«Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,
37), sono le parole conclusive dell'istruttiva parabola del Buon Samaritano, un bell'esempio
di come dovrebbe comportarsi un vero volontario. E' anche l'incipit del Messaggio
di Benedetto XVI per la XXI giornata mondiale del malato (11 febbraio 2013), clicchi
qui.
Oggi è una giornata storica, sia perchè è l'anniversario dei Patti Lateranensi (anni fa era giorno di vacanza scolastica), sia perché Benedetto XVI ha dato le dimissioni da papa. Si contano sulle dita di una mano i papi che l'hanno fatto: Clemente I, Papa Ponziano, Papa Silverio, Gregorio XII, Celestino V e adesso Benedetto XVI. Per chi ci crede, oggi è anche l'anniversario dell'apparizione della Madonna di Lourdes.
Ricordo una bellissima citazione di papa Ratzinger sulla compassione che ci aiuta per questo post: La compassione cristiana non ha niente a che vedere col pietismo, con
l'assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di solidarietà e di
condivisione, ed è animata dalla speranza.
Malato è però una parola che non mi piace perchè indica un processo reversibile, cioè la guarigione, mentre per tanti è una condizione irreversibile.
Quando mi chiedono come sto, rispondo che sono un precario della salute. Ma lo siamo tutti mi ribattono. E' vero - amico mio - siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo remare tutti in base alle proprie forze.
Trovo su Wikipedia che: "II termine Malattia deriva da quello di "malato", che a sua volta
proviene, per crasi ed allitterazione, dal latino "male aptus"
traducibile in “malconcio – malmesso”, e da: male-actio = mala-azione =
malattia indotta per azione errata, dovuta all'ignoranza della mente del
soggetto (Ego/IO). Passando poi dal significato etimologico a quello
"reale" del termine, vale a dire alla sua definizione, si incontrano non
poche difficoltà, poiché si tratta di una di quelle definizioni
apparentemente semplici ed agevoli, ma in realtà assai difficili a
darsi, specie nella medicina ufficiale.
Quando a parlare di malattia non sono il medico, il malato e le
persone intorno al malato, una definizione generica è troppo limitativa,
non comprendendosi in essa le dimensioni personali e sociali del
fenomeno "malattia". Nella letteratura in lingua inglese da anni si è
risolto il problema di questa ambiguità utilizzando il termine disease per la concettualizzazione della malattia da parte del medico, il termine illness per indicare l'esperienza diretta del malato, la dimensione esistenziale/soggettiva, ed il termine sickness per determinare il riconoscimento della persona malata come tale da parte del contesto sociale non medico".
Ho
deciso di non riportare per intero il messaggio del Papa, optando per due
post che ho copiato dal blog "On the Widepeak - Le mie
cellule impazzite, la mia vita e il mondo", il primo dal titolo "I
giorni buoni", postato il 31 gennaio 2013 e il secondo postato il 18 dicembre 2012 dal titolo "Questa non è la mia cartella
clinica".
Chiedo
scusa alla giovane compagna di avventura widepeak, che saluto con affetto e compassione dando a questa parola il significato succitato, se ho copiato i due
post per proporli come testimonianza nella "Giornata Mondiale del
Malato".
Questo post è dedicato anche a tutte le meravigliose donne di Oltreilcancro.it.
Questo post è dedicato anche a tutte le meravigliose donne di Oltreilcancro.it.
Ecco
come si presenta la mamma cancer blogger: "Sono
qui su una montagna bella alta e bella larga per guardarmi bene intorno e
dentro. Sono qui per parlare un po’ di cancro, anche se non solo, e per sentirmi
meno sola con il cancro. Ho 39 anni e due bambine, un compagno luminoso, una
vita bella e disordinata come tante e, da 5 anni, anche un po’ di cellule
impazzite che, nonostante tutto, non riesco a non amare".
I giorni buoni
Perché
non è che siccome hai il cancro, o l’hai avuto, sei il re degli sfigati e ti
meriti di non fare altro che guardarti i piedi e leccarti le ferite. Se dovessi
dire, insieme al terrore puro ispirato dalla parola cancro, questa del “sono
malato solo io, gli altri che ne sanno” è la seconda sindrome da tenere a bada
per chi riceve e/o convive con una diagnosi di tumore. E confesso che io ci
casco ogni tanto. Salvo prendere una botta in faccia quando alzi la testa e
vedi e senti la sofferenza degli altri. Perché di malattia, di dolore e sì,
anche di cancro, c’è chi muore, senza neanche il tempo.
Come non ritenermi fortunata di questi 5 anni. Sapete
quanto sono corti 5 mesi?
Beh
nel mio piccolo mondo egocentrico, tra un attacco di panico e l’altro, ho avuto
modo di riflettere su questo a lungo la scorsa settimana. E mi ricordo che è
buono ogni giorno fino qui, che i giorni buoni sono tanti e che oggi è uno di
questi. Vorrei solo poterne regalare a chi ne ha avuti troppo pochi, e non
perché sono tanto “generosa” e “sensibile”, ma perché la verità è che è la
volontà di farlo ancora che li rende buoni.
Questa non è la mia cartella
clinica
Come
molti di noi, autoreferenziali scrittori blog, ogni tanto mi chiedo a cosa mi
serva scrivere qui. La funzione originaria, l’ho detto spesso, è stata di
trovare una cornice di senso a quello che mi stava accadendo, condividerlo con
chi ci era passato, o ci stava passando o voleva lasciarmi un segno di
solidarietà con un commento. Internet ha davvero rotto tanti muri di
solitudine, e senza stare a fare le vittime, avere il cancro così a lungo, ti
lascia tanto sola. Allora, negli anni, questo blog è servito a fare amicizie
virtuali che chi l’avrebbe mai detto. A tenere aggiornato chi si interessa a
me, ma una telefonata sarebbe complicata (lo dico senza acrimonia, sono la
prima a non rispondere più al telefono). Oltre a scrivere, rileggere quanto
scritto negli anni, mi ha aiutato poi a capire meglio, a inquadrare
diversamente gli eventi con il senno di poi. E se c’è una parte di post scritti
anche con un pensiero alla loro potenziale utilità per altri nelle mie
condizioni, devo dire che, soprattutto, ho sempre scritto egoisticamente per me
sola. Tanto più ultimamente: le mie vicende sono così orientate, che preferisco
nessuno si riconosca nella mia situazione ed è lo stesso motivo per cui parlo
pochissimo, anche in dh, con “colleghi di malattia”. A volte cerco di non incrociare
nemmeno i loro sguardi, non voglio si spaventino, dico sul serio. Soprattutto
non voglio mi facciano domande. Le risposte non piacerebbero né a loro, né a
me.
Questa
però non è la mia cartella clinica, scrivo quando mi va, quello che mi va, e
chi vuole legge e scrive come vuole, nella massima libertà, nei limiti della
buona educazione, sempre. Detto ciò, non penso di morire nei prossimi due mesi
(oddio, magari mi becco pure la famosa tegola in testa e la facciamo finita),
ma la malattia – dicono gli ultimi controlli di questi giorni – sta avanzando,
a polmoni e cervello. E io cammino sempre più piano, respiro sempre più a
fatica, tossisco di più. Me ne fotto anche abbastanza, ho un Natale da prepare
per la mia famiglia, il morale da tenere alto, la rassegnazione da tenere a
bada, e soprattutto la fiducia che sento, sempre, di cui prendermi cura.
Ogni
giorno dobbiamo imparare di nuovo a prendere quello che c’è, cercando di non
farci fare troppo male. Non è semplice, nella preoccupazione si fanno un sacco di
cazzate, ma noi possiamo permetterci pochissimi sbagli. Nostri o altrui.
In
tutto questo, Nina e Lilla sono una forza della natura, una dirompente fonte di
energia allegra e vitale. Davvero non si sa mai cosa ci riserva il futuro, e
noi lo sappiamo meno degli altri, è la realtà. Ma il mio presente, grazie a
loro e a Obi, è davvero sempre bellissimo.
Adesso
ciao, vado a preparare dei muffin per loro.
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