Watson e il DNA |
James
Dewey Watson (Chicago, 5 aprile 1928) è un biologo statunitense. Scoprì la
struttura della molecola del DNA insieme a Francis Crick e Maurice Wilkins con
i quali ricevette il Premio Nobel per la medicina nel 1962 per le scoperte
sulla struttura molecolare degli acidi nucleici e il suo significato nel
meccanismo di trasferimento dell'informazione negli organismi viventi.
Dopo
aver letto nel 1946 il libro What Is Life? The Physical Aspect of the Living Cell - Mind and Matter (Che cos'è la vita? La cellula vivente dal punto di vista fisico - Mente e Materia) di Erwin Schrodinger (fisico austriaco, premio Nobel per la fisica nel 1933), cambiò il suo
indirizzo da ornitologia a genetica, per nostra fortuna. Trovo su Wikiquote le seguenti affermazioni di Watson: Più
o meno in quel periodo Erwin Schrödinger, uno dei fondatori della meccanica
quantistica, pubblicò il suo libretto Che
cos'è la vita?, che mi capitò fra le mani nella biblioteca di biologia
mentre ero al terzo anno, nel 1946. Che cos'è la vita? è uno di quei libri che
cambiano la vita: e la mia, come quella di parecchi altri colleghi, cambiò
irrevocabilmente. Schrödinger capì che l'elemento chiave dell'ereditarietà
doveva essere il trasferimento di informazioni genetiche in forma di molecola
di generazione in generazione. (da In
principio fu il Verbo o il Dna?, Corriere della sera, 2 gennaio
2006)
Ma veniamo al titolo del post. Trovo nelle rassegne stampa alcuni articoli sugli ossidanti e antiossidanti, scritti dopo che è apparso su Open
Biology un articolo di Jim Watson dal titolo: Oxidants, antioxidants and the current incurability of metastatic cancers.
Alcuni dicono che è una provocazione del grande scienziato come quando sosteneva che la gente nera è meno intelligente della gente bianca o come quando affermava che una donna doveva avere il diritto di abortire se un test avesse potuto determinare la natura omosessuale del nascituro (clicca qui).
Ma tornando agli articoli sugli antiossidanti, riporto quello apparso su IlSole24Ore Salute del 09/01/2013 a cura di Silvia Soligon dal titolo:
Antiossidanti contro il cancro, per
Watson potrebbero essere dannosi.Alcuni dicono che è una provocazione del grande scienziato come quando sosteneva che la gente nera è meno intelligente della gente bianca o come quando affermava che una donna doveva avere il diritto di abortire se un test avesse potuto determinare la natura omosessuale del nascituro (clicca qui).
"Non
tutti gli ossidanti vengono per nuocere. Potrebbe essere sintetizzato in questo
modo il pensiero espresso da James Watson (nella foto), Premio Nobel per la
Medicina nel 1962 per aver contribuito alla scoperta della struttura a doppia elica
del Dna, sulle pagine di Open Biology. La rivista della Royal Society ha pubblicato una sua dettagliata
analisi del ruolo giocato nel determinare il destino delle cellule tumorali
dalle molecole che danneggiano le strutture cellulari ossidandole – le specie
reattive dell'ossigeno – e degli antiossidanti che ne contrastano l'azione.
L'ipotesi elaborata da Watson è che l'efficacia di alcuni chemioterapici e
della radioterapia, la cui azione è basata proprio sulle specie reattive
dell'ossigeno, potrebbe essere limitata da livelli eccessivi di antiossidanti
nelle cellule tumorali. Questo fenomeno potrebbe spiegare, sottolinea il
biologo, “perché i tumori che diventano
resistenti al controllo chemioterapico diventano ugualmente resistenti alla
radioterapia” e svelerebbe il ruolo giocato da ossidanti e antiossidanti
nelle forme di cancro attualmente incurabili, in particolare quelle
metastatiche e in un avanzato stadio di sviluppo.
Le
due facce della medaglia. Secondo Watson le specie reattive dell'ossigeno sono “una forza positiva per la vita” perché
coinvolte nell'apoptosi, la morte programma delle cellule potenzialmente
pericolose per l'organismo. D'altra parte la nota capacità di queste molecole
di danneggiare irreversibilmente proteine, Dna e Rna ha reso sempre più
frequente l'assunzione di integratori a base di antiossidanti come strategia
per prevenire l'insorgenza dei tumori se non, addirittura, per aiutare a
sconfiggerli. Tuttavia, come sottolinea Watson, gli studi condotti fino ad oggi
non sono riusciti a dimostrare chiaramente l'efficacia di questo approccio,
anzi, “in futuro i dati potrebbero
svelare che l'uso degli antiossidanti, soprattutto quello della vitamina E, ha
portato a un piccolo numero di tumori che non esisterebbero se non fosse per l'uso
di supplenti antiossidanti”. Per quanto riguarda, invece, l'alimentazione,
i cibi ricchi di antiossidanti, ad esempio i mirtilli, dovrebbero essere
mangiati “perché sono buoni, non perché
il loro consumo riduce il cancro”.
Necessità
di innovazione. In questo sottogruppo di tumori, l'eccesso di antiossidanti
renderebbe le cellule neoplastiche resistenti alle terapie attualmente
disponibili. Per questo motivo Watson sottolinea l'importanza di sviluppare il
più presto possibile nuovi farmaci, in particolare contro le metastasi. “Finché non troviamo un modo per ridurre i
livelli di antiossidanti – spiega il Premio Nobel – fra 10 anni i tumori in fase avanzata saranno incurabili così come lo
sono oggi”.
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Va
letto anche l'articolo apparso sulla Stampa.it
Scienza del 12.10.2012 dal titolo: Watson: “Il cancro? Lo batteremo così” di
Gabriele Beccaria
James
Dewey Watson è nato il 6 aprile del 1928. Oggi lavora nei laboratori Cold
Spring Harbor, negli Stati Uniti
Lezione
all’Ircc di Candiolo: “Terapie mirate su
geni e cellule”
«Concentrate i soldi sui cervelli, non sui
pazienti!». James Watson fissa la platea e abbozza una risata. «Quarant’anni fa avevo spiegato alle
autorità sanitarie americane come gestire i fondi per la lotta al cancro, ma i
titoli dei giornali furono pessimi». E nessuno gli diede retta.
Lo
scopritore del Dna - si sa - ama le provocazioni. È arrivato all’Ircc di
Candiolo, l’Istituto per la ricerca e la cura del cancro alle porte di Torino,
che l’ha invitato per un seminario dal titolo ambizioso: «Come riuscire a
vincere la guerra al cancro». E una battuta la regala subito: «Se c’è un conflitto, ci vuole un generale,
che decida dove sbarcare le truppe, a Calais oppure in Normandia». Perché
battere quello che il bestseller di Siddhartha Mukherjee definisce
«L’imperatore del male», secondo lui, è possibile, ma ci vuole una nuova
visione creativa, intrisa di coraggio, prima di tutto intellettuale.
A
84 anni sa di essere un monumento vivente. È lo scienziato più famoso del mondo
e la sua esistenza è una corsa che ha il respiro della Storia. Da adolescente
si fece conquistare dal libro-culto «Che
cos’è la vita?» del fisico Erwin Schrödinger, poi neanche diciottenne
studiò Biologia all’Università di Chicago con il futuro Nobel Salvador Luria e
subito dopo cominciò a esplorare le mutazioni genetiche all’Indiana University.
«Era un luogo straordinario - mi
racconta prima della conferenza -. La
ragione, molto probabilmente, è che lì, a differenza degli altri atenei
d’America, c’erano molti ebrei».
A
25 anni scopre con Francis Crick la doppia elica del Dna, nel 1962 vince il
Nobel, nel 2000 partecipa alla decifrazione del Genoma e ora, circonfuso della
carica di «Honorary chancellor» dei laboratori di Cold Spring Harbor, a tre
quarti d’ora d’auto da Manhattan, si è concentrato sull’ossessione del XX e del
XXI secolo, il cancro.
«La mia fortuna - racconta sulla strada
per Candiolo - è stata la frequentazione
di persone estremamente intelligenti. La vita è questione di IQ». Il
torinese Luria gli è rimasto nella testa e nel cuore e ha deciso di visitare la
città dove nacque il suo mitico Prof. «Sono
a Torino per ragioni sentimentali». E ha voluto visitare l’Ircc di Candiolo
perché anche qui, come nei laboratori sulla East Coast, si studia il processo
che rende molti tipi di cancro intrattabili e mortali: le metastasi.
«Oggi lui è uno dei simboli dei nuovi
approcci della ricerca - spiega il direttore scientifico dell’Ircc, Paolo
Comoglio -: le terapie mirate che
agiscono selettivamente sui geni che scatenano il tumore». Watson si è
fatto accompagnare dalla moglie Elizabeth e dalla sua ex allieva (che prima era
stata nel team di Comoglio), Raffaella Sordella, diventata, giovanissima,
professoressa di Cancer Science proprio a Cold Spring Harbor.
«Là si è fatta la storia della biologia
- racconta lei -. Jim ha trasformato la
ricerca, andando a cercare i ragazzi più promettenti. E negli anni si sono
fatte scoperte straordinarie. Tra le tante, mi viene subito in mente quella di
un oncogene. Merito di Mike Wigler».
E
allora a che punto è la guerra? A buon punto, ma tra luci e ombre. «I pessimisti dicono che ce la faremo in 20
anni, io dico 5-10. La decifrazione del Genoma è stata una tappa fondamentale
- sottolinea Watson - e oggi sappiamo
leggere le caratteristiche genetiche del tumore di ciascun individuo, ma sono
ancora troppo pochi i farmaci “intelligenti”». Bisogna accelerare i tempi e
«concentrarci sulla biologia e sulla chimica».
Insomma,
non basta svelare le mutazioni del Dna, ma si deve iniziare un viaggio
d’esplorazione dentro le caratteristiche delle cellule malate. Si è scoperto,
per esempio, che contengono anomali livelli di radicali liberi. «E quindi agire sugli antiossidanti sarà una
strada per farmaci efficaci e non tossici».
Le
«slide» si susseguono e il professore e l’oratore si alternano. «Spesso la medicina è fatta da chi non
conosce abbastanza scienza». E anche la scienza - aveva confessato poco
prima - «ha bisogno di eroi. Di “Mr.
Brain”, come Steve Jobs, mentre Google è un team e non suscita emozioni».
Lui è uno di questi eroi, gioiosamente provocatorio: «So che molti hanno paura della genetica, a cominciare dalla gente di
sinistra. E mi odiano. Non accettano che, a volte, nella vita si fallisca
perché si hanno pessimi geni».
Il saggio del professore James Dewey Watson, supporta la tesi controccorrente sull'uso degli ossidanti nel campo terapeutico, per cercare di bloccare o rallentare il processo metastico nella fase terminale del cancro. Da profano della biologia leggendo l'articolo di Watson, ripongo molta fiducia sul futuro miglioramento che la scienza potrà ottenere nella guerra contro il "cancro".Scorrendo il post, ho letto l'articolo di Repubblica su alcune opinioni citate in passato dal professore che affermava di fatto che la gente di colore è meno intelligente di quella bianca; penso che un uomo di scienza come il professore Dewey non debba sconfinare in affermazioni presubilmente di stampo ideologico-razzista, senza che siano supportate da studi scientifici,inoltre questa presa di posizione non vede coerenza con la figura che lo scienziato ricopre.Detto ciò, nessuno mette in dubbio il genio che prese il Premio Nobel per la medicina nell'anno "1962", di certo non tutto ciò che dice lo scienziato è scienza... Riccardo Zanella.
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