Deborah Orr |
(Ultimo aggiornamento 15.02.13)
Chi ha impattato con il cancro si è trovato spesso nelle situazioni raccontate dalla giornalista Deborah Orr. Io, per evitare malintesi e domande imbarazzanti, ho fatto coming out, non sulla mia identità di genere, con l'età diventa ambigua, ma sul mio cancro. Chi vuole sapere come sto e come va, legga i post che scrivo.
Ho già trattato questo argomento nel post Non chiedermi come sto ma sorridimi e in quello Quando le parole feriscono i malati come coltelli.
Chi ha impattato con il cancro si è trovato spesso nelle situazioni raccontate dalla giornalista Deborah Orr. Io, per evitare malintesi e domande imbarazzanti, ho fatto coming out, non sulla mia identità di genere, con l'età diventa ambigua, ma sul mio cancro. Chi vuole sapere come sto e come va, legga i post che scrivo.
Ho già trattato questo argomento nel post Non chiedermi come sto ma sorridimi e in quello Quando le parole feriscono i malati come coltelli.
Trovo
sul corriereweb.net
una buona sintesi e traduzione dell'articolo dal titolo "10
things not to say to someone when they're ill" (10 cose da non dire alle
persone ammalate, sottinteso tumore) di Deborah Orr, pubblicato sul quotidiano inglese
"The Guardian" , mercoledì 18 aprile 2012.
E'
interessante leggere anche il post, con lo stesso titolo, che ho trovato sul
blog " Il Codice di
Hodgkin" postato da RominaFan il 26 aprile 2012. Romina conclude
l'elencazione dei suoi 10 punti con queste frasi: Ricordiamoci sempre che un malato di cancro non deve essere trattato
come un cancro. Deve essere trattato come una persona. LA MALATTIA NON VA
MAI ANTEPOSTA ALLA PERSONA. Se si è in confidenza, vanno bene battute di
spirito, umorismo nero, sincerità e domande. Se non si sa cosa dire e si è
fortemente in imbarazzo, anche il silenzio può essere una buona soluzione.
Tanto il malato capisce che interfacciarsi con lui può essere difficile.
Molto interessante anche il post dal titolo: Angela Pasqualotto: Il peso delle parole
Molto interessante anche il post dal titolo: Angela Pasqualotto: Il peso delle parole
Ma torniamo
all'articolo di Deborah Orr
Le 10 frasi da
evitare con le persone malate di tumore: la testimonianza di Deborah Orr
Quello
che nessuno dice rispetto a malattie come il tumore, è che il malato diviene di
colpo il centro di una serie di attenzioni ‘eccezionali’ da parte della
famiglia e gli amici. “Questa è una cosa carina. Anzi, l’unica cosa carina”.
Così Deborah Orr, giornalista del Guardian da poco uscita dalla fase
post-operatoria più critica a seguito di una diagnosi di cancro al seno
ricevuta la scorsa estate, che ha deciso di stilare un decalogo delle 10 frasi
da non dire a un malato grave per “essere l’amico che serve, che tu vuoi
essere”.
Le 10 frasi da evitare con le persone malate di tumore:
la testimonianza di Deborah Orr.
1. “MI DISPIACE
PER TE”
“È
incredibile il numero di persone che crede che faccia sentire alla grande
essere oggetto di compassione”, esordisce la cronista rispetto a questa frase
che spesso si è sentita dire da familiari e amici. E bisogna stare attenti a
non dire “mi dispiace per te” con i propri occhi, in quanto il risultato non
cambia: proviamo a immaginare come ci sentiamo quando siamo oggetto della
compassione degli altri? Davvero si pensa possa avere una funzione protettiva?
La
giornalista del Guardian, in merito, racconta un aneddoto relativo a un suo
amico che era davvero bravo a esprimere con lo sguardo questo stato d’animo, il
“doleful-puppy-poor-you gaze”, la cui traduzione risulta difficile (sguardo
“tu-povera-dolente-cucciola”), ma che esprime la profonda ironia con cui la Orr
affronta il tema, ricordando che proprio in funzione di questa ‘competenza’ del
suo amico, lei usava andare spesso a pranzo fuori con lui, così da poter
continuare a ridere imponendo all’amico di ripetere il famoso sguardo.
L’alternativa
che propone l’autrice è: “speravo così tanto tu non dovessi passare per un
momento così terribile”. Una frase che riconosce al malato il suo essere un
partecipante attivo nel dramma che sta vivendo, e non una vittima indifesa.
2. “SE QUALCUNO
PUÒ SCONFIGGERE QUESTA MALATTIA, SEI TU”
Non ottiene il risultato sperato sentirsi dire che
bisogna combattere con la malattia, “come una sorta di cavaliere medioevale in
una campagna romantica”. Assoggettarsi alla scienza medica nella speranza di
una cura, per quanto possa sembrare diverso, non è altro che questo: una
sottomissione. L’idea che la malattia, continua l’autrice, sia un test al
proprio carattere, con la guarigione solo per i valorosi, “è superficiale al
punto di passare per un insulto”. Meglio dire: “mia madre ha avuto la stessa
malattia 20 anni fa, e ora sta viaggiando in giro per il mondo con un circo
acrobatico”, scrive la giornalista, rimarcando la necessità di esporsi solo se
si tratta della verità.
3. “TI TROVO
PROPRIO BENE”
Nessuno
vuole sentirsi dire che le restrizioni che è costretto a sopportare a causa
della malattia e/o dell’ospedalizzazione sono invisibili agli occhi degli
altri. Non si è mai troppo malati per guardare allo specchio e rendersi conto
dei segni sul proprio viso della malattia, quanto della sua cura. Nessuno vuole
sentirsi dire ridicole bugie, sono imbarazzanti sia per chi parla che per chi
ascolta. Qualora voglia parlare del suo aspetto esteriore sarà lo stesso malato
a aprire la discussione, e se ci si trova in questa situazione la cosa migliore
è prendere spunto dalle sue parole.
4. “HAI UN ASPETTO
TERRIBILE”
Anche
il messaggio opposto al precedente, come potrebbe risultare del tutto
intuitivo, non può certamente sortire un effetto benefico per il ricevente. La
giornalista racconta di una amica che continuava a confermarle la possibilità
di fare una dieta ferrea con l’avvenuta guarigione, cosa che non la sconvolgeva
particolarmente, se non fosse stato per la busta strabordante di dolci e snack
con cui questa amica si presentava a trovarla. Dieta che la Orr dice di non
aver intrapreso neanche ora, in quanto non le sembra essere più così
tremendamente importante l’idea di aver preso qualche chilo.
Ancora
una volta la soluzione sta nell’aspettare l’incipit del malato che qualora
dica: “Non ho un aspetto orribile?” potrebbe
stare chiedendo di essere aiutato a ridere un po’ su se stesso e confortato
della possibilità che anche questo passerà.
5. “FAMMI SAPERE I RISULTATI”
“Stranamente,
una persona non ha nessuna voglia di sentirsi obbligato a divulgare, sullo
stile social network, nel momento in cui torna da lunghi, complicati, stressanti
e invasivi test, che in ultima analisi consegnano notizie che semplicemente non
si volevano sentire”.
Il
significato legato a un messaggio del genere è evidente: si tratta di
preoccupazione. Tuttavia, seguendo le parole della Orr, è più facile sopportare
un po’ di preoccupazione rispetto alla notizia che conferma che sta per
iniziare un altro giro di trattamento debilitante, tanto per il corpo quanto
per l’anima. Se una persona malata vuole veramente parlare di una cosa del
genere, è giusto abbia il controllo rispetto al quando, al come e al chi
contattare in merito alla propria condizione.
6. “QUALUNQUE COSA POSSA FARE PER AIUTARTI,
SONO A TUA DISPOSIZIONE”
“Al
di la di tutto, è noioso”, commenta sul Guardian la giornalista. E, inoltre,
suona come un’ulteriore responsabilità – quella di dover individuare un compito
per l’emittente del messaggio – a una persona che deve già confrontarsi con
innumerevoli richieste. È preferibile individuare da sé mansioni da poter
svolgere, come: “Posso andare a prendere i tuoi figli all’uscita di scuola
martedì?” o “Posso venire con una torta e un gioco da tavolo?”.
7. “OH NO, LE TUE PREOCCUPAZIONI SONO
INFONDATE”
Specialmente
quando si tratta di preoccupazioni fondate. La giornalista riporta la sua
“sproporzionata” preoccupazione di perdere i capelli, quando le fu
diagnosticato per la prima volta un tumore al seno. Una sua amica, ogni qual volta
lei esprimesse la preoccupazione riguardo alla possibilità di restare calva,
affermava, senza alcun fondamento, che questa era una prospettiva improbabile e
che non è più come in passato. In realtà si tratta di un evento molto
frequente, che anche nel caso della giornalista del Guardian si è verificata.
La
cosa più importante, tuttavia, è che quando una persona esprime una paura, non
vuole parlare in maniera più o meno palese di quanto inutile, ridicola, o priva
di fondamento questa possa essere: “negare a una persona il bisogno di
discutere delle proprie paure è un po’ brutale”.
8. “COSA SI PROVA CON LA CHEMIOTERAPIA?”
Ancora
una volta le parole della giornalista sono illuminanti: “un numero sconcertante
di persone sembra immaginare che la cosa di cui più hai bisogno, nella tua
vulnerabilità, è una lunga disquisizione tecnica in cui fornire loro con
dettagli esaustivi la percezione della “cosa peggiore” (shit thing) che è mai successa al
tuo corpo in tutta la tua vita”.
Ancora
una volta la regola d’oro è prendere spunto dalla persona che sta vivendo
l’esperienza in prima persona, andando in contro ai desideri in merito ai temi
di discussione. La Orr spiega, ad esempio, che lei amava cambiare totalmente
argomento per parlare di cose più piacevoli, e ricorda che uno dei momenti più
significativi della sua esperienza di degenza è legato a una conversazione
avuta con una amica che le confidava che la precedente visita che aveva fatto
in ospedale – in cui 8 persone si erano ritrovate accanto al letto della
giornalista – era stata uno dei momenti socialmente più validi della sua vita.
Cosa che ha reso la Orr incredibilmente orgogliosa.
9. “TI DEVO ASSOLUTAMENTE VEDERE”
Non
è una buona idea esordire così, in particolare se si intende successivamente
indulgere in una lunga serie di dettagli su quanto la propria vita sia
complicata e quanto difficile trovare un momento per fissare questo
appuntamento.
La
Orr ancora una volta accompagna con un aneddoto la sua riluttanza a sentirsi
dire una frase del genere, ricordando una amica che continuava a parlarle
dell’importanza di doverla vedere, e degli innumerevoli impegni che le stavano
impedendo di farlo. A un certo punto, fissato un appuntamento in relazione agli
impegni della amica, quest’ultima l’ha contattata per riferire di una crisi
nell’assistenza del proprio bambino che le impediva di poter rispettare
l’impegno, salvo poi scrivere un tweet in cui dichiarava di stare indossando un
vestito da cocktail mentre nel traffico si dirigeva verso un evento a lungo
pianificato e molto glamour.
“Posso passare stasera dopo lavoro?”, o ancor meglio “Ho i biglietti per il teatro il 25. Fammi sapere se per quel giorno ce la fai”. Queste le alternative più efficaci individuate dalla giornalista che rinforzano la necessità di ridurre le difficoltà di una persona che per tanti e più importanti motivi già soffre di un problema legato alla propria libertà.
“Posso passare stasera dopo lavoro?”, o ancor meglio “Ho i biglietti per il teatro il 25. Fammi sapere se per quel giorno ce la fai”. Queste le alternative più efficaci individuate dalla giornalista che rinforzano la necessità di ridurre le difficoltà di una persona che per tanti e più importanti motivi già soffre di un problema legato alla propria libertà.
10. “SONO TERRIBILMENTE SCONVOLTO PER LA TUA CONDIZIONE”
Un’amica
della giornalista, quando per la prima volta ha ricevuto la notizia, ha
esordito con un “non posso farcela senza di te”, prima di riversare sulla
persona a cui la malattia era stata diagnosticata un “fiume di lacrime”. In
seguito, quando l’amica è uscita dal bagno del locale in cui stavano discutendo
dell’accaduto, le ha raccontato che mentre si trovava nel gabinetto del pub a
piangere, una vecchia signora si era avvicinata per chiederle cosa ci fosse che
non andava e dopo aver ascoltato la sua risposta le aveva detto qualcosa del
genere: “Cosa? Stai qui a piangere nel lavandino, mentre una tua amica è nel
bar con un cancro al seno? Rimettiti in sesto, fatti coraggio ed esci da qui.”
La
cosa più importante da ricordare è che se non si è in grado di gestire il
dolore per un amico in difficoltà si possono mandare fiori, dolci o pensieri di
qualunque genere, ma non “una tempesta appassionata del proprio dolore
selvaggio, consegnato di persona.” È chiedere troppo a qualcuno che sta
passando un momento del genere, il bisogno di essere consolati rispetto alla
possibilità di perderlo.
Deborah Orr conclude il suo articolo rimarcando la necessità di non prendersela troppo con se stessi, qualora qualcuno di noi avesse pronunciato frasi del genere in presenza di una persona che soffre di una malattia così ‘spaventosa’. Ognuno di noi, in presenza di un amico che rischia la vita si sente impotente e molto spesso dice la cosa sbagliata. Lei stessa conferma di aver più volte usato frasi del genere, ma che si è resa conto di come ci si può sentire soltanto quando si è trovata a ricevere questi messaggi, confermando la necessità di porsi nella prospettiva dell’altro all’interno della comunicazione per poter individuare il modo di aiutarlo.
Deborah Orr conclude il suo articolo rimarcando la necessità di non prendersela troppo con se stessi, qualora qualcuno di noi avesse pronunciato frasi del genere in presenza di una persona che soffre di una malattia così ‘spaventosa’. Ognuno di noi, in presenza di un amico che rischia la vita si sente impotente e molto spesso dice la cosa sbagliata. Lei stessa conferma di aver più volte usato frasi del genere, ma che si è resa conto di come ci si può sentire soltanto quando si è trovata a ricevere questi messaggi, confermando la necessità di porsi nella prospettiva dell’altro all’interno della comunicazione per poter individuare il modo di aiutarlo.
Tuttavia,
la cosa più importante, conclude
la giornalista, non è dire o meno la cosa giusta, ma essere lì in un momento così terribile e
esprimere in tutte i modi a disposizione l’amore per la persona che sta
soffrendo.
“Io guardo indietro a quegli orribili momenti di inettitudine e goffaggine con divertimento esasperato e tenero, profondo affetto. La grande lezione che ho imparato dal cancro, è stato il modo splendido in cui i miei amici erano, quantunque strane potessero essere le loro affermazioni. Tutti loro, nelle loro personali, differenti modalità, mi hanno fatto capire quanto mi amavano, e questa è la cosa più utile per ognuno di noi. Sono così fortunata ad averli accanto a me”.
“Io guardo indietro a quegli orribili momenti di inettitudine e goffaggine con divertimento esasperato e tenero, profondo affetto. La grande lezione che ho imparato dal cancro, è stato il modo splendido in cui i miei amici erano, quantunque strane potessero essere le loro affermazioni. Tutti loro, nelle loro personali, differenti modalità, mi hanno fatto capire quanto mi amavano, e questa è la cosa più utile per ognuno di noi. Sono così fortunata ad averli accanto a me”.
Aggiungeri alle 10 frasi da evitare, quella di non essere curiosi, di non dare nemmeno l'impressione di esserlo. Dev'essere la persona che ha avuto o che sta combattendo contro il cancro a dire qual'è lo stadio della sua malattia e quanto le resta da vivere (non vi sembra interessante questa domanda?).
RispondiEliminaMai chiederlo, sarà lei a dirvelo se lo desidera!!