domenica 17 marzo 2013

Le parole sono pietre o burro: la parola cancro


La parola cancro congela il sangue nelle vene,  terrorizza,  mozza il fiato. Ciò accade perché viene usata come sinonimo di inguaribile, senza speranza, mortale, letale e quindi al suo posto si usano perifrasi come brutto male, male che non perdona male del secolo... Altre volte viene usata in senso traslato: cancrena, corruzione, veleno, virus...Dal blog di Umberto Veronesi copio e incollo il bell'articolo postato l'11 marzo 2013 dal titolo: Cari giornalisti, le parole non sono neutrali. Prima di riportare l'articolo, ricordo il libro di Carlo Levi "Le parole sono pietre" e  quanto afferma Emily Dickinson in Silenzi: "Alcuni dicono che / quando è detta / la parola muore. /Io dico invece che/ proprio quel giorno / comincia a vivere". Concordo, inoltre, con la conclusione dell'articolo di Giovanna Cosenza ( 3 maggio 2012) scritto per Il Fatto Quotidiano dal titolo "Misurare le parole": "Perciò bisogna cercare la misura caso per caso, sempre ricordando che siamo ciò che diciamo e diciamo quel che siamo, ma lo diciamo con un mare di segni, sintomi e indizi ben più vasto delle parole, e lo diciamo anche con l’insieme dei nostri comportamenti e il tessuto delle nostre relazioni. Lo diciamo con tutta la nostra vita".
Ma veniamo al post di Umberto Veronesi. "Nel bellissimo libro di Elsa Morante, «La Storia», c’è un passo indimenticabile. E’ quando Ida, la protagonista, perde il marito: «Ida non osava mai pronunciare la parola cancro, che a lei evocava una forma fantastica, sacrale e innominabile, come ai selvaggi le presenze di certi demoni. Al suo posto usava la definizione di malattia del secolo, imparata nel quartiere. A chi le domandava di che fosse morto suo marito, rispondeva: “della malattia del secolo”, con voce assottigliata e tremante, non bastandole quel suo piccolo esorcismo a scacciare gli spaventi della sua memoria.» Istantaneamente, quando l’ho letto, ho rivisto in quella donnetta spaurita i miei pazienti di tanti anni fa, quando cancro era una parola che non si aveva il coraggio di dire, e per il quale, quando se ne parlava, si usavano perifrasi quali «un brutto male», «un male incurabile», «quel male». E’ allora che ho concepito il sogno di fare del cancro un «male curabile», una speranza che ho condiviso e condivido con tanti altri medici, e che con passi successivi già va realizzandosi: il cancro colpisce sempre, ma sempre di più  è curabile e guaribile. Proprio per questo, e in nome dei malati, faccio un appello perché responsabilmente si smetta di usare la parola cancro in senso traslato, evitando d’impiegarla in espressioni ad effetto come «il cancro della mafia» o «il cancro della corruzione», che naturalmente sottintendono la capacità metastatica e la natura aggressiva del male. Sono espressioni che negano la speranza. Chi fa il mestiere di scrivere dovrebbe riflettere prima d’impiegarle, e attingere dalla propria umanità il prezioso  buonsenso di domandarsi quanto male possono fare in chi le legge. Non ci possono essere scuse. Il cancro è una malattia come altre, e come altre può essere curato e guarito. E’ bizzarro e moralmente sciatto paragonare il cancro alla mafia o alla corruzione politica. Si paragonano forse questi fenomeni a un ictus, a un’insufficienza renale, a uno scompenso cardiaco? Evitiamo dunque il paragone col cancro. E ricordiamo: le parole non sono neutrali."

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