Dedico questo post al dott. Gianni Bonadonna e ai medici che come lui si battono per una medicina umana.
Gianni
Bonadonna è presidente della Fondazione Michelangelo, una
ONLUS a carattere scientifico finalizzata all'avanzamento della ricerca
applicata alla cura dei tumori. Riconosciuta ufficialmente come Fondazione
nell'Aprile 2001, è ospitata presso l'Istituto Nazionale Tumori
di Milano.
Si
vedano anche i libri di Gianni Bonadonna: "Medici
umani, pazienti guerrieri. La cura è questa" di Giangiacomo Schiavi, Gianni
Bonadonna - Baldini Castoldi Dalai editore; "Dall'altra parte" di Bonadonna Gianni; Bartoccioni Sandro; Sartori Francesco pubblicato da
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli nella collana Futuropassato.
Riporto
dal magazine "Sette" del Corriere della Sera, pag. 71, venerdì
17.10.2012, l'Intervista di Sara Gandolfi a Gianni Bonadonna, paladino di una
"nuova sanità", dell'istituto dei Tumori di Milano, dal titolo: «Cari
medici, gli uomini non sono solo
molecole»
Colpito
da un ictus, non si è arreso. E oggi il grande oncologo che scoprì la cura al
tumore di Hodgkin pungola i colleghi: «Fate
tesoro degli errori passati e presenti, ora e tempo di ascoltare i pazienti»
Scegli
un dottore che ti dà fiducia e affidati a lui. Semplice e concreto. Oltre il
facile mito di una medicina che tutto cura e tutto aggiusta. Perché a volte
serve l'empatia di uno sguardo, la parola di una persona che ti aiuta a capire
contro che male devi combattere e come affrontarlo. Lo ha sempre fatto Gianni
Bonadonna, scopritore di una cura che ancora oggi è considerata terapia di
eccellenza per il linfoma di Hodgkin, il primo a introdurre il trattamento
farmacologico post-operatorio che ha contribuito a migliorare la prognosi del
carcinoma mammario. Ha scritto pagine fondamentali per l'oncologia, finché un
ictus anni fa ha fermato la sua mano. Non la sua mente. Che continua ad animare
la Fondazione Michelangelo, nel "suo" Istituto dei Tumori.
Cosa
significa essere un buon medico?
«La medicina è nettamente cambiata nel corso
degli ultimi decenni grazie alle nuove tecnologie. Oggi il medico ha a
disposizione un vasto campo di trattamenti farmacologici e quelli chirurgici si
fanno più audaci. Avanzamenti tecnologici che però hanno creato miti e
illusioni: al medico il mito di essere diventato onnipotente, al pubblico l'illusione
che per ogni malattia ci sia un rimedio per guarire, subito. La medicina deve tornare
a essere umana. È tempo di iniziare a insegnare sin dall'università a entrare
nel mondo delle malattie come sono vissute dai pazienti. L'obiettivo principale
della professione medica rimane quello di rendere un servizio all'umanità.
Facendo tesoro degli errori passati e presenti, dovremo riconsiderare che
abbiamo a che vedere con esseri umani e non soltanto con molecole».
Cosa
ha il diritto di chiedere un paziente?
«Il malato ha il diritto di conoscere e
decidere, di autodeterminare le proprie scelte. Il medico deve rispettare i
diritti del paziente senza atteggiamenti autoritari e paternalistici, fornire
con tatto e sincerità gli elementi necessari perché il malato partecipi con
maggior consapevolezza alle procedure di diagnosi e cura e, quando richiesto, a
uno studio terapeutico. La medicina per i clinici come per i pazienti deve
restare un'arte, un modo d'incontrarsi e dialogare tra persone, non un contatto
accidentale e frettoloso».
Per "mettersi nei panni" di un paziente, un
medico deve ammalarsi?
«Non
necessariamente. Ci sono medici più sensibili. Il medico deve saper infondere
al malato fiducia per le cure che gli somministra, speranza di guarigione e
soprattutto fargli sentire che non lo considera solo un numero ma una persona a
tutto tondo. Un bravo medico non fa sentire abbandonato il malato, l'attenzione
e l'ascolto sono una grande cura. Alcuni medici lo sanno: dai pazienti imparano
il significato della vita, capiscono il peso della sofferenza».
È
il medico o il paziente che deve decidere "quando fermarsi"?
«Il medico
deve informare con tatto il paziente quando non vi è più possibilità di alcun
trattamento efficace. In questo caso farlo vivere nel modo più dignitoso
possibile è un atto di umanità, evitandogli l'accanimento terapeutico, cure
inutili, le sofferenze evitabili. È l'alleanza medico-paziente che farà
prendere la decisione corretta».
Il
tumore non è vinto, ancora...
«Rimane ancora molta strada da fare: capire meglio
i meccanismi di azione dei farmaci più nuovi, come trarre vantaggio dai nuovi marcatori
genetici per "personalizzare" i trattamenti, più efficaci e meno
tossici».
Cosa direbbe a un amico che scopre di avere un tumore e
di rischiare la vita?
«Gli
direi di rivolgersi a un centro di eccellenza e di affidarsi alle cure
dell'oncologo che abbia con lui un vero colloquio informativo e la capacità di
dimostrare una genuina partecipazione alle sue reazioni emotive, una
solida competenza professionale, tatto, simpatia, comprensione». Perché solo il
medico che ha la fiducia del suo paziente può dirsi un buon medico".
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