Mi sono occupato negli ultimi anni
della mia attività professionale, quando lavoravo presso l'Ufficio
Interventi Educativi del Provveditorato agli Studi di Padova, ora
Ufficio Scolastico Territoriale IX, della categoria filosofica della "Verità".
Ho spesso citato la frase del poeta spagnolo Antonio Machado: Tu
verdad? No, la Verdad, y ven conmigo a buscarla. La tuya, guàrdatela (La
tua verità? No, la Verità, e vieni con me a cercarla. La tua,
tienitela).Perchè è difficile dialogare? Perché ognuno è
saldamente ancorato alla sua verità, alla sua ideologia, alla sua
filosofia e alla sua religione! Per dialogare è necessario porsi in
posizione di ascolto e di dubbio!
Ciò vale anche per la verità
oncologica? A ogni malato di cancro si deve dire tutto? Credo che la
verità sulla patologia vada cercata insieme, come dice Machado, ma con
molta delicatezza. Ricordiamoci che la verità oncologica è comunque una
verità statistica o probabilistica e quindi misurabile, ci conforta che ciò che non si può
misurare è la solidarietà e l'altruismo.
Mi ha fortemente "intrigato" un'interessante relazione che il dott. Roberto Magarotto ha tenuto a Bardolino l'8.3.2008 dal titolo: "Il valore della comunicazione in oncologia" (La trovate nel sito "Per una vita come prima"). L'ho sistemata graficamente e trasformata in pdf.
Riporto alcune sue affermazioni tratte dalle slide.
Dire la verità, dice Roberto, conviene perché:
- abbiamo bisogno della fiducia e della collaborazione del malato;
- per riconoscere al malato il diritto della persona che esercita in pieno le sue scelte;
- per permettere al malato di prendere decisioni personali, per sé ed anche per la propria famiglia;
- perché é difficile sostenere comunque la non verità nel corso dell’iter terapeutico e assistenziale della malattia;
- perché è impossibile mantenere un’autenticità di relazione quando non esiste un’ informazione leale
Quanta verità dire? Risponde: Tutta
la verità che puo’ essere utile al malato!
Ecco
quattro esempi di verità da dire:
- "Lei ha un tumore che si può asportare chirurgicamente e poi faremo una chemioterapia per abbassare quanto più possibile la possibilità di recidiva”.
- "Lei ha una recidiva della malattia che avevamo già trattato; ci sono cure che possono darle un reale vantaggio per contrastare la malattia e le faremo con la sua collaborazione, cercando che le creino meno effetti collaterali possibili”.
- "Lei soffre per una malattia che non è più guaribile e non abbiamo altri trattamenti possibili efficaci; la sua persona è comunque curabile e noi siamo qui e ci impegneremo per questo“.
- “Le manca ancora poco da vivere; la possiamo aiutare a vivere questo momento senza dolore e altre sofferenze e nel pieno rispetto della sua dignità di persona“.
Come dire la verità? Cita come esempio
di comunicazione efficace alcune frasi tratte dal volume di Antonio Bongiorno e Salvatore Malizia Comunicare la diagnosi grave - Il medico, il
paziente e la sua famiglia, Carocci Editore, 2002, 1° edizione.
Trovo
nella prefazione al libro queste affermazioni condivisibili di Umberto Veronesi:
“Leggendo
le pagine di questo testo mi sono soffermato a pensare al significato del verbo
comunicare, forse l’espressione più libera, più
naturale dell’uomo quando essa è strumento per trasmettere eventi di ordine
generale, ove è portatrice di notizie capaci di rallegrare, se è voce di
conversazioni che si aprono sulla quotidianità della vita. Paradossalmente,
però, quando comunicare sottende
empatia e una condivisione del vissuto umano ed emozionale, in qualsiasi
dimensione o stato d’animo, la parola sembra quasi perdere spontaneità e si
carica di pensieri meditati e cresciuti nella coscienza. Credo che ciascuno di
noi abbia potuto sperimentare quanto la parola possa diventare faticosa e dura,
se ad attraversarla è l’esperienza della malattia e del dolore. Un medico,
probabilmente più di ogni altro, dovrebbe essere “preparato” ad affrontare il
delicato e difficile compito di trovare le parole giuste da pronunciare per
portare sollievo a chi si sente affranto nello spirito e che sa,
consapevolmente o inconsciamente, che la sua vita è stata offesa nella salute.”
Conclude Roberto: A
tanti malati c’è un momento in cui
sembra mancare ogni appoggio, sembra non esserci nessun appiglio a cui
aggrapparsi: non sempre nelle storie personali dei nostri pazienti ci sono mani su cui contare, spalle su cui
confortarsi un po', cuori con cui
condividere la propria
esperienza di vita, fino all’ultimo istante.
E noi
operatori sanitari ? Ci siamo perché dobbiamo esserci, ma se c’è
stata lealtà e condivisione basate sulla
verità, l’augurio per tutti noi è che i pazienti sentano che noi abbiamo scelto
di esserci non solo con le nostre mani
ma anche con le nostre spalle e i nostri cuori.
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