Luigi Pirandello |
"L'uomo dal fiore in bocca" l'abbiamo letta con gli
studenti di quinta superiore che frequentano per tirocinio l'Associazione
IASI-Pronto Anziano, un
ironico titolo per definire una persona con un epitelioma in bocca, un cancro
della pelle.
Pubblicata nel 1923, “L’uomo dal
fiore in bocca”, è una commedia in un solo atto presentata inizialmente dallo
scrittore sotto il nome di “La morte addosso”. Prima ancora era una novella, «Caffè
notturno», scritta nel 1918. La prima rappresentazione è avvenuta il 21 febbraio 1923 a Roma, Teatro degli Indipendenti,
Compagnia degli «Indipendenti» diretta da Anton Giulio Bragaglia.
Qualcuno potrebbe chiederci: che
centra la commedia di Pirandello con il volontariato? Ci aiuta a capire
la
psicologia delle persone malate di cancro, anche se la reazione a
questa patologia, come ad altre molto
gravi, è soggettiva, varia da persona a persona! E' chiaro che, a seconda
dell'ordine di scuola, nella tesina vanno trattate altre tematiche, quali: le leggi
sul volontariato, le associazioni che si occupano di pazienti
oncologici, le tipologie di organizzazioni, che cos'è un cancro, nel
caso specifico un epitelioma e nel caso di Solgenitsin di un tumore ai polmoni.
Utili informazioni sul tema del volontariato si possono trovare nel Manuale del volontariato in
oncologia, pubblicato dalla
sezione milanese della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT). Si legge a pag. 85: La consapevolezza della morte induce un’attenzione più acuta alla
qualità della vita ed alla sofferenza di chi sta per morire. Come riporta
Spinsanti “la medicina delle cure palliative è e rimane un servizio alla
salute. Non dunque una medicina per morente e per aiutare a morire, ma una
medicina per l’uomo, che rimane un vivente fino alla morte” (Spinsanti,
1988).
A
pag. 109, ecco la risposta al mio quesito sulla necessità del volontario in
oncologia: Il volontario è in grado di
ascoltare e di comunicare con il malato e con la sua famiglia; è la figura che
rappresenta una sorta di cerniera fra il malato, la famiglia e il resto del
team; egli è il rappresentante laico del mondo secolare che parla lo stesso
linguaggio da profano, ed al quale spesso è più facile e riesce più spontaneo
esternare le proprie ansie, le paure, le incertezze, i dubbi che non si ha il
coraggio di esporre ai medici o agli infermieri ed i bisogni, magari quelli
considerati più puerili, ma che possono avere un’enorme importanza nel
determinare la qualità dei momenti trascorsi in Hospice.
A
pag. 120 si legge inoltre: Nel malato
affetto da una patologia cronico-evolutiva, se la possibilità di morire, fino a
poco tempo prima, era vissuta sotto forma di una “spada di Damocle” o di un
“fantasma”, con l’avanzamento della malattia diviene una realtà. Anche se nel
paziente non è sempre completo il grado di consapevolezza della gravità della
malattia, il suo stato psicologico è comunque alterato da tutti i cambiamenti
di vita, di immagine del proprio corpo, di pensiero e di progettualità ad essa
legati.
Conosco delle persone che lo fanno con impegno e professionalità, in particolare quelle che lo effettuano negli Hospice. Grazie per il lavoro che adempite!
Conosco delle persone che lo fanno con impegno e professionalità, in particolare quelle che lo effettuano negli Hospice. Grazie per il lavoro che adempite!
Aiutandomi con il sito PirandelloWeb, dove si trovano tutte le opere del grande scrittore e la sua biografia, torniamo al nostro atto unico.
La tela si alza e appare la scena di un caffè notturno di un piccolo paesino senza nome, dove l’uomo dal fiore in bocca e un avventore, i due protagonisti, anche loro senza nome, sono seduti ad un tavolino. L’avventore, un uomo comune, che la monotonia e la banalità della vita quotidiana hanno reso piatto e vuoto, dichiara di aver perso il treno per un minuto: Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.
La tela si alza e appare la scena di un caffè notturno di un piccolo paesino senza nome, dove l’uomo dal fiore in bocca e un avventore, i due protagonisti, anche loro senza nome, sono seduti ad un tavolino. L’avventore, un uomo comune, che la monotonia e la banalità della vita quotidiana hanno reso piatto e vuoto, dichiara di aver perso il treno per un minuto: Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.
Ora si ritrova lì in attesa che
faccia giorno per ripartire col treno successivo. E’, in attesa di
ripartire,
incontra l’uomo dal fiore in bocca, col quale resta a dialogare tutta la
notte. Pirandello non ci dice subito chi è costui, perchè lo ha
chiamato con quell'appellativo. Nessuno si immagina che fiore in bocca,
vuol dire un cancro alla bocca, un'epitelioma (per capire il percorso
del paziente affetto da epitelioma, clicca qui).
Dai guai familiari esposti
dall’avventore, l'Uomo dal fiore in bocca prende subito spunto per iniziare una
serie di riflessioni sull'esistenza, sull’importanza della quotidianità, sui
dettagli delle cose e sulla morte. Ciò che all'inizio potrebbe sembrare
nient'altro che una fissazione maniacale per i particolari, che lo porta a fare
una minuziosa descrizione del modo di incartare gli oggetti da parte dei
ragazzi dei negozi e della disposizione dei mobili delle sale d’aspetto dei dottori,
si rivela in itinere qualcosa di molto più profondo e tragico: l'unico punto di
contatto con la vita rimasto all’uomo prima di morire.
Le immagini normali, le vetrine
dei negozi, la gente per strada, diventano il simbolo stesso della vita che
scorre; essa scorre per tutti, anche e soprattutto per coloro che,
colpevolmente, non si fermano ad assaporarne ogni dettaglio, anche quello apparentemente
più insignificante: Che mani! Un bel
foglio grande di carta doppia, rossa, levigata... ch'è per se stessa un piacere
vederla... così liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca
carezza... La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in
mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della
mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l'altro e ci fanno anche, con
svelta grazia, una rimboccaturina, come un di più per amore dell'arte; poi
ripiegano da un lato e dall'altro a triangolo e cacciano sotto le due punte;
allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto
basta a legare l'involto, e legano così rapidamente, che lei non ha neanche il
tempo d'ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio
pronto a introdurvi il dito.
Solo quando è troppo tardi ci
rendiamo conto della vera essenza della vita e della sua fugace bellezza, e
solo allora quell’ingordigia della vita che avrebbero dovuto sempre possedere,
gli si manifesta in tutta la sua prepotenza.
Che
cos'è la vita si chiede il malato oncologico: "Io le dico che ho
bisogno d'attaccarmi con l'immaginazione alla vita altrui, ma così, senza
piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio,
per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare
a nessuno di finirla.
Con
cupa rabbia: E questo è da dimostrare bene, sa? con prove ed esempi continui, a
noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia
fatto, ma c'è, c'è, ce lo sentiamo tutti qua, come un'angoscia nella gola, il
gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare,
perché la vita, nell'atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di se
stessa, che non si lascia assaporare. I1 sapore è nel passato, che ci rimane
vivo dentro. I1 gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono
legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a
tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sì, sì. Questa che ora qua è
una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire,
questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a
distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che
gusto, queste lagrime... E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla...
specialmente quando si sa che è questione di giorni".
A questo punto entra in scena la
moglie: da un lato egli prova una profonda pietà per quella donna, che non ha
altra colpa che quella di volergli stare accanto fino alla fine dei suoi
giorni; dall'altro però, non può tollerare, per via della sua nuova visione del
mondo, quella che lui stesso definisce la “macabra
ferocia del suo comportamento”. Egli da una parte detesta la moglie
perché
questa vorrebbe tenerlo in casa con sé, accudendolo fino alla morte, non
facendogli mancare nulla e negandogli, inevitabilmente, quel gusto della
vita
che egli ora va cercando in tutte le piccole cose di ogni giorno.
Dall’altro
lato però il suo profondo legame con essa è espressamente reso noto
dalla
continua ricerca della sua ombra, della sua presenza. È una donna
vestita di nero, figura ambivalente, perché,
pur essendo la moglie dell'uomo dal fiore in bocca, che lo sorveglia da
lontano, riveste comunque i panni della vedova e in qualche modo si pone
come
presenza funerea. L'uomo dal fiore in bocca la definisce una cagna, la
prenderei a calci, sembra più uno
strofinaccio che una donna. Perché si esprime in maniera così "cattiva"
nei confronti della moglie? Quando in una famiglia una persona si ammala
di
cancro i rapporti, in particolare quelli tra marito e moglie, si
complicano, diventano più difficili. Non sono rari i casi di separazione
causati dalle tensioni, dallo stress delle cure e dai continui
accertamenti. Quando chiedo ai volontari e agli studenti quali possano
essere le motivazioni di un simile comportamento, mi rispondono che
vanno ricercate nella vita dello scrittore: l'educazione ricevuta e la
pazzia della moglie Antonietta, morta in una casa di cura nel 1959, era
stata internata nel 1919 e i sintomi della malattia erano apparsi nel
1903, con la crisi economica che li colpì. Si può leggere l'interessante
articolo dal titolo: Pirandello e la moglie Antonietta E' di scena il demone della gelosia di Gaetano Afeltra,
apparso sul Corriere della Sera del 30.07.2000. Inizia l'articolo Afeltra: La
fredda disperazione, l' angoscia di dover vivere, questi caratteri profondi
dell' opera di Luigi Pirandello hanno una radice nella sua storia personale;
meglio, nella storia di una coppia, quella formata da Pirandello stesso e dalla
moglie Antonietta. Sarebbe troppo facile riconoscere in questa vicenda una
storia «pirandelliana»: passione e pazzia, mescolandosi, sconvolsero realmente
due vite, anzi un' intera famiglia.
A metà articolo si legge il racconto delle sventure familiari di Pirandello: Lo fece nel 1914, in una lettera all' amico Ojetti: «Mio caro Ugo,
forse da un pezzo ti sarà arrivata agli orecchi la notizia delle mie
immeritatamente sciagurate condizioni familiari. Non è vero? Ho la
moglie, caro Ugo, da molti anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io
- il che dimostra senz' altro che è una vera pazzia - io, io che ho
sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente per il mio lavoro,
esiliato del tutto dal consorzio umano, per non dare a lei, alla sua
pazzia, il minimo pretesto d' adombrarsi. Ma non è giovato a nulla,
purtroppo: perché nulla può giovare! I medici hanno dichiarato, che è
una forma irrimediabile di paranoja, del resto ereditaria della sua
famiglia».
Ma torniamo alla commedia! Ecco come si esprime nei confronti della moglie, l'uomo dal fiore in bocca: A questo punto dal cantone a destra sporgerà
il capo a spiare la donna vestita di nero.
Ecco... vede là? dico là, a quel
cantone... vede quell'ombra di donna? - Ecco, s'è nascosta!
L'avventore.
Come ? Chi. . . chi era ?...
L'uomo
dal fiore.
Non l'ha vista? S'è nascosta.
L'avventore.
Una donna?
L'uomo
dal fiore. Mia moglie, già.
L'avventore.
Ah! la sua signora ?
L'uomo dal fiore (dopo una pausa). Mi sorveglia da
lontano. E mi verrebbe, creda, d'andarla a prendere a calci. Ma sarebbe
inutile. E` come una di quelle cagne sperdute, ostinate, che più lei le prende
a calci, e più le si attaccano alle calcagna.
Ciò
che quella donna sta soffrendo per me, lei non se lo può immaginare. Non
mangia, non dorme più. Mi viene appresso, giorno e notte, così, a distanza. E
si curasse almeno di spolverarsi quella ciabatta che tiene in capo, gli abiti.
- Non pare più una donna, ma uno strofinaccio. Le si sono impolverati per
sempre anche i capelli, qua sulle tempie; e ha appena trentaquattro anni.
Mi
fa una stizza, che lei non può credere. Le salto
addosso, certe volte, le grido in faccia: - Stupida! - scrollandola. Si piglia
tutto. Resta li a guardarmi con certi occhi... con certi occhi che, le giuro,
mi fan venire qua alle dita una selvaggia voglia di strozzarla. Niente. Aspetta
che mi allontani per rimettersi a seguirmi a distanza.
Sua moglie vorrebbe che lui,
nonostante la malattia, vivesse una vita normale, invece, siccome sta vivendo i
suoi ultimi giorni – e qui si comprende il suo attaccarsi alla vita e si
riprende il concetto di “riempire il tempo” - fa di tutto per evitare il “vuoto
dentro”. Ma uno che ha i giorni contati come si comporta? Fa una strana
analogia tra la sua situazione e le case e i cittadini di Messina e di Avezzano
in attesa del terremoto.
Di nuovo a questo punto, la donna
sporgerà il capo.
Ecco, guardi... sporge di nuovo
il capo dal cantone.
L'avventore.
Povera signora!
L'uomo dal fiore. Ma che povera
signora! Vorrebbe, capisce? ch'io me ne stessi a casa, quieto, tranquillo, a
coccolarmi in mezzo a tutte le sue più amorose e sviscerate cure; a godere
dell'ordine perfetto di tutte le stanze, della lindura di tutti i mobili, di
quel silenzio di specchio che c'era prima in casa mia, misurato dal tic-tac
della pendola del salotto da pranzo. - Questo vorrebbe! Io domando ora a lei,
per farle intendere l'assurdità... ma no, che dico l'assurdità! la màcabra
ferocia di questa pretesa, le domando se crede possibile che le case
d'Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di li a poco le
avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene tranquille sotto la luna,
ordinate in fila lungo le strade e le piazze, obbedienti al piano regolatore
della commissione edilizia municipale. Case, perdio, di pietra e travi, sene
sarebbero scappate! Immagini i cittadini di Avezzano, i cittadini di Messina,
spogliarsi placidi placidi per mettersi a letto, ripiegare gli abiti, mettere
le scarpe fuori dell'uscio, e cacciandosi sotto le coperte godere del candor
fresco delle lenzuola di bucato, con la coscienza che fra poche ore sarebbero
morti. - Le sembra possibile?
A questo punto la conversazione tra
i due cade sul tema della morte, che per quasi ogni individuo è la più grande
delle disgrazie. La paragona a “insetti strani, schifosi”, ma mentre questi
quando si attaccano addosso qualcuno te li può togliere, la morte no, nessuno,
quando arriva te la può levare. Se non si sa di averla addosso, si vive
tranquillamente, ma sapere che hai un epitelioma e soltanto otto o dieci mesi
di vita non ti consente di “stare a casa tranquillo e quieto”: Mi lasci dire! Se la morte, signor mio,
fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente
ci scopre addosso... Lei passa per via; un altro passante, all'improvviso, lo
ferma e, cauto, con due dita protese le dice: «Scusi, permette? lei, egregio
signore, ci ha la morte addosso ». E con quelle due dita protese, la piglia e
butta via... Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi.
Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l'hanno addosso; nessuno la
vede; ed essi pensano quieti e tranquilli a ciò che faranno domani e doman
l'altro. Ora io,
Si alzerà.
caro signore, ecco... venga
qua...
Lo farà alzare e lo condurrò sotto
il lampione acceso.
Descrive con minuziosità il nome del cancro,
epitelioma, è più dolce di una caramella, e ben si adatterebbe ad un fiore; si
tratta però di un fiore maligno che gli è spuntato su un labbro e che gli
concede pochi mesi di vita: « Venga... le
faccio vedere una cosa... Guardi, qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel
tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo... più dolce
d'una caramella: - Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza:
epitelioma... La morte, capisce? è passata. M'ha ficcato questo fiore in bocca,
e m'ha detto: - «Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!» ».
Ma l'uomo non è disperato, non si
lascia morire prima del tempo, non vive con angoscia i suoi ultimi giorni e
vive la vita guardando la realtà con un’altra mentalità. Da questo momento il
suo comportamento subisce un cambiamento repentino e deciso: il suo modo di
vedere il mondo, d’osservare la propria vita e quella degli altri cambia
radicalmente; ogni accadimento banale e ripetitivo del quotidiano diventa
improvvisamente di spaventosa e vitale importanza. Si rende conto che questi
momenti saranno gli ultimi che potrà vivere e godere, ed è questa
consapevolezza che lo porta ad attaccarsi incondizionatamente ad essi ed a
giudicarli preziosi quanto importanti.
Su questo scenario di pietà e
dolore si conclude lentamente la breve commedia, rappresentata idealmente dalle
ultime battute conclusive del protagonista, chiaro segno di una volontà di
attaccamento alla vita e di speranza, tramite il proprio permanere nella
memoria dell'avventore: "E mi faccia
un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un
poco dalla stazione. All'alba, lei può fare la strada a piedi. Il primo
cespuglietto d'erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno,
tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona
notte, caro signore.”
La personalità e il temperamento di
Pirandello, ci aiutano a capire le
sue opere, si rivelano anche nel suo famoso testamento-poesia: « Sia
lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non
che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né
partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E
niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei
poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il
cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia
lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me.
Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata
in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.
»
Nessun commento:
Posta un commento