Scrive Umberto Veronesi sul post dal titolo Cari giornalisti, le
parole non sono neutrali: "E’ allora che ho concepito il
sogno di fare del cancro un «male curabile», una speranza che ho condiviso e
condivido con tanti altri medici, e che con passi successivi già va
realizzandosi: il cancro colpisce sempre, ma sempre di più è curabile e guaribile".
E' vero, è sempre più curabile e guaribile ma lascia ancora una lunga scia di passed away lungo il cammino della vita. Nei giornali si legge che Antonio Manganelli e Pietro Mennea sono morti per un male incurabile. Mi viene da dire che quando uno muore per una patologia, spesso avviene per un male che non era per lui curabile.
Antonio Manganelli è morto il 20 marzo, 63 anni a dicembre, capo della Polizia. E' morto dopo essere stato sottoposto a un'operazione chirurgica per la rimozione di un edema a causa di un'emorragia cerebrale. Manganelli aveva avuto due anni fa un tumore ai polmoni e si era curato per tre mesi negli Stati Uniti. Gli ultimi anni Manganelli li ha passati a cercare di spiegare due concetti: l'importanza di parlare ai giovani, per far loro capire che "la legalità conviene"; la necessità che non siano solo le forze di polizia ad occuparsi di sicurezza. "A noi viene spesso chiesto di assumerci responsabilità che spettano alla società civile e ad altre istituzioni. Non possiamo sempre fare da supplenti. Serve una sicurezza partecipata in cui ognuno svolta il proprio ruolo, senza mai tirarsi indietro".
E' vero, è sempre più curabile e guaribile ma lascia ancora una lunga scia di passed away lungo il cammino della vita. Nei giornali si legge che Antonio Manganelli e Pietro Mennea sono morti per un male incurabile. Mi viene da dire che quando uno muore per una patologia, spesso avviene per un male che non era per lui curabile.
Antonio Manganelli è morto il 20 marzo, 63 anni a dicembre, capo della Polizia. E' morto dopo essere stato sottoposto a un'operazione chirurgica per la rimozione di un edema a causa di un'emorragia cerebrale. Manganelli aveva avuto due anni fa un tumore ai polmoni e si era curato per tre mesi negli Stati Uniti. Gli ultimi anni Manganelli li ha passati a cercare di spiegare due concetti: l'importanza di parlare ai giovani, per far loro capire che "la legalità conviene"; la necessità che non siano solo le forze di polizia ad occuparsi di sicurezza. "A noi viene spesso chiesto di assumerci responsabilità che spettano alla società civile e ad altre istituzioni. Non possiamo sempre fare da supplenti. Serve una sicurezza partecipata in cui ognuno svolta il proprio ruolo, senza mai tirarsi indietro".
Pietro
Mennea è morto il 21 marzo, 61 anni il 28 giugno, per un cancro al colon.
E' stato il più grande velocista della storia dell'atletica italiana, primatista
mondiale dei 200 metri piani dal 1979 al 1996 con il tempo di 19"72,
tutt'ora record europeo, medaglia d'oro nella specialità alle Olimpiadi di
Mosca del 1980. Livio
Berruti, medaglia d'oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Roma 1960, ha ricordato
così Mennea: «È stato un inno alla
resistenza, alla tenacia e alla sofferenza. All'atletica italiana manca questa
grande voglia di emergere e di mettersi in luce». «Tra noi c'è stato un
rapporto molto dialettico - ricorda ancora Berruti - per lui l'atletica era un
lavoro, io lo facevo per divertirmi; lui era pragmatico, io idealista. Il
nostro è stato uno scontro, come tra Platone e Aristotele».
"Così introverso e spigoloso da saper accendere la passione. Un atleta fatto ossimoro" scrive Maria Luisa Colledani sul Sole24Ore. Nel 2006 ha dato vita, insieme con la moglie, alla "Fondazione Pietro Mennea", onlus di carattere filantropico, che effettua donazioni e assistenza sociale ad enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica, associazioni culturali e sportive, attraverso progetti specifici. Lo scopo secondario è di carattere culturale e consiste nel diffondere lo sport e i suoi valori, nonché promuovere la lotta al doping. La dedica, il ricordo più bello per Pietro Mennea è arrivata nel pomeriggio della sua morte: le Ferrovie dello Stato hanno deciso di intitolare a lui il primo Frecciarossa 1000 che uscirà dalla fabbrica Ansaldo Breda martedì prossimo e sarà in grado di raggiungere i 400 kmh.
"Così introverso e spigoloso da saper accendere la passione. Un atleta fatto ossimoro" scrive Maria Luisa Colledani sul Sole24Ore. Nel 2006 ha dato vita, insieme con la moglie, alla "Fondazione Pietro Mennea", onlus di carattere filantropico, che effettua donazioni e assistenza sociale ad enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica, associazioni culturali e sportive, attraverso progetti specifici. Lo scopo secondario è di carattere culturale e consiste nel diffondere lo sport e i suoi valori, nonché promuovere la lotta al doping. La dedica, il ricordo più bello per Pietro Mennea è arrivata nel pomeriggio della sua morte: le Ferrovie dello Stato hanno deciso di intitolare a lui il primo Frecciarossa 1000 che uscirà dalla fabbrica Ansaldo Breda martedì prossimo e sarà in grado di raggiungere i 400 kmh.
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