premio Nobel 1970 |
Nel collaborare con una studentessa per redigere la tesina che presenterà all'esame di Stato al termine della scuola secondaria di 2° grado, partendo dalla sua esperienza di tirocinio presso un reparto di oncologia, l'ho invitata a leggere il bel romanzo di Aleksandr Isaevič Solženicyn. Si tratta di Padiglione cancro della Newton, con
la traduzione di Chiara Spano. C'è anche un'edizione UTET del 1973 dal titolo Divisione cancro ed una dell'edizione
Einaudi del 1969, intitolata Reparto
C. L'opera scritta negli anni 1963-1967, nello stesso periodo della stesura di Arcipelago
Gulag, è ambientata nell'Unione Sovietica del 1955, due anni dopo la morte di
Stalin, prima dell'inizio della destalinizzazione di Chruščёv. Diffusa
inizialmente attraverso il samizdat (in russo significa "edito in proprio", e indica un fenomeno spontaneo che esplose in Unione Sovietica e nei paesi sotto la sua influenza tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta), pubblicata poi nella rivista letteraria
Novyj Mir di Tvardovskij in edizione mutilata e censurata, priva degli otto capitoli
iniziali.
In
Italia il romanzo apparve per la prima volta nel 1968, con il titolo Divisione cancro romanzo di Anonimo
sovietico, nelle edizioni Il Saggiatore, tradotto da Maria Olsufieva.
L'opera,
pur non essendo completamente autobiografica, è largamente ispirata alle reali
esperienze di Solženicyn che, uscito dal gulag ed esiliato nel Kazakistan, si
ammalò gravemente di tumore nel 1953 e l'anno successivo, nel 1954, fu curato
nell'ospedale di Tashkent nell'Uzbekistan. Solgenitsin non muore per cancro ma
per insufficienza cardiaca alla ragguardevole età di 89 anni, la sera del 3 agosto 2008.
Con
l'aiuto di Studenti.it, ecco la tormentata biografia dello scrittore russo.
Aleksandr Isaevic
Solgenitsin nasce a Kislovodsk (Russia) l'11 dicembre 1918, da una famiglia
discretamente agiata. Morto il padre pochi mesi prima della sua nascita in un
incidente di caccia, la madre si trasferì col piccolo a Rostov-sul-Don. Nel
1924, a causa degli espropri ordinati dal regime, i due si trovano nella
miseria. Ciò non impedì che Aleksàndr continuasse gli studi e si laureasse in
matematica nel 1941. Nello stesso anno si arruolò come volontario nell'Armata
Rossa e venne inviato sul fronte occidentale. Ricevette persino
un'onorificenza.
Ma
nel febbraio del 1945, a causa di una lettera (intercettata) in cui criticava
aspramente Stalin, venne arrestato, trasferito nella prigione moscovita della
Lubjanka, condannato a otto anni di campo di concentramento e al confino a
vita. Segue il pellegrinaggio di Solgenitsin da un lager all'altro. Nel
1953, nel domicilio coatto di Kok-Terek, nel Kazakistan, gli è concesso di
lavorare come insegnante. Nel frattempo raccoglie una quantità enorme di
appunti sugli orrori dei campi, e medita sulle ragioni intrinseche della vita
dell'uomo e sul suo profondo valore morale.
Nel
1961 la rivista Novyj Mir pubblica, con l'approvazione di Nikita Chruščёv "Una giornata di Ivan Denissovic",
il primo capolavoro assoluto dello scrittore. Il romanzo è un terribile atto di
accusa contro i lager staliniani e contro tutti coloro che vogliono soffocare
la libertà dell'uomo. Nel raccontare la giornata "tipo" del deportato
(in questo caso, appunto, l'emblematico Ivan Denissovic), Solgenitsin dà una
immagine realistica, anche se molto cruda, dei campi di concentramento
siberiani, dove la vita di ogni uomo era quotidianamente messa in gioco e dove
non era solo l'esistenza fisica ad essere prigioniera, ma sono anche i pensieri
e i sentimenti ad essere condizionati. Con questo libro, destinato a grande
fama, nasce di fatto il "caso" Solgenitsin. D'ora in poi le vicende
che riguardano lui e le sue opere saranno strettamente legate.
Dopo
altri due fondamentali romanzi, "Divisione Cancro" e "Arcipelago
Gulag", inizia la lotta dello scrittore contro il sistema. Insignito del
premio Nobel per la Letteratura nel 1970, viene espulso dalla Russia nel 1974 e
solo allora si reca a Stoccolma, dove pronuncia un memorabile discorso. In esso
afferma di parlare non per sé stesso ma per i milioni di persone annientate nei
tristemente celebri Gulag sovietici. Proprio qualche ora prima che venisse
arrestato e mandato in esilio, il 12 febbraio 1974, Solženicyn scrisse forse la
sua opera più significativa, l'appello "Vivere
senza menzogna".
Con
la seconda moglie, sposata nel 1973, e i tre figli da lei avuti, si stabilisce
in America, per tornare infine in patria nel 1994 atterrando con l'aereo a
Kolyma, simbolo dei lager staliniani, e far rientro a Mosca da Vladivostok in
treno, attraversando tutta l'immensa landa russa. Nel 1990, sotto Mikhail
Gorbaciov, la cittadinanza russa di Solženicyn fu ripristinata e nel 1994,
sotto Boris Eltsin, ritornò in Russia con sua moglie Natalia, che era diventata
cittadina statunitense. I loro figli restarono negli Stati Uniti (più tardi il
maggiore, Ermolay, ritornò in Russia. Da quel momento Solženicyn ha vissuto con
la moglie in una dacia a Troice-Lykovo ad ovest di Mosca, tra le dacie di
Michail Suslov e Konstantin Černenko.
Solo
dopo il 2000, malgrado la diffidenza con cui i suoi connazionali hanno
continuato a trattarlo, Alexander Solgenitsin si è riconciliato con il suo
amato Paese, dal quale è stato a lungo perseguitato come dissidente,
incontrando il presidente Vladimir Putin.
Secondo il critico letterario Antonio D'Orrico il ruolo letterario e politico di Solženicyn è stato molto importante: "L'importanza (ma la parola è
inadeguata) di Solzenicyn, non per la storia della letteratura ma per quella
del mondo, è immensa. Spesso si dice, e con qualche ragione, che è stato Karol
Wojtyla a far cadere il Muro di Berlino. Con molte ragioni in più va detto che
è stato lo scrittore russo ad abbattere quasi da solo il socialismo reale e,
addirittura, la filosofia da cui traeva ispirazione. Un'impresa titanica. Vi
sarete chiesti in qualche momento della vostra vita a che serve la letteratura.
Ecco, la letteratura in alcune occasioni può servire a questo, ad abbattere un
regime, piegare un impero. E non è un'esagerazione. Basta pensare alla vita di
Solzenicyn, prima ancora che leggere la sua opera, basta guardare i suoi libri,
messi su un tavolo come i modelli per una natura morta, per capire quello che
semplicemente è successo. Solzenicyn è una forza (come si dice in fisica ma
anche nei film di fantascienza di Lucas). Ricordate il ragazzo di Tienanmen
davanti al carro armato? Solzenicyn è un po' come lui, con l'aggiunta che il carro
armato l'ha smontato a mani nude (ci sono mani più nude di quelle di uno
scrittore?). Però Solzenicyn non è conosciuto quanto dovrebbe essere conosciuto
(in Italia specialmente)". Un incentivo per leggere sempre più i testi di
questo grande intellettuale.
Si può leggere anche di Piergiorgio Odifreddi "Il Gulag dei matematici"
Trama di Padiglione cancro
Pàvel
Nikolàevič Rusànov, burocrate del partito, accompagnato dalla moglie, viene
ricoverato nel padiglione oncologico di una città, non nominata, dell'Asia
centrale, per un sospetto gonfiore al collo. Qui fa conoscenza, suo malgrado,
con gli altri ammalati del reparto, ciascuno con la sua storia, il suo
carattere e il suo specifico tipo di cancro. Tra questi prova un'istintiva
antipatia per Olèg Filimonovič Kostoglòtov, "Spolpaossi" come lo
definisce Rusànov, un uomo che, agli occhi del burocrate, sembra un mezzo
bandito, Dèmka un ragazzo sedicenne, mite e studioso, Ackmadžàn giovane uzbeko
e tanti altri, provenienti dalle varie parti del vasto territorio sovietico.
Lo
scrittore delinea i tratti salienti di ciascun personaggio e, in particolare, si
sofferma proprio su Olèg Filimonovic, un ex topografo deportato dopo aver
trascorso vari anni in un gulag: chiaro riferimento alla personale vicenda di
Solženicyn. Olèg, segnato dalla dura prigionia, prova una particolare
attrazione per la giovane infermiera Zòja.
La
ragazza, lusingata dalla sua corte discreta, per non pregiudicare la libido
dell'uomo, disobbedendo alle prescrizioni dei medici, evita di praticargli
iniezioni di ormoni femminili che dovrebbero rallentare il progredire del suo
male. Kostoglòtov è attratto anche dalla dottoressa Vèra Kornìl'evna, gentile e
sorridente: un delicato sentimento, ricambiato da Vèra, che il carattere
riservato di entrambi non consentirà di manifestare.
Olèg,
dopo la diagnosi, viene temporaneamente dimesso: dovrà rientrare al reparto per
sottoporsi periodicamente alla terapia. Uscito dall'ospedale, prima di prendere
il treno per tornare nel confino di Uš-Terék, vaga per la città, indeciso se
recarsi in casa di Vèra la quale, superando dubbi e timori, gli aveva fornito
il suo indirizzo. Alla fine del romanzo, rinuncia e partirà senza vederla. (da
Wikipedia)
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Del
romanzo di Solženicyn, nell'edizione Einaudi, si veda anche
Il
cancro e l’albicocco in fiore e
Il giorno della Creazione
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