Trovo nelle news del Centro Maderna una
notizia, tratta dal New York
Times, dal titolo: Parlare chiaro in fin di vita.
Mi sono permesso di modificare il titolo
del Centro Maderna con un punto di domanda.
A mio avviso non esistono frasi standard
per chi è in fin di vita, sia per i famigliari che per il paziente. Si parla spesso nelle patologie importanti di cure personalizzate, perché non personalizzare anche
le parole di fine vita a seconda del paziente? La morte di un bambino, di un giovane, di un adulto o di un anziano non è la stessa cosa.
Ecco il testo della news: "Paula Span,
collaboratrice e giornalista del New York Times, ha
recentemente pubblicato nella sezione dedicata agli anziani del blog del
famoso quotidiano americano una sua intervista al Dr. Stephen Workman,
internista in un ospedale canadese di Halifax, in Canada, autore di un
articolo recentemente pubblicato sull'International Journal of Clinical
Practice su come i medici devono parlare a chi si trova in fine vita e
ai suoi familiari. Il provocatorio titolo dell'articolo (Never say die? - as treatments fail doctors’ words must
not)
"Mai dire
morire? Se fallisce la cura, le parole del medico non devono fare
altrettanto" mostra già quale sia la posizione del medico canadese,
che
considera sbagliata la tendenza diffusa tra i medici di non menzionare
mai la possibilità di morte del paziente, evitando di affrontare una
eventualità spesso più che concreta. "Se la morte è una cosa talmente
terribile che io, il dottore, non riesco ad affrontare, come posso
aspettarmi che riescano a farlo i pazienti e le loro famiglie?". Le
frasi tipiche che si sentono in questi casi, come "la situazione è
seria" o "molto critica" e "la prognosi è incerta"
dovrebbero essere
sostituite, secondo Workman, con espressioni più dirette, come "C'è
la
possibilità o il rischio che lei/il vostro caro deceda durante questo
ricovero", per dare ai pazienti e ai familiari il tempo di accettare
ciò
che sta per venire. La frase "il paziente non reagisce alla cura",
andrebbe poi evitata, perché sposta la responsabilità sui pazienti,
quasi come se fossero loro a non essere bravi abbastanza da guarire e se
invece si impegnassero un po' di più le cose potrebbero andare
diversamente. Il messaggio che deve passare dovrebbe invece essere
"Abbiamo fatto il possibile, ma nonostante tutti i nostri sforzi, la
cura non sta funzionando": il medico deve avere l'umiltà di
ammettere i
limiti propri e quelli della scienza stessa".
Per maggiori approfondimenti: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1742-1241.2010.02585.x/pdf
Ho inserito in questo post il dipinto
"Morte di Socrate" dell'artista francese Jacques-Louis David, realizzato nel
1787,
olio su tela e conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New
York.
Perchè Umberto Galimberti in un ardito confronto tra la morte di Gesù e quella di Socrate afferma: E infatti i cristiani non sanno morire. Basti in proposito un confronto tra la morte di Socrate e la morte di Gesù. [...] A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla "grande nemica di Dio" e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla "grande amica".
Queste affermazioni meriterebbero un'analisi più approfondita in un post a parte.
Perchè Umberto Galimberti in un ardito confronto tra la morte di Gesù e quella di Socrate afferma: E infatti i cristiani non sanno morire. Basti in proposito un confronto tra la morte di Socrate e la morte di Gesù. [...] A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla "grande nemica di Dio" e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla "grande amica".
Queste affermazioni meriterebbero un'analisi più approfondita in un post a parte.
Morte di Socrate di Jacques-Louis David |
L'opera
realizzata due anni prima
della Rivoluzione francese, mostra un David molto giovane; egli ci
raffigura un
Socrate che si batté per educare i giovani ad Atene e che preferì la
morte alla
rinuncia dei propri ideali.
Il
filosofo al centro della scena
discute della teoria della immortalità dell'anima, indicando il cielo
con un
dito, mentre distende l'altra verso la coppa contenente la micidiale
cicuta.
Socrate
appare di una lucidità e
di un coraggio sorprendenti, contrapposti alla disperazione e alla
debolezza
dei discepoli presenti.
Come
fonte storica David utilizza
il Fedone di Platone; quest'ultimo è rassegnatamente rappresentato di
profilo,
ai piedi del letto, dando le spalle al maestro. Sullo
sfondo, nell'atto di
saluto, è rappresentata Santippe, la moglie di Socrate.
La straordinarietà del dipinto è
data dalla desolazione del luogo unita alla gestualità dei personaggi (tratto da
Wikipedia).
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