili. Non sono rari i casi di separazione causati dalle tensioni, dallo stress delle cure e dai continui accertamenti. Quando chiedo ai volontari e agli studenti quali possano essere le motivazioni di un simile comportamento, mi rispondono che vanno ricercate nella vita dello scrittore: l'educazione ricevuta e la pazzia della moglie Antonietta, morta in una casa di cura nel 1959, era stata internata nel 1919 e i sintomi della malattia erano apparsi nel 1903, con la crisi economica che li colpì. Si può leggere l'interessante articolo dal titolo: Pirandello e la moglie Antonietta E' di scena il demone della gelosia di Gaetano Afeltra, apparso sul Corriere della Sera del 30.07.2000. Inizia l'articolo Afeltra: La fredda disperazione, l' angoscia di dover vivere, questi caratteri profondi dell' opera di Luigi Pirandello hanno una radice nella sua storia personale; meglio, nella storia di una coppia, quella formata da Pirandello stesso e dalla moglie Antonietta. Sarebbe troppo facile riconoscere in questa vicenda una storia «pirandelliana»: passione e pazzia, mescolandosi, sconvolsero realmente due vite, anzi un' intera famiglia.
A metà articolo si legge il racconto delle sventure familiari di Pirandello: Lo fece nel 1914, in una lettera all' amico Ojetti: «Mio caro Ugo, forse da un pezzo ti sarà arrivata agli orecchi la notizia delle mie immeritatamente sciagurate condizioni familiari. Non è vero? Ho la moglie, caro Ugo, da molti anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io - il che dimostra senz' altro che è una vera pazzia - io, io che ho sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente per il mio lavoro, esiliato del tutto dal consorzio umano, per non dare a lei, alla sua pazzia, il minimo pretesto d' adombrarsi. Ma non è giovato a nulla, purtroppo: perché nulla può giovare! I medici hanno dichiarato, che è una forma irrimediabile di paranoja, del resto ereditaria della sua famiglia».
Ma torniamo alla commedia! Ecco come si esprime nei confronti della moglie, l'uomo dal fiore in bocca: A questo punto dal cantone a destra sporgerà il capo a spiare la donna vestita di nero.
Ecco... vede là? dico là, a quel cantone... vede quell'ombra di donna? - Ecco, s'è nascosta!
L'avventore. Come ? Chi. . . chi era ?...
L'uomo dal fiore. Non l'ha vista? S'è nascosta.
L'avventore. Una donna?
L'uomo dal fiore. Mia moglie, già.
L'avventore. Ah! la sua signora ?
L'uomo dal fiore (dopo una pausa). Mi sorveglia da lontano. E mi verrebbe, creda, d'andarla a prendere a calci. Ma sarebbe inutile. E` come una di quelle cagne sperdute, ostinate, che più lei le prende a calci, e più le si attaccano alle calcagna.
Ciò che quella donna sta soffrendo per me, lei non se lo può immaginare. Non mangia, non dorme più. Mi viene appresso, giorno e notte, così, a distanza. E si curasse almeno di spolverarsi quella ciabatta che tiene in capo, gli abiti. - Non pare più una donna, ma uno strofinaccio. Le si sono impolverati per sempre anche i capelli, qua sulle tempie; e ha appena trentaquattro anni.
Mi fa una stizza, che lei non può credere. Le salto addosso, certe volte, le grido in faccia: - Stupida! - scrollandola. Si piglia tutto. Resta li a guardarmi con certi occhi... con certi occhi che, le giuro, mi fan venire qua alle dita una selvaggia voglia di strozzarla. Niente. Aspetta che mi allontani per rimettersi a seguirmi a distanza.
Sua moglie vorrebbe che lui, nonostante la malattia, vivesse una vita normale, invece, siccome sta vivendo i suoi ultimi giorni – e qui si comprende il suo attaccarsi alla vita e si riprende il concetto di “riempire il tempo” - fa di tutto per evitare il “vuoto dentro”. Ma uno che ha i giorni contati come si comporta? Fa una strana analogia tra la sua situazione e le case e i cittadini di Messina e di Avezzano in attesa del terremoto.
Di nuovo a questo punto, la donna sporgerà il capo.
Ecco, guardi... sporge di nuovo il capo dal cantone.
L'avventore. Povera signora!
L'uomo dal fiore. Ma che povera signora! Vorrebbe, capisce? ch'io me ne stessi a casa, quieto, tranquillo, a coccolarmi in mezzo a tutte le sue più amorose e sviscerate cure; a godere dell'ordine perfetto di tutte le stanze, della lindura di tutti i mobili, di quel silenzio di specchio che c'era prima in casa mia, misurato dal tic-tac della pendola del salotto da pranzo. - Questo vorrebbe! Io domando ora a lei, per farle intendere l'assurdità... ma no, che dico l'assurdità! la màcabra ferocia di questa pretesa, le domando se crede possibile che le case d'Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di li a poco le avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene tranquille sotto la luna, ordinate in fila lungo le strade e le piazze, obbedienti al piano regolatore della commissione edilizia municipale. Case, perdio, di pietra e travi, sene sarebbero scappate! Immagini i cittadini di Avezzano, i cittadini di Messina, spogliarsi placidi placidi per mettersi a letto, ripiegare gli abiti, mettere le scarpe fuori dell'uscio, e cacciandosi sotto le coperte godere del candor fresco delle lenzuola di bucato, con la coscienza che fra poche ore sarebbero morti. - Le sembra possibile?
A questo punto la conversazione tra i due cade sul tema della morte, che per quasi ogni individuo è la più grande delle disgrazie. La paragona a “insetti strani, schifosi”, ma mentre questi quando si attaccano addosso qualcuno te li può togliere, la morte no, nessuno, quando arriva te la può levare. Se non si sa di averla addosso, si vive tranquillamente, ma sapere che hai un epitelioma e soltanto otto o dieci mesi di vita non ti consente di “stare a casa tranquillo e quieto”: Mi lasci dire! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso... Lei passa per via; un altro passante, all'improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese le dice: «Scusi, permette? lei, egregio signore, ci ha la morte addosso ». E con quelle due dita protese, la piglia e butta via... Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l'hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano quieti e tranquilli a ciò che faranno domani e doman l'altro. Ora io,
Si alzerà.
caro signore, ecco... venga qua...
Lo farà alzare e lo condurrò sotto il lampione acceso.
Descrive  con minuziosità il nome del cancro, epitelioma, è più dolce di una caramella, e ben si adatterebbe ad un fiore; si tratta però di un fiore maligno che gli è spuntato su un labbro e che gli concede pochi mesi di vita: « Venga... le faccio vedere una cosa... Guardi, qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo... più dolce d'una caramella: - Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma... La morte, capisce? è passata. M'ha ficcato questo fiore in bocca, e m'ha detto: - «Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!» ».
Ma l'uomo non è disperato, non si lascia morire prima del tempo, non vive con angoscia i suoi ultimi giorni e vive la vita guardando la realtà con un’altra mentalità. Da questo momento il suo comportamento subisce un cambiamento repentino e deciso: il suo modo di vedere il mondo, d’osservare la propria vita e quella degli altri cambia radicalmente; ogni accadimento banale e ripetitivo del quotidiano diventa improvvisamente di spaventosa e vitale importanza. Si rende conto che questi momenti saranno gli ultimi che potrà vivere e godere, ed è questa consapevolezza che lo porta ad attaccarsi incondizionatamente ad essi ed a giudicarli preziosi quanto importanti.
Su questo scenario di pietà e dolore si conclude lentamente la breve commedia, rappresentata idealmente dalle ultime battute conclusive del protagonista, chiaro segno di una volontà di attaccamento alla vita e di speranza, tramite il proprio permanere nella memoria dell'avventore: "E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione. All'alba, lei può fare la strada a piedi. Il primo cespuglietto d'erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte, caro signore.”
La personalità e il temperamento di Pirandello, ci aiutano  a capire le sue opere, si rivelano anche nel suo famoso testamento-poesia: « Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui. »

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