Tiziano Terzani (Firenze, 14
settembre 1938
– Orsigna,
28
luglio 2004)
è stato un giornalista e scrittore
italiano.
Nell'ultima
intervista data a Fabrizio Revelli del giornale la Repubblica afferma: «Un tumore? Ne ho vari, un po' di qua, un
po' di là. Ma la cosa divertente è che ci convivo da sette anni. Beh,
non credo
che durerà molto a lungo. Ma la cosa curiosa, la cosa interessante è che
io e
quelli siamo una cosa sola, e sarebbe stupido pensare: loro ammazzano
me, io
ammazzo loro. Ce ne andiamo insieme perché siamo cresciuti insieme. E
con
questo voglio dire che per me questo cancro è stata una grande
benedizione.
Perché ero ricaduto nella routine della vita e questo cancro mi ha
salvato.
Perché finalmente all'invito di un ambasciatore a cena, a una conferenza
stampa, a un viaggio a cui non ero più interessato, io potevo sottrarmi.
Io ho
il cancro. Il cancro è diventato una sorta di scudo, di barriera, di
divisione
tra me e il mondo da cui volevo staccarmi».
Dopo
essere
stato anche lui all'inizio della malattia al "Memorial Sloan
Kettering Center" di New York ha deciso di intraprendere un altro
percorso: «Strada facendo
— e io adoro viaggiare, è il mio modo di
reagire a tutto, anche a questo ho reagito viaggiando, mettendomi sulla
strada,
vivendo delle avventure — mi sono reso conto che in verità io non volevo
una
medicina per il mio cancro, volevo una medicina per quella malattia che è
di
tutti, che non è il cancro: la mortalità».
Thailandia
e
Filippine: «Cose curiose ne ho fatte di
tutti i colori. Lavaggio del colon, dieci giorni in un'isoletta della
Thailandia con digiuni completi e clisteri di 18 litri al giorno due
volte. Poi
sono stato dai guaritori filippini, quelli che tolgono sangue, budellina
di
pollo dalle tue interiora».
India:
«Un'altra grande esperienza che ho fatto
è in questo famoso ospedale ayurvedico, dove sono arrivato e la cosa che
più mi
ha colpito era l'elefante. C'era un elefante! Nel cortile! E ogni giorno
c'era
una cosa stupenda, calava il sole e iniziava un teatro meraviglioso,
fino
all'alba. Con suoni di cimbali, barriti di elefanti, balli, strane
danze, che
erano parte della cura perché i malati assistevano a questo spettacolo
degli
dèi scesi sulla terra, come a parte della loro terapia».
E
alla fine del viaggio, dopo i lama tibetani, le pozioni diluite con
piscio di
vacca afferma: «A un certo momento, paf,
basta, chiuso. Non voglio più sentire niente di tutta questa roba,
perché la
cura ho capito che è un’altra. Non è la cura, è la guarigione che cerco.
E la
guarigione è la ricostruzione dell’equilibrio. In mezzo, l’11 settembre,
l’orrore,
il pensiero «che potesse essere il momento di un grande ripensamento»,
le
Lettere contro la guerra, «dopo aver fatto per tutta la vita il
corrispondente
di guerra mi pareva arrivato il momento per dire che mi sentivo ormai in
verità
uomo di pace».
Infine
il ritorno all’Orsigna, alla casetta di legno che s’era costruito dove
stare
solo (Orsigna è una frazione di Pistoia, situata nella valle
attraversata
dall'omonimo torrente): «Per me era
importante aver capito questo, che il fine della mia vita era di
ristabilire
un’armonia, con quel che mi circonda, con la gente a cui tengo, e con
questo
prepararmi all’ultimo passo della vita, che è la morte, senz’angoscia,
senza la
pretesa che troverò una cura». Godere di ogni giorno «come fosse un
altro giro
di giostra».«Io sono in pace. Sono in una condizione stupenda, sto
benissimo. E
il mio corpo, me ne staccherò, lo lascerò lì e andrò via». Un solo
cruccio: «Mi
incuriosisce morire, mi dispiace solo che non potrò scriverne». E un
consiglio
finale: «Ridere, io trovo che ridere è una cura, è parte della
guarigione.
Infatti un’altra delle terapie che ho scoperto in India è la terapia del
sorriso, del ridere. Per cui il consiglio che do a tutti è cominciare
con una
gran risata e finire con una gran risata».